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Diritto Civile – Il pegno rotativo: una fattispecie a formazione progressiva

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Diritto Civile – Il pegno rotativo: una fattispecie a formazione progressiva

Il pegno rotativo – e quindi il contratto con il quale le parti, attraverso il cd. “patto di rotatività”, statuiscono la variabilità dell’oggetto del pegno secondo modalità concordate e con continuità della garanzia – è stato, recentemente, oggetto di una pronuncia della I sezione civile della Corte di Cassazione. Nel caso di specie veniva contestato, dal ricorrente debitore, il permanere della garanzia pignoratizia, precedentemente  costituita, attraverso pegno rotativo, su BOT, a favore dell’ Istituto bancario, affermando la perdita del possesso sui titoli, in quanto quest’ultimo, nel procedere alla vendita coattiva degli stessi, ne aveva momentaneamente trasferito il ricavato sul conto corrente ordinario del ricorrente per poi, successivamente, trasferire sul conto a garanzia nuovi titoli acquistati (BTP) col ricavato in questione. Il ricorrente debitore evidenziava, infine, l’assenza dell’autorizzazione, attraverso atto scritto con data certa, all’acquisto di nuovi titoli (BTP) da depositare in pegno. La Suprema Corte ha inizialmente evidenziato come tale tipologia di contratto sia nata nella prassi bancaria, allo scopo di risolvere proprio il problema creato dal pegno di titoli di credito, la cui scadenza è spesso più ravvicinata della prevedibile durata del rapporto di garanzia. Successivamente ha poi individuato quelli che sono i requisiti indispensabili del patto di rotatività, ponendo l’accento sulla necessità che le future ed eventuali sostituzioni dell’oggetto della garanzia si mantenghino nei limiti del valore economico dei beni originariamente costituiti in pegno, e che la consegna di quest’ultimi sia accompagnata dalla scrittura, avente data certa, contenente sufficiente indicazione della cosa e del credito. Premesso ciò, tuttavia, il Collegio ha precisato come la sussistenza dei requisiti, individuati dall’art. 2787, 3 comma, c.c., debba essere valutata con riferimento all’atto di costituzione del pegno e non anche ai successivi atti, comunque scritti, i quali ne rappresentano un mero rinnovo, attraverso la sostituzione del titolo originariamente costituito in garanzia e nel frattempo venuto a scadenza, secondo l’espressa previsione del contratto originario che conteneva la clausola di rotatività, e che quindi prevedeva espressamente l’assoggettamento all’originario vincolo dei titoli eventualmente depositati in sostituzione di quelli inizialmente consegnati, essendo, appunto,  tale lo scopo della suddetta clausola. L’acquisto di nuovi titoli (BTP) con il ricavato della vendita dei vecchi BOT, originariamente costituiti in pegno a favore della banca, con il conseguente effetto traslativo del diritto reale su di essi, risulta essere quindi, secondo l’accezione della Corte di Cassazione, elemento di una fattispecie a formazione progressiva, che trae origine dall’accordo stipulato con il patto di rotatività, nella quale la volontà delle parti è perfetta già al momento dell’accordo, sempre se sussistente la certezza della data e sempre se determinati il credito da garantire e la cosa da offrire in garanzia, con l’eventuale sostituzione dei beni oggetto della garanzia che si identifica, perciò, semplicemente come un elemento materiale dell’operazione complessiva. Infine, la Suprema Corte ha sottolineato come il transito temporaneo del ricavato dalla vendita dei vecchi BOT, originariamente costituiti in pegno a favore della banca, nel conto corrente ordinario del ricorrente debitore non potesse valere ad estinguere definitivamente il pegno rotativo, che invece si ricostituiva immediatamente sui nuovi titoli (BTP) con tale somma acquistati. L’acquisto dei nuovi titoli di credito in sostituzione di quelli vecchi si configura, infatti, quale atto materiale dell’iter progressivo che si è concluso con la collocazione dei titoli (BTP) sul conto depositi, così ricostituendosi, senza soluzione di continuità, la garanzia. Tale operazione di trasferimento, viene pertanto, identificata dal Collegio come un semplice ordine di borsa con disposizione di collocamento dei nuovi titoli (BTP) nel conto a garanzia, a conferma del consenso iniziale al pegno. Le somme ricavate dalla vendita dei vecchi BOT sono ,infatti, transitate, secondo l’accezione della Corte, sul conto corrente ordinario del ricorrente debitore nel mero lasso di tempo necessario al loro reimpiego nell’acquisto dei titoli sostitutivi (BTP), senza che questo comportasse il ritorno in disponibilità del ricorrente debitore, restando pur sempre fermo il vincolo pignoratizio su di esse gravante, che poi si è ulteriormente trasferito sui nuovi titoli acquistati in conformità alla previsione del contratto di pegno.

