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La Corte Costituzionale vieta al querelante di opporsi alla emissione del decreto penale di condanna

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La Corte Costituzionale vieta al querelante di opporsi alla emissione del decreto penale di condanna

Con sentenza n. 23 del 2015 (Pres. Criscuolo; Redattore Napolitano), depositata il 27.02.2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 459, co. 1 prima parte c.p.c. (come modificato dall’art. 37, comma 1, della legge 16 dicembre 1999, n. 479) nella parte in cui prevede la facoltà del querelante di opporsi, in caso di reati procedibili a querela, alla definizione del procedimento con l’emissione di decreto penale di condanna.

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Avezzano con ordinanza n. 88 del 7 agosto 2013, in accoglimento delle osservazioni del P.M. che ha esercitato l’azione penale, in relazione al reato di cui all’art. 388, commi 3 e 4 c.p., nonostante l’espressa opposizione del querelante alla definizione del procedimento mediante decreto penale di condanna (art. 459, comma 1 c.p.c.).

Segnatamente, il G.I.P. del Tribunale di Avezzano ha rilevato il contrasto della menzionata norma con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3, di obbligatorietà dell’azione penale previsto dall’art. 112 e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2 della Costituzione.

La Corte ha ritenuto fondata la questione con esclusivo riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., ritenendo assorbita l’ulteriore censura.

Nello specifico, con riguardo all’art. 3 Cost. la Consulta ha rilevato che non sussiste alcun interesse meritevole di tutela del querelante, quale persona offesa dal reato, atto a giustificare la facoltà di opporsi al rito semplificato. Difatti, la definizione del procedimento a mezzo del rito di cui all’art. 459 c.p.c. non comporta la lesione dell’interesse del querelante all’affermazione della responsabilità penale dell’autore del reato, né tantomeno di quello al risarcimento del danno, atteso che tale rito si conclude con l’applicazione di una sanzione penale nei confronti del responsabile e che, in ogni caso, garantisce la possibilità di successiva tutela risarcitoria in sede civile.

Secondo la pronuncia in esame la possibilità di esercizio dell’azione civile nel processo penale non è illimitata, giacché, ad esempio, nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a termini dell’art. 444 c.p.p. al querelante è preclusa la possibilità di interdire il rito speciale, dovendo necessariamente agire o trasferire l’azione in sede civile.

Pertanto, anche nel procedimento speciale per decreto sussiste, secondo la Corte, ragione apprezzabile per limitare l’esercizio dell’azione civile in sede penale.

Per ciò che concerne la violazione dell’art. 111 Cost., inoltre, la facoltà del querelante di opporsi al procedimento per decreto penale di condanna determinava un ingiustificato allungamento dei termini processuali ed ostacolava la realizzazione dell’effetto deflattivo dei riti speciali di tipo premiale, senza che vi fosse una valida ragione giustificativa dettata dalle esigenze di tutela del querelante o della persona offesa.

Per scaricare la sentenza clicca qui