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CONDUCENTE INVESTE PEDONE IN AUTOSTRADA SPROVVISTO DEL GIUBBOTTO CATARIFRANGENTE: NON E' OMICIDIO COLPOSO.

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CONDUCENTE INVESTE PEDONE IN AUTOSTRADA SPROVVISTO DEL GIUBBOTTO CATARIFRANGENTE: NON E’ OMICIDIO COLPOSO.

Secondo la sentenza n. 24217/2015 della IV Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, è esente da colpa il conducente che investa il pedone in autostrada, la cui sagoma non sia avvistabile a distanza, che sia sceso dall’abitacolo della vettura in avaria senza indossare l’apposito giubbotto catarifrangente e si trovi sulla corsia di sorpasso.

Sul versante propriamente soggettivo della colpa, quello cioè della prevedibilità ed evitabilità dell’evento da parte del c.d. agente modello, il relativo giudizio vale a specificare il contenuto dell’obbligo di diligenza altrimenti astratto; solo se il pericolo del verificarsi di un evento dannoso è prevedibile o riconoscibile dal modello d’agente tenuto presente, il soggetto può essere obbligato a rispettare quelle specifiche regole cautelari idonee ad evitare il prodursi del fatto dannoso“.

Ebbene muovendo dal suesposto principio di diritto, i giudici di legittimità hanno ritenuto che, in via di principio, la presenza di un pedone al centro della carreggiata di un’autostrada non può, di regola, considerarsi circostanza prevedibile (v. Sez. 4, n. 41029 del 24/09/2008, Moschiano, Rv. 241476), rendendosi pertanto normalmente inesigibile una attenzione del conducente spinta al punto da scandagliare ogni angolo del tratto percorso alla verifica della eventuale presenza di pedoni, sulla cui assenza egli ha invece motivo di fare pieno affidamento (è stato al riguardo condivisibilmente affermato che l’affidamento nella regolarità della condotta dei conducenti di autoveicoli assume un diverso valore secondo che la circolazione si svolga su autostrada o su strada ordinaria: motivo per il quale è stata ritenuta imprudente e non prevedibile la manovra di spinta di autoveicolo in avaria in tempo di notte su autostrada, in misura maggiore rispetto ad analoga manovra eseguita su strada ordinaria (Sez. 4, n. 8258 del 14/02/1974, Puma, Rv. 128438).

La presenza sul tratto autostradale di un pedone, peraltro sprovvisto del giubbotto catarifrangente, è, infatti, una circostanza che, per la sua evidente atipicità e antiteticità rispetto alla disciplina della circolazione in autostrada e alle più elementari norme di prudenza e cautela, non può considerarsi compresa tra le evenienze che la regola cautelare violata è volta a governare.

Se una autovettura in panne nella corsia di sorpasso, si legge nella sentenza, può certamente, in astratto, costituire motivo di allarme circa le condizioni di sicurezza del tratto di autostrada impegnato da quella autovettura, è altresì necessario valutare i tempi di una tale doverosa allerta e se la stessa avrebbe potuto rendere prevedibile, nel caso concreto, la presenza di una persona ferma alla destra dell’autovettura, nel pieno centro della carreggiata, e indurre ad una diversa condotta di guida.

A tal fine occorre tener conto nel caso all’attenzione della Corte: del fatto che l’autovettura si trovava per l’appunto nella corsia di sinistra, diversa da quella percorsa; dei tempi di avvistamento della stessa in tali condizioni; della posizione obliqua dell’autovettura e di quella della vittima; della scarsa illuminazione della strada; del carattere, anche in tale contesto, comunque in grado massimo imprudente e inopinato della condotta della vittima.

