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La revocatoria degli accordi traslativi in sede di separazione: eventuali problemi di compatibilità con l’autonomia contrattuale

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La revocatoria degli accordi traslativi in sede di separazione: eventuali problemi di compatibilità con l’autonomia contrattuale

Si segnala all’attenzione del lettore, particolarmente interessato alle questioni attinenti ai negozi traslativi a titolo oneroso conclusi in sede di accordi di separazione, la recentissima sentenza della Cassazione n. 1404 del 2016.

La Suprema Corte era chiamata a pronunciarsi su un’azione di revocatoria proposta dalla Banca, la quale aveva impugnato l’atto traslativo avente ad oggetto la proprietà della casa coniugale che il marito aveva effettuato nei confronti della ex moglie in sede di accordi accessori alla separazione personale.

L’azione revocatoria trovava accoglimento sia in primo grado che in appello.

I ricorrenti, ex coniugi, lamentavano il fatto che il giudice delle seconde cure avesse tratto la scientia damni in capo al terzo acquirente (moglie del debitore) sulla presunzione del rapporto coniugale alla base del trasferimento oneroso.

L’ubi consistam del principio di diritto espresso dalla Cassazione si fonda sul fatto che, nel caso di specie “la prova della “participatio fraudis” del terzo, “necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici”, tra cui è compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando il vincolo sia tale da rendere estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente”.

La sentenza riportata si collega alla recente evoluzione giurisprudenziale che si registra in seno alla Corte di Cassazione che, in tema di accordi a effetti traslativi conclusi in sede di separazione, si è espressa confermando la loro validità, anche senza l’omologa del giudice, superando il tradizionale orientamento che considerava tali negozi nulli  (sul punto si rinvia al recente contributo di Angela Correra pubblicato sul nostro sito al seguente link http://www.gazzettaforense.it/news/diritto-e-procedura-civile/diritto-civile-accordi-negoziali-in-materia-familiare-segnali-di-una-evoluzione/).

Balza ictu oculi che la sentenza n. 1404/2016 segna un’importante limite all’autonomia contrattuale riconosciuta ai coniugi, i quali, a seguito del segnalato mutamento giurisprudenziale, hanno la possibilità di regolare autonomamente le questioni patrimoniali – dirette a soddisfare i supremi interessi familiari per il tempo successivo allo scioglimento della comunione – al fine di evitare che la separazione possa compromettere la protezione dei minori e dei sosggetti più deboli.

A questo punto si pone un interessante interrogativo, ovvero se i supremi valori costituzionali posti a tutela della protezione del nucleo familiare possono soggiacere rispetto alla generale garanzia patrimoniale riconosciuta al creditore ex art. 2740 c.c. su cui si fonda la ratio legis della disciplina dell’azione revocatoria.

Volendo dare una prima (quanto superficiale) risposta al nuovo quesito giurisprudenziale, che possa contemperare nel migliore dei modi le opposte esigenze in precedenza segnalate, potrebbe ipotizzarsi che laddove il presunto atto pregiudizievole per le ragioni del debitore si ponga all’interno di un negozio traslativo giustificato da interessi familiari, il giudice deve valutare in concreto la sussistenza dei presupposti del “consilium fraudis” e dellascientia damni” e non basarsi su elementi presuntivi.

Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., 26-01-2016, n. 1404

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 30023-2014 proposto da:

B.M. e C.D., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato BERTOLI ANTONIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE ARNALDO DA BRESCIA 9, presso lo studio dell’avvocato MANNOCCHI MASSIMO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2447/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/12/2015 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione: ” l’azione revocatoria proposta da Banca Antoniana Popolare Veneta nei confronti dei coniugi B.M. e C.D., in relazione all’atto traslativo della proprietà della casa coniugale dal B. alla C., inserito negli accordi accessori alla separazione personale tra i coniugi, veniva accolta in primo grado dal Tribunale di Treviso, con decisione confermata in appello dalla Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2447 del 15.10.2013, qui impugnata. Il B. e la C. propongono ricorso per cassazione articolato in due motivi, deducendo con il primo il mancato esame da parte della corte d’appello di un fatto decisivo, che l’ha portata ad erroneamente ritenere che il B. non avesse mai contestato la qualità di creditore della banca, con il secondo la violazione dell’art. 2901 c.c. per mancanza di prova in ordine all’atteggiamento soggettivo della C..

Resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., già Banca Antoniana Popolare Veneta.

Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto appare manifestamente infondato.

Per quanto concerne il primo motivo, i profili di inammissibilità evidenziati dalla banca controricorrente possono essere superati, stante l’indicazione da parte dei ricorrenti nel corpo del motivo del passo del documento al quale intendono far riferimento, e l’indicazione in paragrafo separato al termine del ricorso, della collocazione del documento stesso, al fine di assicurarne alla Corte la pronta reperibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Tuttavia, il motivo si appalesa infondato in quanto il fatto indicato come decisivo e in riferimento al quale si denuncia in realtà non una omessa motivazione ma che la corte di merito si sarebbe formata un erroneo convincimento è irrilevante nella economia della motivazione sull’azione revocatoria, atteso che uno dei presupposti per l’accoglimento è l’esistenza di un credito in capo all’attore, anche se contestato: l’esistenza di tale contestazione in capo al debitore e i termini di essa, pertanto, non rilevano.

Parimenti infondato è il secondo motivo, con il quale i ricorrenti censurano che la corte territoriale, pur non revocando in dubbio che il trasferimento di proprietà, all’interno degli accordi di separazione, fosse a titolo oneroso, abbia fondato l’affermazione della scientia damni in capo al terzo acquirente, la moglie del debitore, esclusivamente sul dato presuntivo costituito dal rapporto di coniugio. Tuttavia la corte d’appello ha deciso la suddetta questione di diritto, all’interno del provvedimento impugnato, in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, che essa stessa richiama: la prova della “participatio fraudis” del terzo, necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (Cass. n. 5359 del 2009; v. anche Cass. n. 17327 del 2011 e Cass. n. 27546 del 2014). Si tratta comunque di accertamento in fatto non censurabile in cassazione se non nei limiti dell’attuale rilevanza del vizio di motivazione.

Si propone pertanto che il ricorso sia dichiarato manifestamente infondato”.

Le parti non hanno depositato memoria.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione ritenendo che non siano necessarie rispetto ad essa altre osservazioni.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18; deve darsi atto pertanto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui 200,00 per esborsi, le spese legali in favore della parte contro ricorrente, oltre accessori e contributo spese generali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2016