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CONDANNA AL RISARCIMENTO DEL DANNO PER IL MARITO CHE PROSEGUE UNA RELAZIONE EXTRACONIUGALE DOPO LA RICONCILIAZIONE CON LA MOGLIE

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

CONDANNA AL RISARCIMENTO DEL DANNO PER IL MARITO CHE PROSEGUE UNA RELAZIONE EXTRACONIUGALE DOPO LA RICONCILIAZIONE CON LA MOGLIE

La cassazione civile con l’ordinanza n. 19193/15 del 28/01/2015 stabilisce che nel caso in cui il marito nonostante la riconciliazione con la moglie continui una relazione extraconiugale è tenuto al risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della moglie.

Nel caso di specie, dopo la separazione avvenuta nel 1996, i coniugi, non essendosi allontanati mai del tutto, si riconciliavano, nonostante l’uomo continuasse una relazione extraconiugale con un’altra donna, nota a parenti ed amici. La moglie, solo nel 1998 venne a conoscenza di tale relazione, decidendo nuovamente di separarsi. L’atteggiamento ingannevole del marito, lese profondamente la dignità della moglie facendola cadere in uno stato di vera e propria depressione. Per questo motivo, all’epoca dei fatti, la moglie ha agì per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione degli interessi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 29 della Cost.

Il tribunale di Velletri, in primo grado, condannò  il marito al pagamento dei 500,00 euro per il mantenimento, rigettando la domanda di risarcimento del danno che venne accolta successivamente in Corte di Appello considerato che la violazione del dovere di fedeltà, intercorsa durante l’intervenuta riconciliazione, è motivo sia di addebito della separazione che di risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in 10.000 euro.

La Corte di Cassazione interviene sulla questione affermando che nel caso in cui il marito nonostante la riconciliazione con la moglie continui una relazione extraconiugale è tenuto al risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della moglie, tuttavia per stabilire la possibilità di un risarcimento del danno è necessario valutare la condotta posta in essere dal coniuge fedifrago, ovvero se essa ha determinato una offesa alla dignità e all’onore dell’altro, allora la condanna è assicurata

Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., 28-09-2015, n. 19193

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Montezebio 9, presso lo studio dell’Avv. DE ARCANGELIS GIORGIO che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso e dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. 06/3723320 e all’indirizzo p.e.c. giorgiodearcangelis.ordineavvocati.org;

– ricorrente –

contro

G.L., elettivamente domiciliato in Roma, via G. Pisanelli 2, presso lo studio dell’Avv. POMPA VINCENZO che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso e dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. 06/3241944 e all’indirizzo p.e.c. vincenzopompa.ordineavvocati.org;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale proposto da:

G.L., come sopra rappresentata e difesa;

– ricorrente incidentale –

nei confronti di:

C.A., come sopra rappresentato e difeso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3260/13 della Corte di appello di Roma, emessa il 17 aprile 2013 e depositata il 4 giugno 2013, nn. R.G. 3123/10 e 4236/10.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che in data 4 maggio 2015 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c., che qui si riporta:

Rilevato che:

  1. il Tribunale di Velletri, con sentenza del 1/15 luglio 2009, emessa nel giudizio per separazione dei coniugi G.L. e C.A., ha pronunciato la separazione con addebito a carico del C. ponendo a suo carico un assegno mensile di mantenimento di 500 Euro mensili. Il Tribunale ha respinto la domanda della G. di risarcimento dei danni provocati con il comportamento lesivo della sua dignità posto in essere dal C.; ha revocato l’assegnazione della casa familiare alla G. e ha dichiarato inammissibile la domanda di restituzione delle somme sottratte dal C. alla comunione familiare e di quelle impiegate dalla G. nella ristrutturazione della casa coniugale.
  2. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3260/13, ha confermato la decisione di primo grado salvo che per l’accertamento del diritto della G. al risarcimento dei danni provocati con il comportamento tenuto dal C. il quale, secondo la Corte distrettuale, con un atteggiamento equivoco e mistificatorio, ha indotto la G. a ritenere superata la pregressa crisi coniugale mentre, per anni, ha portato avanti una convivenza con altra donna di cui erano a conoscenza almeno i parenti del C.. Tale comportamento che ha provocato uno stato di depressione grave a carico della G. e usa grave lesione della sua dignità personale è stato ritenuto produttivo di danni risarcibili che la Corte di appello ha liquidato in via equitativa in 10.000 Euro.
  3. C.A. ricorre per cassazione deducendo: a) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti sull’addebito della separazione; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.; preclusione da giudicato; c) violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., sull’addebito della separazione.
  4. Si difende con controricorso G.L. e propone ricorso incidentale con il quale deduce:

violazione e/o falsa applicazione degli artt. 155 quater e art. 156 c.c., comma 6, della L. n. 898 del 1970, con riferimento al rigetto della domanda di assegnazione della casa coniugale come componente dell’assegno alimentare, in relazione agli artt. 3, 29 e 33 Cost., e dell’art. 433 c.c..

Ritenuto che:

  1. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile o comunque infondato. Il ricorrente non indica quale sia il fatto controverso rispetto al quale deduce un annesso esame da parte del giudice di merito. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello non ha preso in esame la eccezione di inutilizzabilità delle prove acquisite nel precedente giudizio di divorzio concluso con sentenza n. 23337/04 che aveva accertato l’avvenuta riconciliazione facendo cessare anche il precedente regime di separazione.

