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Diritto Civile – La responsabilità precontrattuale della P.A. come responsabilità da “contatto sociale qualificato”

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Diritto Civile – La responsabilità precontrattuale della P.A. come responsabilità da “contatto sociale qualificato”

Di recente la Corte di Cassazione è ritornata sulla problematica definizione della natura della responsabilità precontrattuale, nell’ambito di un contenzioso in materia d’appalto che coinvolgeva la P.A.

Lo ha fatto attraverso la sentenza n 14188 del 12 luglio 2016 (riportata in calce), all’interno della quale ha affermato due principi di diritto. In primis, la Suprema Corte ha asserito che nei contratti conclusi con la P.A. il dispiegamento degli effetti vincolanti per le parti è subordinata all’approvazione ministeriale ai sensi dell’art. 19 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, da effettuarsi con un provvedimento espresso adottato dall’organo competente nella forma solenne prescritta dalla legge, la cui esistenza non può, inoltre, desumersi implicitamente dalla condotta tenuta dalla P.A., affermando di conseguenza che ai fini del perfezionamento del vincolo contrattuale non è sufficiente la mera aggiudicazione pronunciata in favore del contraente, come pure la formale stipula del contratto ad evidenza pubblica nelle forme prescritte dalla legge.

Successivamente la Corte ha poi chiarito come l’eventuale responsabilità della P.A., in pendenza dell’approvazione ministeriale, dovesse essere, di conseguenza, visto il primo principio di diritto enunciato, configurata come responsabilità precontrattuale ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, riferendosi in questo caso ad un fatto idoneo a produrre per le parti obbligazioni ex art 1173 c.c., configurabili, tuttavia, non come obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., ma come reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione ex artt. 1175 e 1375 c.c., con la conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-07-2016, n. 14188

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21892/2011 proposto da:

ITALIA SERVICE S.R.L., (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso l’avvocato ALFREDO FIORENTINO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI FIORENTINO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI, SCUOLA ALLIEVI CARABINIERI DI ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2683/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato FIORENTINO GIOVANNI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del primo e quarto motivo, in subordine inammissibilità del terzo e quarto motivo.

 

Svolgimento del processo

 

  1. Con atto di citazione notificato il 13 dicembre 2000, la Italia Service s.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, il Ministero della Difesa, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, e la Scuola Allievi Carabinieri di Roma, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata approvazione, ai sensi del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 19, del contratto stipulato inter partes in data 1 febbraio 1993. Il Tribunale adito, con sentenza n. 31661/2004, depositata il 24 novembre 2004, rigettava la domanda, essendosi il credito estinto per prescrizione, ai sensi dell’art. 2947 c.c..
  2. Avverso la decisione di prime cure proponeva appello l’Italia Service s.r.l. che veniva disatteso dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 2683/2010, depositata il 21 giugno 2010, con la quale il giudice del gravame condivideva l’inquadramento, operato dal Tribunale, della fattispecie di responsabilità precontrattuale in esame derivante dalla mancanza di efficacia del contratti di appalto in questione, per mancato avveramento della condicio iuris rappresentata dall’approvazione da parte dell’autorità tutoria – nel modello della responsabilità di tipo aquiliano, e dichiarava, di conseguenza, prescritto, per decorso del termine quinquennale ex art. 2947 c.c., il diritto di credito azionato dall’appellante in giudizio.
  3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso la Italia Service s.r.l. nei confronti del Ministero della Difesa, del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, e della Scuola Allievi Carabinieri di Roma, affidato a quattro motivi illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..
  4. Il resistente Ministero della Difesa ha replicato con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

 

Motivi della decisione

 

  1. Con il primo motivo di ricorso, la Italia Service s.r.l.

denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1358, 1375, 2043, 2946 e 2947 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Avrebbe errato la Corte di Appello, a parere della ricorrente, nel ritenere che la mancata approvazione, da parte dell’amministrazione appaltante e per causa alla medesima imputabile, del contratto di appalto di servizi stipulato tra le parti l’1 febbraio 1993, abbia determinato un’ipotetica responsabilità precontrattuale della p.a. assimilabile alla responsabilità extracontrattuale, con conseguente prescrizione quinquennale del diritto, ai sensi dell’art. 2947 c.c.. Sicchè, essendosi l’eventuale illecito della p.a. consumato, com’è assolutamente incontroverso tra le parti, 11 gennaio 1994 data, peraltro, assunta come dies a quo anche dal giudice di primo grado e recepita da quello di appello -, ed essendo l’unico atto interruttivo del termine suindicato rappresentato dalla citazione di primo grado, notificata il 13 dicembre 2000, il diritto al risarcimento del danno azionato in giudizio dalla Italia Service s.r.l. si sarebbe irrimediabilmente prescritto.

