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La detrazione dell’imposta assolta va provata dall’avente diritto

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La detrazione dell’imposta assolta va provata dall’avente diritto

In tema di IVA, spetta a chi assume di avere diritto a detrarre l’imposta assolta l’onere di dimostrare quale sia la prestazione a fronte della quale il corrispettivo è stato pagato.

In tema di IVA, sono legittime le detrazioni di imposta effettuate in relazione a note di accredito per sconti su vendite praticati in base ad accordo, anche successivo all’originario contratto e concluso verbalmente. Infatti, in base all’art. 26, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, se un’operazione per la quale è stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in dipendenza di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il diritto di portare in detrazione, ai sensi del precedente art. 19, l’imposta corrispondente alla variazione spetta al cedente del bene, il quale deve a tal fine registrarla, a norma dell’art. 25, entro l’anno dal compimento dell’operazione imponibile (art. 26, comma 3), nel rispetto degli obblighi di fatturazione di cui all’art. 21.

Il principio, già espresso dal giudice di legittimità, è stato nuovamente affermato in una recente ordinanza. Nel caso di specie, la Suprema Corte, anche in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice tributario di secondo grado aveva respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la pronuncia di primo grado che aveva accolto il ricorso di una società per azioni avverso l’avviso di accertamento -concernente l’IVA per l’anno 2005- fondato su un verbale di accertamento con il quale la Guardia di Finanza aveva ritenuto l’IVA indebitamente detratta, in quanto correlata a “premi in danaro“-in fattura l’oggetto era stato indicato come “premi di impegnativa“- corrisposti ad altra società per azioni che li aveva contabilizzati come ricavi, laddove, dalla lettura degli accordi contrattuali stipulati con la menzionata compagine societaria o con altri concessionari di spazi pubblicitari, era invece emerso che si trattava di cessioni di danaro a titolo gratuito cui non corrispondeva alcun obbligo contrattuale di fare, non fare o permettere a carico della beneficiaria.

Secondo la Cassazione, compete senz’altro a chi assume di avere diritto a detrarre l’imposta assolta l’onere di dimostrare quale sia la prestazione a fronte della quale il corrispettivo è stato pagato. Nella fattispecie, siffatto onere avrebbe dovuto essere dal giudice del merito maggiormente valorizzato e più attentamente applicato, alla luce della esplicita locuzione utilizzata dalle parti per descrivere l’oggetto della prestazione nonché anche alla luce dell’indirizzo interpretativo secondo cui non costituisce prestazione di servizio soggetta ad I.V.A. l’attività svolta da un soggetto a vantaggio di un altro autonomamente e senza obbligo nei confronti di quest’ultimo.

Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., 25-07-2014, n. 17021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati osserva:

La CTR di Milano ha respinto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro la sentenza della CTP di Milano n. 102-02-2009 che aveva già accolto il ricorso della parte contribuente “Urban Scale Advertising spa” avverso avviso di accertamento (concernente IVA per l’anno 2005)- avviso fondato su un verbale di accertamento con il quale la GdF aveva ritenuto l’IVA indebitamente detratta, perchè correlata a “premi in danaro” (in fattura l’oggetto era stato indicato come “premi di impegnativa”) corrisposti a tale “Aegis Media Italia spa” che li aveva contabilizzati come ricavi, nel mentre dalla lettura degli accordi contrattuali stipulati dalla Aegis con la menzionata società (o con altri concessionari di spazi pubblicitari) era risultato che si trattava di cessioni di danaro a titolo gratuito cui non corrispondeva alcun obbligo contrattuale di fare, non fare o permettere a carico della beneficiaria Aegis.

La predetta CTR ha motivato il proprio convincimento nel senso che – atteso che “il rapporto che esiste tra le due società è un rapporto clientelare, l’una fornisce pubblicità ed emette fattura sull’altra che ne paga il prezzo”- l’Agenzia non aveva fornito prova che non si fosse trattato di un “effettivo scambio di servizi”, sicchè non si poteva concludere che i pagamenti effettuati tra le due società fossero “soltanto uno scambio di danaro”.