Questi essendo gli elementi di possibile rilievo nella specie, ai fini della imputazione soggettiva dell’evento, la cui ponderazione – implicando un giudizio prettamente di merito – non può essere operata dalla Corte di Cassazione, e rilevando la mancanza di una adeguata valutazione nella sentenza impugnata di tutti i predetti aspetti, i giudici di legittimità hanno annullato la sentenza di secondo grado con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, affinché provveda alla luce di una attenta considerazione di tutte le circostanze del caso concreto.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-05-2015) 05-06-2015, n. 24217

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIRENA Pietro Antonio – Presidente –

Dott. IZZO Fausto – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.G., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2630/2013 CORTE APPELLO di SALERNO, del 05/11/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;

udito il Procuratore Generale in persona della Dott.ssa MARILIA DI NARDO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per le parti civili l’Avv. GIUSEPPE SPARANO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

  1. Con sentenza del 4/11/2010 il Tribunale di Nocera Inferiore assolveva, con la formula perchè il fatto non costituisce reato, L.G. dal delitto di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, a lui ascritto per avere cagionato la morte di G.C. in conseguenza del sinistro stradale verificatosi lungo la carreggiata sud dell’autostrada (OMISSIS) in data (OMISSIS), condannandolo invece per i reati di fuga e omissione di soccorso stradale (art. 189 C.d.S., commi 6 e 7).

L’incidente si era verificato in un tratto di autostrada rettilinea, con il manto stradale nella norma, privo di impedimenti visivi, ma anche di illuminazione sia naturale (per mancanza di luna) che artificiale.

Secondo quanto accertato dal Tribunale, G.C., percorrendo detto tratto autostradale alla guida della propria Renault Clio, dopo avere superato a velocità sostenuta la vettura che lo precedeva, improvvisamente perdeva il controllo del mezzo e, dopo aver urtato il guardrail di destra, effettuava alcuni testacoda e impattava anche contro il guardrail di sinistra, fermandosi quindi dopo circa 100 m nella corsia di sinistra, in posizione leggermente obliqua rispetto all’asse stradale; la Renault Clio rimaneva in completa avaria e in particolare lo era l’impianto elettrico, che non consentiva di azionare i dispositivi di segnalazione visiva; il G., privo di giubbotto o di altro indumento catarifrangente, scendeva dalla vettura, nella quale invece rimaneva la passeggera M.V., e avvertiva i soccorsi attraverso un telefono cellulare prestatogli dagli occupanti dell’autovettura che aveva poco prima superato;

questi ultimi, nell’allontanarsi, lo invitavano ripetutamente a spostarsi su una piazzola di emergenza, ma il G. rimaneva sulla carreggiata e anzi si collocava sulla linea di mezzeria, piegato nel vano finestrino della Clio, lato passeggero, a conversare con la M.; in quel frangente sopraggiungeva il L. che, alla guida di una Fiat Punto, con a bordo il passeggero C. C., percorreva l’autostrada nella stessa direzione e nella corsia di destra, ma con la parte sinistra in prossimità della linea di mezzeria, a velocità non superiore ai 90 km/h, facendo uso dei soli anabbaglianti; la detta vettura colpiva il G. che veniva sbalzato di alcuni metri più avanti e che, all’impatto con la sede stradale, decedeva sul colpo; il L. dopo l’impatto proseguiva la marcia, arrestandosi solo dopo circa 600 m; sopraggiungeva infine altra vettura che impattava a sua volta con la Renault Clio (dalla quale nel frattempo era scesa la M. per prestare soccorso alla vittima), spostandola in avanti di alcuni metri e sulla corsia di destra.

Così ricostruito l’incidente, il Tribunale riteneva l’imputato esente da responsabilità per l’evento mortale sulla base di queste considerazioni:

– l’imputato viaggiava ad una velocità di 90 km/h, inferiore a quella massima consentita di 110 km/h;

– non poteva egli mantenere una velocità inferiore, in particolare quella di 40 km/h, indicata dal consulente tecnico di parte civile in ragione del mancato uso degli abbaglianti, in quanto così facendo avrebbe costituito intralcio alla circolazione, violando il disposto dell’art. 141 C.d.S., comma 6;

– egli non solo non aveva l’obbligo di utilizzare i fari abbaglianti ma il loro uso gli era anzi vietato dall’art. 153 C.d.S., comma 3, in quanto diversamente avrebbe potuto abbacinare i conducenti delle vetture marcianti in senso opposto;

– l’uso dei proiettori di profondità, peraltro, in assenza di un significativo contrasto tra l’oggetto illuminato dello sfondo, non avrebbe con certezza garantito la tempestiva percezione dell’ostacolo e l’arresto del veicolo;

– ne discendeva, secondo il primo giudice, che la ragione unica per cui non era stato possibile evitare l’impatto con il G. era da individuarsi nel fatto di costui che, avendo provocato per sua colpa il primo sinistro e ponendo così in essere una condizione necessaria delle successive collisioni, era rimasto sulla carreggiata privo di strumenti che ne segnalassero la presenza, costituendo un ostacolo assolutamente imprevedibile e inevitabile.