1.2. Osserva, per contro, la ricorrente che, costituendo l’approvazione del contratto ad evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 19 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, una condicio iuris sospensiva della mera efficacia di un contratto già concluso, la responsabilità dell’amministrazione appaltante, essendo ancorata alla violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto, ai sensi degli artt. 1358 e 1375 c.c., avrebbe dovuto essere configurata dal giudice di appello come una responsabilità di tipo contrattuale, con conseguente applicazione della prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c.. Tanto più che tra l’amministrazione ed il privato verrebbe ad instaurarsi, ad avviso dell’istante, un rapporto qualificabile, secondo un consistente indirizzo giurisprudenziale, come “contatto sociale qualificato”, dal quale deriverebbero specifici obblighi di protezione della prima a favore del secondo. Di talchè, l’inadempimento di tali obblighi – non traducendosi in una lesione dall’esterno della posizione giuridica della parte interessata, ossia in virtù della condotta di un soggetto non legato ad essa da una precedente relazione giuridica, come avviene nella responsabilità aquiliana – darebbe luogo ad una responsabilità del tutto assimilabile a quella contrattuale. Con la conseguenza che, dovendo applicarsi alla fattispecie concreta l’ordinario termine decennale di prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 c.c., il diritto azionato in giudizio dalla Italia Service s.r.l. non potrebbe considerarsi prescritto.

  1. Il motivo è fondato.
  2. Va anzitutto osservato che, in relazione ai contratti conclusi con la p.a., il dispiegamento degli effetti vincolanti per le parti, al di là della formale stipula di un accordo negoziale, è subordinata all’approvazione ministeriale ai sensi del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 19, che richiede un provvedimento espresso – adottato dall’organo competente nella forma solenne prescritta dalla legge la cui esistenza non può, pertanto, desumersi implicitamente dalla condotta tenuta dall’Amministrazione. Ne discende che, ai fini del perfezionamento di un effettivo vincolo contrattuale, è insufficiente la mera aggiudicazione pronunciata in favore del contraente, come pure la formale stipula del contratto ad evidenza pubblica nelle forme prescritte dalla legge (artt. 16 e 17 del decreto cit.) (Cass. 10020/2015). L’eventuale responsabilità della p.a. – ipotetica laddove si verta, come nel caso di specie, in tema di prescrizione potrebbe, di conseguenza, essere configurata soltanto come responsabilità precontrattuale (cfr. Cass. 3383/1981;

23393/2008; 11135/2009; 9636/2015), derivandone – laddove si acceda alla tesi tradizionale, secondo la quale tale tipo di responsabilità è inquadrabile nella responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., l’applicabilità del termine quinquennale di prescrizione del diritto azionato ai sensi dell’art. 2947 c.c. (in tal senso, Cass. 2705/1983;

4051/1990).

3.1. Ne deriva che, dovendo ritenersi, nella fattispecie concreta, insussistente, fino alla concessione dell’autorizzazione da parte dell’autorità tutoria, un effettivo vincolo negoziale, ai fini di accertare l’eventuale fondatezza della censura in esame – proposta dalla Italia Service s.r.l. sotto il profilo della riconducibilità della cd. culpa in contrahendo alla responsabilità di tipo contrattuale – è necessario affrontare il dibattuto problema concernente la ravvisabilità di una responsabilità contrattuale anche in assenza di un atto negoziale dal quale scaturiscano specifici obblighi di prestazione a carico delle parti, qualora tra le stesse venga comunque ad instaurarsi una relazione qualificabile come “contatto sociale qualificato”. La risposta al quesito ha, in verità, costituito oggetto di una significativa evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, in precedenza attestata sull’affermazione della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, ed ora, invece, significativamente, e pressochè uniformemente, orientata – in materie diverse e sia pure senza una consapevole visione di insieme – nella direzione del riconoscimento di una responsabilità di tipo contrattuale, anche in assenza di un formale vincolo negoziale tra le parti.

3.2. La tesi ha la sua genesi in concezioni ed elaborazioni risalenti al diritto romano, perpetuatesi nel corso dei secoli (si consideri che la figura del quasi – contratto, della quale si dirà, si è mantenuta, con qualche variante, nel diritto comune ed è stata recepita dal Codice Napoleone e dal nostro codice civile del 1865, per poi sparire solo nel codice del 1942), e – dipoi – riprese e perfezionate dai giuristi contemporanei europei, in special modo tedeschi ed anglosassoni, oltre che dalla stessa dottrina nazionale.

