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Diritto Civile. Nella servitù di veduta il requisito di visibilità può non coincidere con il fondo servente ai fini dell’usucapione

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

 

Nella servitù di veduta il requisito di visibilità può non coincidere con il fondo servente ai fini dell’usucapione

 

La Cassazione ha affrontato la questione relativa alla ammissibilità dell’usucapione di una servitù di veduta esercitata attraverso opere che, poste sul fondo dominante, siano visibili non dal fondo servente ma solo da altra postazione.

 

In tema di acquisto per usucapione, ai sensi dell’art. 1061, comma 1, c.c., di una servitù di veduta, le opere permanenti destinate al relativo esercizio devono essere visibili in maniera tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza della situazione di obiettivo asservimento della sua proprietà, per il vantaggio del fondo dominante. Il requisito di visibilità, pertanto, può far capo ad un punto di osservazione non necessariamente coincidente con il fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da un vicina via pubblica.

 

La Suprema Corte, nella sentenza in esame, ha ritenuto incensurabile la decisione con la quale la corte del merito, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva accolto la domanda proposta dal proprietario di un appartamento posto al piano attico di un edificio condominiale ed avente ad oggetto l’accertamento dell’usucapione di una servitù di veduta e prospetto esercitata da una finestra e da due parapetti di una terrazza su di un fabbricato in aderenza di proprietà di una società. La corte distrettuale, osserva la Cassazione, alla quale competeva l’accertamento fattuale, si è attenuta all’enunciato principio, rilevando la pregressa visibilità delle due vedute di cui si controverte dal lungomare, restando irrilevante la questione della visibilità successiva alle trasformazioni del tetto del fondo servente.

 

Cass. Civ., Sez. II, 17 novembre 2014, n. 24401

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

 

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

 

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

 

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

 

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso 8300/2009 proposto da:

 

IMMOBILIARE MONTIGNOSO SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato NICOLAIS LUCIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLAUDIO CECCHELLA, GIAN PAOLO ORSINI;

 

– ricorrente –

 

contro

 

A.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato SIVIERI ORLANDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIO BERNINI;

 

– controricorrente –

 

avverso la sentenza n. 234/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/02/2008;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2014 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

 

udito l’Avvocato Cecchella Claudio difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

 

udito l’Avv. A.E. con delega depositata in udienza dell’Avv. Bernini Giulio difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

 

Svolgimento del processo

 

 

 

Con citazione notificata il 14.12.1994 A.E., proprietario di un appartamento al piano attico di un edificio condominiale posto in (OMISSIS), agiva innanzi al Tribunale di Lucca per l’accertamento dell’usucapione di una servitù di veduta e prospetto, esercitata da una finestra e da due parapetti di una terrazza su di un fabbricato in aderenza di proprietà dell’Immobiliare Montignoso, di Biagiotti Vittorio s.a.s..

 

Nel resistere in giudizio quest’ultima società contestava, in particolare, la non apparenza di detta servitù, in quanto non visibile dal fondo servente, almeno fino a che quest’ultimo era stato coperto con un tetto a spiovente, trasformato solo nel 1990 in lastrico solare.

 

Il Tribunale rigettava la domanda, in considerazione del fatto che il tetto a falde costituiva un impedimento alla possibilità di inspicere e prospicere dall’appartamento dell’attore, e che non vi era prova che le opere necessarie alla veduta fossero visibili dall’immobile sito sul fondo servente.

 

Tale sentenza, impugnata dall’ A., era ribaltata dalla Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 234 del 13.2.2008.

 

Riteneva la Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che la finestra, se anche non fosse stata agevolmente visibile dal fabbricato della società Immobiliare Montignoso, almeno prima della trasformazione del tetto, era certamente ben percepibile da chiunque percorresse il lungomare diretto verso l’edificio della società appellata, e dunque anche dai legali rappresentanti di questa. Conseguentemente, doveva ritenersi acquisita la conoscenza della veduta da parte del proprietario del fondo servente.

 

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’Immobiliare Montignoso, di Biagiotti Vittorio s.a.s., in base a quattro motivi, cui è seguito il deposito di memoria.

 

Resiste con controricorso A.E..

 

 

 

Motivi della decisione

 

 

 

1. – Il primo motivo, corredato da quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., (applicabile ratione temporis) denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., comma 2.

 

Premesso che in materia di servitù ciò che rileva è il rapporto tra i fondi, che caratterizza l’istituto come diritto reale e non personale, parte ricorrente sostiene che sebbene il requisito della visibilità non possa che essere riferito alla percezione umana, non rileva una percezione puramente soggettiva. Ciò che è decisivo è soltanto che le opere che denotano il possesso della servitù siano visibili dal fondo servente, mentre è del tutto irrilevante che il proprietario di questo possa avvistarle da un altro punto d’osservazione.