  1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 5/11/2013, in accoglimento del gravame proposto dal Procuratore distrettuale e dalle parti civili e in riforma sul punto della sentenza di primo grado, dichiarava l’imputato colpevole anche del delitto di omicidio colposo e, concessegli le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, lo condannava alla pena di otto mesi di reclusione rideterminando quella per i reati di cui al capo b) di imputazione in nove mesi di reclusione, per una complessiva pena inflitta pari a un anno e cinque mesi di reclusione; condannava altresì l’imputato e la compagnia d’assicurazioni responsabile civile, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede.

Rimarcava la Corte in premessa che tale decisione non discendeva da una diversa valutazione del materiale probatorio ma piuttosto da una diversa applicazione al fatto, immutato nella ricostruzione e sulla base degli stessi elementi probatori, delle regole di logica e di diritto.

Reputava, infatti, che erroneamente il Tribunale avesse considerato decisiva l’osservanza da parte dell’imputato dei limiti massimi di velocità, posto che ciò non lo esimeva dal rispetto delle regole generali in tema di velocità stabilite dell’art. 141 cod. strada che impongono al conducente, indipendentemente dal rispetto dei limiti massimi di velocità, di commisurare l’andatura alla situazione concreta del traffico, del veicolo, ed alle condizioni di visibilità.

Altrettanto erroneamente, secondo la Corte, il Tribunale aveva ritenuto che una ulteriore limitazione della velocità avrebbe comportato intralcio alla circolazione, dovendosi piuttosto considerare che la testè richiamata regola generale di cui all’art. 141 cod. strada non soffre eccezioni in relazione al tipo di strada percorsa e va dunque osservata anche in autostrada.

Infine, secondo la Corte, il Tribunale aveva erroneamente interpretato la regola contenuta nell’art. 153 C.d.S., affermando che l’imputato non potesse usare, in quel tratto di autostrada, gli abbaglianti; rilevava infatti che al contrario, fuori dai centri abitati, in ogni caso di scarsa visibilità, è facoltà del conducente di tenere accesi i proiettori di profondità, quando l’illuminazione esterna manchi o sia insufficiente; nel caso di specie l’imputato viaggiava di notte, fuori dal centro abitato, in assenza di illuminazione naturale o artificiale e non ricorreva nessuna delle ipotesi di divieto di uso degli abbaglianti, posto che si trovava in una autostrada le cui carreggiate erano divise da doppio guardrail e procedeva inoltre nella corsia di destra, con conseguente minore rischio di abbagliamento dei veicoli marcianti in senso opposto.

Alla luce di tali considerazioni, osservava quindi la Corte che la velocità mantenuta dall’imputato, sebbene rispettosa dei limiti massimi imposti in quel tratto d’autostrada, di fatto non era tale da consentirgli l’arresto della vettura nei limiti dello spazio visivo goduto, obiettivamente ridotto rispetto a quello fruibile stante il deliberato uso degli anabbaglianti in luogo dei proiettori di profondità. Ciò in violazione della regola cautelare desumibile dalla disciplina richiamata, complessivamente interpretata, secondo la quale la velocità del veicolo deve essere rapportata direttamente alla lunghezza del campo visivo, più ampio o più ridotto, secondo il tipo di luci accese e con indubbio rilievo causale rispetto all’evento, che infatti avrebbe potuto essere evitato se l’imputato avesse usato i proiettori di profondità o, in alternativa, avesse tenuto una velocità inferiore e commisurata alle concrete condizioni di visibilità.

In tal caso, infatti, egli – secondo la Corte – avrebbe potuto avvistare per tempo l’ingombro sulla sede stradale ed evitarlo attraverso le opportune manovre, o arrestando completamente la marcia o, più semplicemente, mantenendosi più strettamente sulla destra, essendo invece risultato che egli viaggiava con la parte sinistra del proprio veicolo oltre la linea di mezzeria o, quanto meno, a ridosso della stessa.