L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Con il terzo motivo di ricorso (centrato sulla violazione dell’art. 2697 c.c., e che deve essere esaminato a preferenza rispetto a quelli precedenti, atteso che questi ultimi non risultano inerenti alla ratio decidendi della pronuncia, che risolve il thema decidendum sulla scorta della pura e semplice applicazione dell’onus probandi) la ricorrente – dopo avere più volte ribadito che la dazione di danaro doveva ritenersi esclusa dal campo di applicazione dell’IVA, poichè non correlata in termini di controprestazione ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi – si duole del fatto che il giudice del merito abbia violato il canone di distribuzione dell’onere della prova, onere che invece grava sulla parte contribuente che avrebbe dovuto fornire dimostrazione del fatto costitutivo del diritto vantato in giudizio, e cioè il presupposto di fatto per l’applicazione del regime IVA. Il motivo appare fondato e da accogliersi.

Giova premettere che, in materia analoga a quella qui in esame, codesta Suprema Corte ha già avuto modo di insegnare che: “In tema di IVA, sono legittime le detrazioni di imposta effettuate in relazione a note di accredito per sconti su vendite praticati in base ad accordo, anche successivo all’originario contratto e concluso verbalmente. Infatti, in base al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, se un’operazione per la quale è stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in dipendenza di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il diritto di portare in detrazione, ai sensi del precedente art. 19, l’imposta corrispondente alla variazione spetta al cedente del bene, il quale deve a tal fine registrarla, a norma dell’art. 25, entro l’anno dal compimento dell’operazione imponibile (art. 26, comma 3), nel rispetto degli obblighi di fatturazione di cui all’art. 21 (nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso della società contribuente, poichè, pur non essendo contestato che questa avesse ottemperato entro l’anno sia agli obblighi di fatturazione che a quelli di registrazione delle note di accredito, il giudice di merito aveva escluso che ciò fosse avvenuto sulla base di un contratto o accordo col cessionario; nè la società cedente aveva provato alcunchè in tal senso, laddove era suo preciso onere fornire elementi certi dai quali desumere che oggetto della pattuizione fossero degli sconti e non “un premio di fine anno”, che non da diritto a detrazione, trattandosi non di una componente che incide direttamente sul prezzo della mercè, ma di un contributo autonomamente riconosciuto a fine esercizio al cliente in base al raggiungimento di un determinato fatturato, e quale incentivo per future operazioni)”. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6475 del 19/03/2007).

Posto perciò che compete senz’altro a chi assume di avere diritto a detrarre l’imposta assolta l’onere di dimostrare quale sia la prestazione a fronte della quale il corrispettivo è stato pagato (onde asseverare che la transazione risulta contenuta nell’ambito di applicazione del regime IVA), non è chi non veda che siffatto onere avrebbe dovuto essere dal giudice del merito maggiormente valorizzato e più attentamente applicato, alla luce della esplicita locuzione utilizzata dalle parti per descrivere l’oggetto della prestazione nonchè anche alla luce dell’indirizzo interpretativo di codesta Corte Suprema secondo il quale: “Non costituisce prestazione di servizio soggetta ad I.V.A. l’attività svolta da un soggetto a vantaggio di un altro autonomamente e senza obbligo nei confronti di quest’ultimo. (Nella fattispecie si trattava di attività promozionale svolta autonomamente, in funzione del perseguimento dei propri scopi statutari, da un circolo del golf a vantaggio della società sua fondatrice e finanziatrice, che gestiva l’impianto sportivo, senza che tra i due enti sussistesse alcun vincolo derivante da titolo obbligatorio)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 215 del 10/01/2002).

Non resta che ritenere che la pronuncia impugnata – nella quale è agevole anche scorgere un vero e proprio fraintendimento del giudicante rispetto al reale oggetto del thema decidendum – meriti cassazione, sicchè la causa debba essere nuovamente restituita al giudice del merito, in funzione di giudice del rinvio, per un nuovo esame delle censure proposte con l’atto di appello.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza. Roma, 28 febbraio 2014 ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e reputa che gli argomenti spiegati nella relazione valgano a ritenere accolto anche il primo motivo di ricorso (centrato sul vizio di motivazione della sentenza), giacchè appare manifesto che il giudicante -assumendo di ritenere che sia esistito tra le parti della transazione commerciale uun rapporto clientelare” – non ha specificato da dove e perchè ha tratto il predetto convincimento, perciò impedendo a questa Corte di sindacare la logicità del percorso motivazionale;

che il ricorso va pertanto accolto in relazione ad entrambi i motivi dianzi menzionati;

che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2014