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Il “diritto” alla procreazione medicalmente assistita eterologa.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Il “diritto” alla procreazione medicalmente assistita eterologa.

È certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia, nell’accezione che al relativo diritto deve essere data”.

È quanto stabilito dal T.A.R. Lombardia – Milano, sez. III, con la sentenza n° 2271 del 28.11.2015.

Il caso. L’associazione ONLUS “SOS fertilità” aveva impugnato le deliberazioni della Giunta Regionale della Lombardia con le quali – nelle more dell’eventuale inserimento delle prestazioni afferenti la fecondazione di tipo eterologo tra i livelli essenziali di assistenza – aveva stabilito di porre a totale carico degli assistiti il costo per accedere alle tecniche di PMA (procreazione medicalmente assistita).

Secondo il Tribunale milanese “non assume rilievo la circostanza che la PMA, sia omologa che eterologa, non sia ricompresa formalmente nel D.P.C.M. che individua le prestazioni da qualificare livelli essenziali di assistenza, atteso che, se l’inserimento della prestazione nei LEA può avere effetto costitutivo nella qualificazione della stessa, rendendone quindi doverosa l’erogazione su tutto il territorio nazionale alle medesime condizioni minime, il mancato inserimento nell’elenco non può determinare l’effetto opposto, considerato che va verificata in concreto l’appartenenza di una determinata prestazione al novero dei diritti fondamentali e, in caso affermativo, va certamente garantita nel suo nucleo essenziale a tutti i soggetti e su tutto il territorio nazionale”.

Ebbene, come affermato dalla Corte Costituzione con la sentenza n° 162/2014, le prestazioni in parola sono espressioni della generale libertà di autodeterminarsi riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost. con la conseguenza che sono escluse eventuali limitazioni se non adeguatamente motivate.

A ciò si aggiunge che le medesime (prestazioni) sono riconducibili al diritto alla salute che, secondo la costante giurisprudenza, è comprensivo non solo della salute fisica ma anche di quella psichica.

Sulla scorta di tali argomentazioni, quindi, il T.A.R. Lombardia – Milano, sez. III, con la sentenza n° 2271 del 28.11.2015 ha affermato che “trattandosi di prestazione riconducibile a una pluralità di beni costituzionali – libertà di autodeterminarsi e diritto alla salute –  né il legislatore né, a maggior ragione, l’autorità amministrativa possono ostacolarne l’esercizio o condizionarne in via assoluta la realizzazione, ponendo a carico degli interessati l’intero costo della stessa, al di fuori di ogni valutazione e senza alcun contemperamento con l’eventuale limitatezza delle risorse finanziarie”.