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 22 dicembre 2015, n.25796 – Pres. Forte – est. Nazzicone

Motivi della decisione

 

  1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 1997, 2784, 2786, 2787 c.c., nonché il vizio di motivazione contraddittoria, perché nella specie non può applicarsi la disciplina del pegno rotativo. Infatti, la banca aveva venduto i BOT nell’agosto 1996 ed inserito la somma ricavata nel conto ordinario disponibile del R. , facendo poi seguire in data 14 agosto 1996 l’acquisto di nuovi titoli BTP (decennali, dunque di diversa tipologia) depositandoli nel conto a garanzia, ma ciò senza un atto scritto del R. , che potesse valere quale atto di individuazione dei titoli da assoggettare al vincolo pignoratizio, onde era mancata la traditio, richiesta invece dall’art. 3 del contratto di pegno del 6 novembre 1991.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 1997, 2784, 2786, 2787 c.c., perché nel pegno rotativo alla consegna materiale dei nuovi titoli non può essere equiparata l’autorizzazione del terzo datore di pegno all’acquisto di nuovi titoli da depositare in pegno.

Con il terzo motivo, si duole della violazione e falsa applicazione degli art. 1997, 2784, 2786, 2787 e 2704 c.c., in quanto nel pegno rotativo la sostituzione dei titoli deve risultare da atto scritto con data certa, mentre l’autorizzazione scritta del 2 agosto 1996, ritenuta sufficiente dalla sentenza impugnata, manca di tale requisito.

  1. – I tre motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto intimamente connessi, ponendo tutti la questione se, in presenza nel contratto di pegno della clausola di c.d. rotatività, la garanzia permanga qualora la banca abbia venduto i titoli alla scadenza, depositando il controvalore su conto corrente del cliente e, dietro autorizzazione di questi espressamente riferita al conto deposito in garanzia ed al beneficiario della stessa, acquistato nuovi titoli immessi in pegno nel suddetto deposito.

Il Collegio reputa di dare al quesito risposta affermativa.

2.1. – I titoli di credito costituiscono una categoria intermedia tra diritti e beni, perché, come da tempo si osserva, la cosa è oggetto di diritto reale ed il credito incorporato esprime un diritto relativo (cfr. Cass. 23 ottobre 1998, n. 10526, che parla del pegno sui titoli ‘quale vero e proprio diritto reale limitato sui titoli’ e Cass. 26 aprile 1999, n. 4208, secondo cui il pegno di titoli ‘non costituisce un tertium genus distinto e alternativo rispetto al pegno su cose mobili e al pegno di crediti, ma rientra, sotto l’aspetto strutturale e costitutivo, nell’ambito tipologico del primo, pur partecipando, in certo qual modo, della natura del secondo in virtù del fenomeno della incorporazione del diritto nel titolo’).

Pertanto, il pegno sui titoli resta diritto reale sulla res (salvo considerare gli effetti su tale affermazione del regime di dematerializzazione dei titoli, che qui non viene in discussione).

2.2. – Il pegno rotativo – individuato come il contratto caratterizzato dal ‘patto di rotatività’, con il quale le parti convengono la variabilità dell’oggetto del pegno secondo modalità concordate ab initio e con continuità della garanzia, nonostante il variare dei beni che ne costituiscono l’oggetto, la cui sostituzione non fa venire meno quindi l’identità del rapporto giuridico – è stato reputato lecito ex art. 1322 c.c. da questa Corte da tempo risalente (sin da Cass. 28 maggio 1998, n. 5264; in seguito, cfr. Cass. n. 4520 del 2004; n. 16914 del 2003; n. 10685 del 1999; n. 5264 del 1998).

Il contratto è sorto nella prassi bancaria, allo scopo di risolvere un problema postosi in tema di pegno di titoli di credito, la cui scadenza è spesso più ravvicinata della prevedibile durata del rapporto di garanzia. In molte delle vicende venute all’attenzione dei giudici, in particolare, il problema della certezza della data si presentava ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria e la genesi del diritto reale di garanzia si faceva, così, risalire al momento della stipulazione originaria.

Il riconoscimento della validità del patto si fonda anche sulla considerazione che i terzi non vengono pregiudicati, in quanto i titoli nuovi rappresentino il reinvestimento di quelli scaduti e dunque siano di valore uguale o inferiore.