 

2. – Il secondo mezzo (anch’esso completato da quesito di diritto) deduce la violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione al n. 4 (rectius, n. 3) dell’art. 360 c.p.c. Afferma parte ricorrente che non risponde ai requisiti di gravità, precisione e concordanza la ritenuta visibilità soggettiva della veduta, desunta dall’astratta possibilità di avvistare le opere a ciò deputate da un non meglio precisato lungomare. Non è infatti dimostrato, prosegue, nè preso in considerazione dal giudice d’appello che il proprietario del fondo servente fosse solito transitare per detta via, nè tale circostanza di fatto può essere data per scontata.

 

3. – Il terzo mezzo deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, circa il fatto controverso della visibilità della veduta.

 

Secondo parte ricorrente sarebbe del tutto illogica la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ritiene visibile la finestra di cui si discute desumendone la percepibilità da un non meglio specificato lungomare. Intrinsecamente contraddittoria, prosegue, sarebbe l’affermazione per cui sarebbe visibile anche la strumentalità della finestra rispetto all’utilità del fondo dominante. Affermazione, questa, che non terrebbe conto dell’impossibilità da una prospettiva esterna di valutare la relazione strumentale tra il peso e l’utilità stessa, vale a dire di valutare se una finestra su di un fondo vicino ad un altro consenta la veduta.

 

4. – Il quarto mezzo denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, circa il fatto controverso del possesso ultraventennale della servitù di veduta, ai fini del suo acquisto a titolo originario per usucapione.

 

La Corte territoriale ha accertato che le opere destinate all’esercizio della servitù non erano visibili dal fondo servente prima del 1990, allorchè il tetto a falde spioventi di quest’ultimo fu sostituito con un lastrico solare. Da tale premessa, la Corte fiorentina non ha tratto, però, la logica conseguenza che fino alla predetta data l’esistenza del tetto a falde impediva al proprietario del fondo dominante di esercitare il possesso della servitù attraverso l’inspicere e il prospicere.

 

5.- I motivi vanno esaminati congiuntamente perchè interpellano questa Corte su di una medesima questione, se cioè sia usucapibile una servitù di veduta esercitata attraverso opere che, poste sul fondo dominante, siano visibili non dal fondo servente ma solo da un’altra postazione (in particolare, da una via pubblica).

 

5.1. – Essi sono infondati.

 

La giurisprudenza di questa Corte è solita affermare che ai sensi dell’art. 1061 c.c., comma 1, è apparente soltanto la servitù al cui esercizio risultino destinate opere permanenti e visibili dal fondo servente, sì da renderne presumibile la conoscenza da parte del proprietario di quest’ultimo (v. ex pluribus, Cass. nn. 2290/04, 321/98, 3472/89).

 

La precisazione per cui le opere permanenti devono essere “visibili dal fondo servente” non costituisce una specificazione del concetto di apparenza, insensibile a connotazioni puramente topografiche (come dimostra l’irrilevanza – costantemente affermata da questa Corte – del fatto che le opere siano collocate sul fondo servente, su quello dominante o su un fondo di terzi: cfr. Cass. nn. 7817/06, 6357/97, 11254/96, 11020/91 e 3695/89). Tale formula tralaticia è utilizzata per lo più per chiarire che non vi può essere apparenza della servitù se il proprietario del fondo servente non abbia contezza del peso che grava sulla sua proprietà. Essa, pertanto, costituisce una variabile espressiva del requisito di non clandestinità, necessario ai sensi dell’art. 1063 c.c., affinchè il possesso possa giovare all’usucapione (se ne trae conferma da alcune pronunce che espressamente affermano che le opere devono essere visibili in modo tale da escludere la clandestinità del possesso e da farne presumere la conoscenza da parte del proprietario del fondo servente: cfr.

 

Cass. nn. 15447/07 e 1043/01).

 

Questa Corte ha avuto, altresì, occasione di precisare che la visibilità delle opere deve far capo ad un punto d’osservazione non necessariamente coincidente col fondo servente, essendo essenziale, allo scopo, che queste rendano obiettivamente manifesta, per chi possegga detto fondo, la situazione di asservimento (Cass. nn. 2994/04 e 2225/76).

 

La visibilità dal fondo servente è, dunque, un’ipotesi normale ma non per questo esclusiva, sicchè può definirsi opera visibile oggettivamente destinata all’esercizio della servitù quella non clandestina, di cui cioè il proprietario del fondo servente può avere una conoscibilità altrettanto oggettiva.