Dava atto la Corte che il G., con la sua condotta colposa, aveva indubbiamente posto in essere il fattore causale originario di rischio (ostruzione della carreggiata) e dei successivi eventi;

riteneva però che tale condotta colposa, seppure sinergica, non poteva ritenersi da sola sufficiente a determinare l’evento, non essendo qualificabile come atipica e eccezionale, ma potendo bensì collocarsi nell’ambito della prevedibilità.

L’ostacolo costituito dalla sua vettura ferma e dalla sua presenza sulla sede stradale accanto alla stessa, non poteva considerarsi improvviso poichè entrambi si trovavano da tempo sulla sede stradale, nè imprevedibile poichè, nel caso della circolazione stradale, in condizioni di scarsa visibilità, il conducente non può fare ragionevole affidamento sulla mancanza di ingombro da parte di altri veicoli essendo piuttosto agevolmente prevedibile che, proprio a causa delle particolari condizioni atmosferiche, qualche veicolo possa ingombrare la carreggiata.

L’evitabilità della collisione era poi dimostrata dal fatto che nelle stesse condizioni di tempo e di luogo molti altri automobilisti, che avevano preceduto il L., l’avevano evitata.

Soggiungeva che ad evitare l’impatto sarebbe stato sufficiente da parte dell’imputato una leggera correzione verso destra della direzione di marcia: manovra possibile ed esigibile, tanto più alla velocità dichiarata. Al contrario, com’era desumibile dall’assenza di tracce di frenata, dalla deposizione della teste C. C. e dalle dichiarazioni dello stesso imputato, questi non aveva frenato, non aveva moderato la velocità, non aveva corretto la direzione di marcia se non all’ultimo, non aveva posto in essere alcuna manovra realmente atta ad evitare l’impatto poichè, evidentemente, non aveva avvistato per tempo l’ingombro e ciò non perchè gli fosse impossibile ma solo per un suo deficit di attenzione, aggravato dalla condotta di guida tenuta in violazione di regole specifiche imposte dal codice della strada e dalla generale prudenza.

  1. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione L. G., per mezzo del proprio difensore, sulla base di due motivi.

3.1. Con il primo deduce vizio di motivazione per non avere la Corte d’appello tenuto adeguatamente conto delle argomentazioni utilizzate dal giudice di primo grado e in particolare del fatto che, come evidenziato dal Tribunale, il mancato utilizzo dei fari abbaglianti e l’adeguamento della velocità conseguente a tale scelta non avevano formato oggetto di contestazione specifica nel capo d’imputazione, così violando l’obbligo di motivazione rafforzata imposto in caso di riforma di sentenza assolutoria e correlativamente violando la regola che consente il giudizio di penale responsabilità solo ove possa ragionevolmente escludersi ogni percorso causale alternativo.

3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge.

Lamenta che la Corte ha omesso di adeguatamente valutare l’imprevedibilità della condotta colposa della vittima e la capacità della stessa di porsi quale causa da sola sufficiente a produrre l’evento.

Sostiene che contrariamente ai criteri di logica e del senso comune la Corte si è spinta a qualificare come prevedibile la condotta dell’investito il quale si trovava a piedi nella corsia di sorpasso del tratto autostradale in orario notturno.

 

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei sensi appresso precisati.

La sentenza impugnata – nel ribaltare l’esito assolutorio del primo grado di giudizio – non soddisfa i più rigorosi oneri motivazionali in tal caso imposti, rivelando anzi diversi aspetti di criticità riguardo all’applicazione dei principi che, nel nostro ordinamento, sovrintendono alla responsabilità per colpa, in particolare per quel che attiene: alla violazione delle regole cautelari ritenute rilevanti e applicabili alla fattispecie (colpa in senso oggettivo);

all’efficacia causale di tale violazione rispetto all’evento (causalità della colpa); alla prevedibilità ed evitabilità dell’evento da parte dell’agente modello (colpa in senso soggettivo).