In tal modo, il c.d. patto di rotatività, in virtù del quale si prevede, fin dall’origine, la sostituzione totale o parziale dei beni oggetto della garanzia, considerati non nella loro individualità ma per il loro valore economico, è idoneo a salvaguardare la continuità del rapporto, facendosi risalire alla consegna dei beni originariamente costituiti in garanzia gli effetti della loro surrogazione.

2.3. – La Corte individuò dapprima come requisiti indispensabili del c.d. patto di rotatività, anzitutto la previsione che le future ed eventuali sostituzioni dell’oggetto della garanzia si mantengano entro il valore dei beni originariamente costituiti in pegno, e, quindi, la scrittura avente data certa che accompagni la consegna e contenga sufficiente indicazione della cosa e del credito (Cass. 28 maggio 1998, n. 5264).

Tuttavia, è stato poi precisato (Cass. 11 novembre 2003, n. 16914; 1 ottobre 2012, n. 16666), con evoluzione dal Collegio pienamente condivisa e cui intende dare continuità, che la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2787, 3 comma, c.c., va valutata con riferimento all’atto di costituzione del pegno e non ai successivi atti, pure scritti, i quali ne rappresentano un mero rinnovo, attraverso la sostituzione del titolo originariamente costituito in garanzia e nel frattempo venuto a scadenza, secondo l’espressa previsione del contratto originario che conteneva la clausola di rotatività, in tal modo quindi espressamente prevedendo l’assoggettamento all’originario vincolo dei titoli eventualmente depositati, con il consenso della banca, in sostituzione di quelli inizialmente consegnati, tale appunto essendo il portato essenziale di detta clausola.

In tal modo, questa Corte ha disatteso l’affermazione, dalla ricorrente reiterata, secondo cui i requisiti previsti dagli l’artt. 2786 e ss. c.c. per la costituzione del pegno c.d. rotativo, dovrebbero essere rispettati con riferimento sia all’atto originario di costituzione della garanzia, sia ai successivi atti di trasferimento del vincolo sui nuovi beni.

Ai fini dell’avvicendamento dei beni nel patrimonio del garante, la verifica dei requisiti previsti dall’art. 2786 c.c. non va dunque operata dal giudice del merito anche con riguardo ai successivi atti di trasferimento del vincolo: la consegna del bene sostitutivo, con il conseguente effetto traslativo del diritto reale su di esso, si configura come elemento di una fattispecie a formazione progressiva, che trae origine dall’accordo stipulato con il patto di rotatività, nella quale la volontà delle parti è perfetta già al momento dell’accordo (se sussiste certezza della data e sono determinati il credito da garantire e la cosa da offrire in garanzia) e l’eventuale sostituzione dei beni oggetto della garanzia si pone come un elemento meramente materiale.

Contrariamente all’assunto del ricorrente, il portato del patto di rotatività – col quale soprattutto si pone l’accento, in luogo che sulla individualità dei beni oggetto della garanzia, sul relativo valore economico – è appunto, in una fattispecie progressiva, nella sostituzione dell’oggetto del pegno senza necessità di ulteriori pattuizioni e, quindi, nella continuità del rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente dati in pegno.

Il trasferimento del vincolo pignoratizio su altri titoli, acquistati in sostituzione dei primi in virtù della clausola c.d. clausola rotativa pattuita, non richiedeva, dunque, che l’indicazione di tali nuovi titoli fosse espressa in un atto scritto avente data certa.

In sostanza, ciò che occorre è che la sostituzione dei beni sia accompagnata dalla specifica indicazione dei beni sostituiti e dal riferimento all’accordo originario, consentendo tali indicazioni di operare il collegamento con l’originaria pattuizione ed eliminare ogni incertezza in ordine al riferimento dei nuovi beni alla pattuizione originaria. Proprio tale collegamento permette che il vincolo pignoratizio non trovi titolo in una nuova e diversa volontà delle parti, ma nel patto originariamente concluso.

È stato, altresì, chiarito che, ai sensi dell’art. 2786, 1 comma, e 2787, 3 comma, c.c., il pegno, nel rapporto tra le parti, non è subordinato ad alcuna formalità e si costituisce con la sola consegna della cosa, mentre l’atto scritto di data certa contenente l’identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia è richiesto ai soli fini della prelazione, ossia per rendere opponibile la garanzia agli altri creditori del soggetto datore di pegno (Cass. 26 marzo 2010, n. 7257; 26 gennaio 2010, n. 1526; 19 novembre 2007, n. 23839; 5 settembre 2006, n. 19059; 19 novembre 2002, n. 16261; 23 novembre 2001, n. 14869; 7 giugno 1999, n. 5562; 4 dicembre 1985, n. 6073; 16 maggio 1977, n. 1968).