 

5.1.1. – Nello specifico caso della servitù di veduta è stato, altresì, affermato da questa Corte che le finestre che si aprono nel muro perimetrale di confine debbono considerarsi obiettivamente visibili dal fondo vicino, oggetto della veduta. Ove in questo esista una costruzione coperta da tegolato, per giungere a ritenere la non visibilità di tali finestre e la non usucapibilità della relativa servitù di veduta, deve essere dimostrata l’esistenza di una situazione di fatto tale che il proprietario del fondo oggetto della veduta non abbia avuto possibilità alcuna di vederle o notarle da alcun luogo viciniore e, altresì, si sia trovato in condizione di non dover accedere sul tegolato nel periodo di maturazione dell’usucapione avversa. Questo accertamento, da farsi caso per caso, deve tener conto non solo dei luoghi viciniori che normalmente o comunque concretamente sono frequentati o erano frequentabili dal proprietario del fondo suddetto, ma, in particolare e per il solo caso in cui ogni altra possibilità sia da escludere, deve aver riguardo al comportamento di diligenza che il proprietario stesso deve tenere circa l’ispezione, il controllo e la riparazione del tegolato, secondo le condizioni di vetustà e le modalità di costruzione del medesimo (così, Cass. n. 5671/77).

 

5.1.2. – Al netto di ogni valutazione sulla frequenza con cui sia o debba essere ispezionato il tetto su cui prospetta la veduta (variabile non oggettiva, questa, che appare poco o punto utilizzabile in materia di diritti reali), deve darsi continuità, anche per le considerazioni che seguono, all’indirizzo che non elegge il fondo servente ad unico punto d’osservazione (indirizzo che, per quanto innanzi detto, è tutt’altro che contrastante con le pronunce di questa Corte che richiamano la visibilità “dal fondo servente”).

 

5.1.2.1. – L’art. 905 c.c., comma 1, stabilendo che non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso “e neppure sopra il tetto del vicino”, ammette implicitamente che anche la semplice veduta su di un tetto costituisce un peso, legittimo soltanto se assistito dal corrispondente diritto di servitù.

 

Quest’ultimo attribuisce al fondo dominante l’utilitas dell’inspectio e della prospectio in alienum, cui corrisponde per il fondo servente il peso costituito dalla limitazione della riservatezza che da ciò deriva. Tale peso grava sul fondo servente che sia edificato o non, indipendentemente dalla destinazione ad attività civili o produttive. E grava su di esso nella sua interezza economico- giuridica (cfr. Cass. nn. 988/95 e 2970/87), e non già sulle sole porzioni sensibili alla perdita di riservatezza.

 

Non rileva, dunque, che il peso sia o non avvertibile nelle parti del fondo servente che maggiormente vi sono esposte, e ciò è ancor più vero nel caso di veduta sul tetto, dal quale normalmente la veduta stessa non è percepibile (in tale direzione, il precedente specifico di Cass. n. 319/82 afferma che l’apertura di vedute in violazione del disposto dell’art. 905 c.c., sul tetto di proprietà esclusiva di un condomino, non esclude il pregiudizio degli altri condomini i quali, pertanto, possono agire in negatoria servitutis, in quanto i vincoli che derivano da una veduta non incidono soltanto sul proprietario del tetto, dal momento che come fondo servente deve essere considerato l’intero immobile condominiale, nel suo complesso e nella sua unità strutturale e funzionale).

 

Ma allora vuoi dire che è sufficiente che le opere destinate all’esercizio della servitù siano visibili da qualsivoglia altro punto d’osservazione, anche esterno al fondo servente, purchè il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica. L’esigenza di conoscibilità oggettiva del peso è ugualmente soddisfatta anche in tale ipotesi.

 

5.2. – La Corte territoriale, cui competeva il relativo accertamento di fatto, si è attenuta a tale principio, rilevando la pregressa visibilità delle due vedute di cui si controverte dal lungomare (nulla quaestio tra le parti sulla visibilità successiva alle trasformazioni del tetto del fondo servente). Quanto alla localizzazione di tale sito, non occorrono ulteriori specificazioni.

 

E’ fin troppo ovvio che il tratto interessato del lungomare, cui fa riferimento la sentenza impugnata, sia quello prossimo agli immobili in questione, sicchè le doglianze di ordine motivazionale sollevate dalla parte ricorrente non hanno alcun pregio.

 

5.3. – In conclusione, va affermato che in tema di acquisto per usucapione, ai sensi dell’art. 1061 c.c., comma 1, di una servitù di veduta, le opere permanenti destinate al relativo esercizio devono essere visibili in maniera tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza della situazione di obiettivo asservimento della sua proprietà, per il vantaggio del fondo dominante. Il requisito di visibilità, pertanto, può far capo ad un punto d’osservazione non necessariamente coincidente col fondo servente, purchè il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica.

 

6. – Il ricorso va dunque respinto.

 

7. – La sia pur parziale novità della questione giustifica la compensazione integrale delle spese fra le parti.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

 

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2014.

 

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2014