Il motivo fraintende del tutto la ratio decidendi della sentenza impugnata che, in primo luogo, ha dato atto, descrivendola in motivazione, della eccezione di inutilizzabilità delle prove avanzata dal C. e ha quindi basato la decisione proprio sul giudicato della citata sentenza n. 23337/04 del Tribunale di Velletri riconoscendo che nonostante la separazione consensuale del 1996 non vi fu almeno in apparenza alcun allontanamento fra i coniugi e ciò condusse all’accertamento della riconciliazione. La Corte distrettuale ha quindi rilevato che la prosecuzione dopo il 1996 della relazione fra il C. e V.A. deve ritenersi pacifica in base alle stesse deduzioni istruttorie del C. nel presente giudizio. Egli stesso infatti ha affermato che prosegui la sua relazione e la sua, parziale, convivenza con la V. negli anni successivi. La Corte di appello ha valutato pertanto e ritenuto provate circostanze successive alla riconciliazione. Tale deve essere ritenuta infatti anche la ulteriore ricostruzione dei fatti operata dalla Corte distrettuale in base alle deposizioni raccolte nel precedente giudizio secondo le quali la G. è stata tenuta all’oscuro della relazione extra-coniugale del marito sino al 1998 e dopo averne accertato l’esistenza si è decisa a richiedere nuovamente la separazione. La Corte di appello ha rilevato altresì, riscontrando le risultanze istruttorie acquisite ritualmente al presente giudizio, che la relazione fra il C. e la V. era invece conosciuta nel suo contesto familiare e fu infatti la cognata del C., P.L., che la portò a conoscenza della G. nel 1998.

  1. Pertanto la Corte di appello ha ritenuto che se pure deva ritenersi irrilevante la relazione extra-coniugale fra il C. e la V. negli anni precedenti al 1996, come eccepito dall’odierno ricorrente, non altrettanto irrilevante o non valutabile è il successivo protrarsi della relazione vissuta con modalità idonee a ledere profondamente la dignità della G..

Valutazione che è stato basata sulle acquisizioni dirette del presente giudizio e su quelle del precedente giudizio di divorzio liberamente valutabili dal giudice (Cass. civ. sezione 1^ n. 9843 del 7 maggio 2014). Tali considerazioni valgono a far ritenere palesemente infondato anche il secondo motivo di ricorso nel Quale il ricorrente spende le stesse infondate difese a sostegno della dedotta ma inesistente violazione dell’art. 2909 c.c..

  1. Con il terzo motivo di ricorso il C., prospettando una tesi difensiva del tutto inconciliabile con i primi due motivi di ricorso, afferma che la crisi coniugale era iniziata subito dopo il matrimonio e quindi doveva ritenersi che la sua relazione con V. A. era irrilevante ai fini dell’accertamento sulla causa della intollerabilità della convivenza e della rottura definitiva del matrimonio. Si tratta di una deduzione infondata proprio sulla base delle argomentazioni difensive del C. il quale, rivendicando l’efficacia di cosa giudicata da attribuire alla sentenza che ha accertato l’avvenuta riconciliazione, attribuisce in tal modo un rilievo decisivo al suo comportamento successivo alla riconciliazione. Un comportamento che la Corte di appello ha ritenuto palesemente contrario al dovere coniugale di fedeltà e di lealtà nei confronti dell’altro coniugo con conseguente addebito della separazione.
  2. Il ricorso incidentale è inammissibile in quanto è apertamente contrario alla giurisprudenza di questa Corte, che merita riconferma in Questa sede, secondo cui l’assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniugo economicamente più debole, ma postula l’affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti (Cass. civ. sezione 1^, n. 18840 del 1 agosto 2013). Il giudice deve determinare la misura dell’assegno in relazione alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato, mentre l’assegnazione della casa familiare è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno; tuttavia, allorchè abbia revocato la concessione del diritto di abitazione nella casa coniugale (nella specie, stante la mancanza di figli della coppia), è necessario che egli valuti, una volta in tal modo modificato l’equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniugo, se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto (Cass. civ. sezione 1^ n. 9079 del 20 aprile 2011). In quest’ultima prospettiva il ricorso incidentale è infondato perchè il primo giudice ha disposto l’aumento dell’assegno proprio in relazione all’intervenuta revoca della assegnazione della casa familiare mentre il giudice dell’appello ha ritenuto che l’assegno a carico del C. non può essere ulteriormente aumentato non essendo giustificato dalle “complessive disponibilità reddituali” della G..
  3. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto di entrambi i ricorsi.

La Corte, letta la memoria difensiva della G. che insiste nel ritenere possibile qualificare l’assegnazione della ex casa coniugale come componente in natura dell’assegno di mantenimento;

rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito da tempo che l’assegnazione della casa coniugale al coniuge non proprietario è legittima solo se correlata all’affidamento dei figli e al loro interesse alla conservazione dell’habitat familiare anche dopo la separazione dei genitori;

ritenuto che pertanto deve essere condivisa la relazione ex art. 380 bis c.p.c., e che i ricorsi debbano essere respinti con compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 luglio 2015.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2015