Il pegno, pertanto, nel rapporto tra le parti non è subordinato ad alcuna forma e si costituisce con la sola consegna della cosa, mentre l’atto scritto di data certa contenente l’identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia è richiesto ai fini della prelazione, la garanzia attenendo alla rilevanza interna dell’atto ed al rapporto fra i soggetti dell’operazione contrattuale, e riguardando invece la prelazione la rilevanza esterna e la circolazione del diritto.

Ciò è sufficiente ad escludere che, in tali evenienze, il trasferimento ai nuovi titoli del vincolo pignoratizio originariamente gravante sui titoli scaduti, previsto dalla convenzione stipulata per iscritto dalle parti, si realizzi sono a seguito di ulteriore atto scritto.

2.4. – Né il transito temporaneo del controvalore dei titoli pregressi, prima del reimpiego, in un conto corrente del debitore vale ad estinguere definitivamente il pegno rotativo, il quale immediatamente si ricostituisce sui nuovi titoli, con tale somma acquistati (Cass. 1 ottobre 2012, n. 16666).

L’accredito sul conto corrente ordinario del debitore, da parte della banca, della somma riveniente dalla vendita dei titoli originariamente costituiti in pegno a favore della banca stessa non implica, pertanto, l’estinzione del pegno medesimo.

2.5. – Nella specie, non è in discussione che il consenso delle parti sia stato validamente ed efficacemente manifestato al momento della conclusione del contratto recante la clausola di rotatività in data 6 novembre 1991.

L’acquisto dei nuovi titoli di credito in sostituzione si configura, pertanto, quale atto materiale dell’iter progressivo che si è concluso con la collocazione dei titoli sul conto depositi, così ricostituendosi, senza soluzione di continuità, la consegna e la garanzia.

Quella che viene, dalla sentenza impugnata e dal ricorrente, definita come l”autorizzazione’ al nuovo acquisto -e che la prima dichiara recare ‘la precisa intestazione del deposito a garanzia e del beneficiario della garanzia’ ~ appare dunque non altro che un ordine di borsa con disposizione di collocamento dei titoli nel conto a garanzia, a conferma del consenso iniziale al pegno: onde non essa era subordinata al requisito della data certa ex art. 2704 c.c., richiesto per l’acquisto dei nuovi titoli seguito dall’annotazione sul conto c.d. depositi, che la sentenza impugnata dichiara avvenuta mediante immissione dei titoli nel conto garanzia.

Inoltre, posto che il meccanismo pattizio implicava siffatto trasferimento, previa vendita dei titoli in scadenza ed utilizzo della somma ricavata per acquistarne di nuovi, appare del tutto coerente la conclusione della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto permanere il vincolo pignoratizio sui nuovi titoli, e solo ne va corretta in tal senso sul punto la motivazione ex art. 384 c.p.c..

Invero, ciò è avvenuto non in forza dell’autorizzazione della correntista all’acquisto dei titoli da depositare in pegno, dovendosi negare radicalmente che il temporaneo accredito della somma ricavata dalla vendita sul conto corrente ordinario della odierna ricorrente sia equivalso alla restituzione dei beni dati in pegno ed abbia provocato l’estinzione della garanzia (che poi, nella motivazione della impugnata sentenza, aveva necessità di essere ricostituita mediante ‘autorizzazione’ della garante). Tesi questa manifestamente incompatibile con la prevista estensione del pegno alle somme rivenienti dalla vendita dei titoli in scadenza, risultando viceversa evidente che quelle somme sono transitate sul conto nel mero lasso di tempo necessario al loro reimpiego nell’acquisto dei titoli sostitutivi, ma non per questo sono tornate nella disponibilità della correntista, restando pur sempre fermo il vincolo pignoratizio su di esse gravante, che poi si è ulteriormente trasferito sui titoli acquistati in conformità alla previsione del contratto di pegno.

In definitiva, l’accredito delle somme sul conto corrente e l’acquisto dei titoli immessi nel conto depositi sono atti che, saldandosi con il contratto di pegno con clausola di rotatività, valsero al perdurante spossessamento, mentre il consenso al reimpiego fu mera conferma della volontà del debitore in tale direzione.

  1. – Le spese di lite seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.