4.1. Sotto il primo profilo occorre invero rilevare che l’affermazione secondo cui nella specie l’imputato avrebbe violato la norma di cui all’art. 141 C.d.S., comma 2 – la quale impone al conducente di conservare sempre “il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile” – non sembra misurarsi adeguatamente con il seguente complesso di circostanze, emergenti dalla stessa pacifica descrizione della dinamica del sinistro ed invece tenute presenti dal primo giudice:

  1. a) l’autovettura condotta dall’imputato percorreva la corsia di destra della autostrada, in sè sgombra da ostacoli e segnatamente non occupata dalla autovettura incidentata, la quale si trovava ferma, in avaria, sulla corsia di sinistra, di sorpasso, in posizione leggermente obliqua rispetto alla linea di mezzeria;
  2. b) l’imputato non ha impattato con l’autovettura incidentata (come invece risulta aver fatto altra autovettura sopraggiunta subito dopo) e l’ha dunque evitata; non appare pertanto conferente il richiamo della citata regola cautelare almeno in quanto rapportata all’ingombro costituito dall’autovettura: l’abbia o meno avvistato, è certo che l’imputato l’ha comunque evitato; in tal senso neppure può attribuirsi rilievo al fatto che l’autovettura dell’imputato procedesse a ridosso della linea di mezzeria (secondo la ricostruzione accreditata in sentenza, l’altra – quella che la linea fosse in parte superata – essendo invece formulata in termini dubitativi), trattandosi di condotta in sè non vietata e che, comunque, non ha nemmeno essa impedito al conducente di evitare l’impatto con l’autovettura ferma nella corsia di sorpasso;
  3. c) l’autovettura condotta dal L. procedeva alla velocità di 90 km/h che, in autostrada, destinata al traffico veloce, non può a priori considerarsi andatura imprudente e inadeguata anche nelle condizioni descritte, dovendosi al contrario reputare pericolosa una andatura ancora più contenuta, sia pure al solo ipotetico scopo di verificare l’esistenza di eventuali feriti ed eventualmente prestare soccorso (operazione certamente commendevole, ma da compiersi con la massima cautela ed evitando in particolare improvvise e brusche decelerazioni o arresti in grado di porsi a propria volta quali improvvisi e imprevedibili intralci alla circolazione: v. Sez. 4, n. 11507 del 24/03/1988, Puppo, Rv. 179808; Sez. 4, n. 858 del 26/03/1969, Merli, Rv. 112741);
  4. d) ciò che l’imputato, evidentemente, non ha preveduto nè evitato è stata piuttosto la presenza, sulla carreggiata, del conducente dell’autovettura incidentata, fermo, da tempo, in prossimità della linea di mezzeria, intento a conversare con la donna rimasta all’interno dell’abitacolo; è questa però una circostanza che, per la sua evidente atipicità e antiteticità rispetto alla disciplina della circolazione in autostrada e alle più elementari norme di prudenza e cautela, da un lato, non può considerarsi compresa tra le evenienze che la regola cautelare violata è volta a governare, dall’altro, non può ritenersi sarebbe stata sicuramente evitata ove tale regola fosse stata rispettata nei termini ipotizzati dal giudice a quo.

4.2. Quanto meno manca al riguardo – venendosi così al secondo dei profili suindicati, quello della causalità della colpa – una attenta e adeguata verifica, attraverso un congruo giudizio controfattuale, dell’efficacia salvifica del c.d. comportamento alternativo lecito.

Nulla nel ragionamento della Corte dimostra, infatti, con minima coerenza logica, che anche ad una andatura sensibilmente inferiore ai 90 km/h, il descritto ostacolo avrebbe potuto essere avvistato in tempo ed evitato. Sul punto, invero, la Corte territoriale esprime un convincimento apoditticamente affermativo, non supportato da alcuna argomentazione, invece necessaria tanto più in considerazione della particolare posizione dell’autovettura (descritta in sentenza come leggermente obliqua rispetto alla linea di mezzeria, il che giustifica il dubbio che essa potesse nascondere almeno in parte la sagoma della persona ferma accanto ad essa) e della vittima, ferma a parlare, attraverso il finestrino, con la donna rimasta nel sedile anteriore a fianco del posto di guida e, pertanto, anche presumibilmente chinato.

Per analoghe ragioni si rivela evanescente sul piano logico l’ulteriore fondamento motivazionale indicato in sentenza, circa la configurabilità anche di una concorrente violazione dell’obbligo di attenzione e diligenza nella guida che, secondo la Corte, avrebbe impedito all’imputato di avvedersi, sia pure in extremis, della presenza del pedone fermo accanto alla vettura incidentata, sulla mezzeria della carreggiata, e di attuare una manovra di emergenza.

Premesso che si ammette in sentenza che una manovra di emergenza sia stata “in ultimo” in realtà tentata dal prevenuto, si rivela comunque dirimente il rilievo che, anche in tal caso, manca una adeguata verifica controfattuale, ossia una coerente e adeguata dimostrazione sul piano logico dell’assunto che una maggiore attenzione nella guida, in ipotesi mancata, avrebbe consentito di avvedersi, nelle condizioni date, con maggiore anticipo, della presenza del pedone e di compiere con maggiore successo tale manovra.

4.3. Le suesposte considerazioni rivelano vieppiù il loro peso sul versante propriamente soggettivo della colpa, quello cioè della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, nelle condizioni date, da parte del c.d. agente modello.

E’ noto al riguardo che il giudizio di prevedibilità vale a specificare il contenuto dell’obbligo di diligenza altrimenti astratto; solo se il pericolo del verificarsi di un evento dannoso è prevedibile o riconoscibile dal modello d’agente tenuto presente, il soggetto può essere obbligato a rispettare quelle specifiche regole cautelari idonee ad evitare il prodursi del fatto dannoso.

Ebbene occorre muovere al riguardo dalla non contestabile premessa che, in via di principio, la presenza di un pedone al centro della carreggiata di un’autostrada non può, di regola, considerarsi circostanza prevedibile (v. Sez. 4, n. 41029 del 24/09/2008, Moschiano, Rv. 241476), rendendosi pertanto normalmente inesigibile una attenzione del conducente spinta al punto da scandagliare ogni angolo del tratto percorso alla verifica della eventuale presenza di pedoni, sulla cui assenza egli ha invece motivo di fare pieno affidamento (è stato al riguardo condivisibilmente affermato che l’affidamento nella regolarità della condotta dei conducenti di autoveicoli assume un diverso valore secondo che la circolazione si svolga su autostrada o su strada ordinaria: motivo per il quale è stata ritenuta imprudente e non prevedibile la manovra di spinta di autoveicolo in avaria in tempo di notte su autostrada, in misura maggiore rispetto ad analoga manovra eseguita su strada ordinaria:

Sez. 4, n. 8258 del 14/02/1974, Puma, Rv. 128438).

La presenza di una autovettura in panne nella corsia di sorpasso può certamente, in astratto, costituire motivo di allarme circa le condizioni di sicurezza del tratto di autostrada impegnato da quella autovettura.

Si tratta, però, di valutare i tempi di una tale doverosa allerta e se la stessa avrebbe potuto rendere prevedibile, nel caso concreto, la presenza di una persona ferma alla destra dell’autovettura, nel pieno centro della carreggiata, e indurre ad una diversa condotta di guida, al qual fine occorre tener conto: del fatto che l’autovettura si trovava per l’appunto nella corsia di sinistra, diversa da quella percorsa; dei tempi di avvistamento della stessa in tali condizioni;

della posizione obliqua dell’autovettura e di quella della vittima;

della scarsa illuminazione della strada; del carattere, anche in tale contesto, comunque in grado massimo imprudente e inopinato della condotta della vittima.

Se questi sono gli elementi di possibile rilievo nella specie ai fini della imputazione soggettiva dell’evento, la loro ponderazione – implicando un giudizio prettamente di merito – non può però essere operata da questa Corte, occorrendo in questa sede arrestarsi al rilievo della mancanza di una adeguata valutazione nella sentenza impugnata di tutti i predetti aspetti.

Il giudice del rinvio vi dovrà dunque provvedere alla luce di una attenta considerazione di tutte le circostanze del caso concreto (sempre che il tema non risulti assorbito dalla soluzione che sarà data agli altri passaggi logici dei quali s’è sopra rilevata analoga carenza motivazionale).

  1. Per tutte le considerazioni che precedono deve pertanto pervenirsi all’annullamento della sentenza impugnata – limitatamente al capo a) di imputazione, sull’altro (concernente i reati di fuga e omissione di soccorso stradale) non essendo stata proposta impugnazione – con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, competente ai sensi dell’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. c), per nuovo esame sui punti sopra indicati; alla stessa va altresì demandato il regolamento tra le parti delle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo a), con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, cui demanda il regolamento delle spese anche del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2015