Quest’ultima, nella specifica materia della responsabilità precontrattuale e, più in generale, nella costruzione di una responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato” anche in settori diversi da quello del contratto, ha, invero, fornito un apporto essenziale, agevolando il formarsi, nella giurisprudenza di legittimità, di una linea evolutiva della responsabilità civile, orientata verso un favor – laddove vi sia un contatto tra le parti che genera obblighi di informazione e di protezione, anche se non ancora di prestazione – per la più incisiva forma di tutela rappresentata dalla responsabilità contrattuale.

  1. Tanto premesso, va osservato che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato, come dianzi detto, per lungo tempo ancorato alla tradizionale concezione della responsabilità precontrattuale come responsabilità di tipo aquiliano, riconducibile al disposto dell’art. 2043 c.c., con la conseguenza che la prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, nonchè del dolo o della colpa del danneggiante, è a carico del danneggiato e che il termine di prescrizione del diritto azionato è quinquennale, ai sensi dell’art. 2947 c.c. (cfr., ex plurimis, Cass. 9157/1995; 15172/2003;

15040/2004; 16735/2011). L’affermazione appare per lo più ancorata alla bipartizione fondamentale delle fonti delle obbligazioni: da un lato le obbligazioni da atto lecito, ossia da contratto; dall’altro, le obbligazioni da fatto illecito, ossia da delitto. Ne è risultata pretermessa la terza, importante, fonte delle obbligazioni, rappresentata – ai sensi dell’art. 1173 c.c. – da “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico; il che non ha consentito di dare il giusto rilievo, sul piano giuridico”, alla peculiarità di talune situazioni non inquadrabili nè nel torto nè nel contratto, e – tuttavia – singolarmente assimilabili più alla seconda fattispecie, che non alla prima.

  1. L’ambiguità classificatoria ha radici lontane. Anche nella dottrina romana più antica la classificazione delle fonti delle obbligazioni si ridusse al dualismo tra obligationes ex contractu o ex maleficio ed obligationes ex delicto, laddove al contractus venne attribuito l’esclusivo significato di negozio giuridico bilaterale diretto a creare un vincolo obbligatorio finalizzato ad una prestazione, consistente della dazione di denaro o di una cosa. E ciò in conformità alla tradizionale (Gaio) definizione di obbligazione come “iuris vinculum”, tutelato dall’ordinamento e diretto a costringere il debitore (“necessitate adstringimur”) a dare alcunchè al creditore (“alicuius solvendae rei”) a titolo di prestazione nascente, dapprima solo dal contratto, poi anche dal delitto. E tuttavia, la bipartizione non incontrò il favore della giurisprudenza, in special modo del praetor peregrinus, che si sforzò di configurare un’obbligazione da atto lecito, pure in assenza di un negozio bilaterale. Tale opzione ermeneutica trovò, infine, un coronamento nel Digesto giustinianeo, nel quale alle obbligazioni ex contractu ed a quelle ex delicto o ex maleficio, si affiancarono le obligationes “ex variis causarum figuris”, che divennero, poi, nelle successive Istituzioni, obligationes “quasi ex contractu”. Nella categoria del “quasi contractus ” il diritto romano post-classico annoverò, dunque, quegli atti o fatti che avevano in comune il carattere negativo di non essere contratti in senso proprio, ma nei quali vi era comunque un contatto tra le parti che generava un’obbligazione in qualche modo assimilabile a quella contrattuale donde il nomen di “quasi contractus” – come nel caso dell’indebito, nel quale l’obbligo della restituzione scaturiva dal mero fatto del pagamento erroneamente eseguito, o della negotiorum gestio, scaturente da un’attività intrapresa allo scopo di fare cosa utile ad altri.
  2. L’istituto proveniente dal mondo antico è rimasto in vita – come si è detto – per secoli, fino ai codici europei dell’800. Nelle successive elaborazioni dogmatiche, la provocazione dei giuristi romani a guardare al di là del contratto formale si è tradotta, in special modo nella dottrina tedesca degli anni ’30 del secolo scorso nell’individuazione e concettualizzazione della relazione biunivoca che viene a porsi tra l’affidamento precontrattuale ed il rapporto obbligatorio, sebbene in assenza di un formale contratto e degli obblighi di prestazione che ne derivano. Fino al delinearsi, nella riflessione successiva, di un vero e proprio “rapporto obbligatorio senza obbligo di prestazione”, qualificato dall’affidamento reciproco delle parti e, perciò, connotato da “obblighi di informazione e di protezione”, costituenti un completamento ed un corollario dell’obbligo di “buona fede” che grava su ciascuna parte, laddove viene ad assumere una posizione di garanzia nei confronti dell’altra.

Gli obblighi di attenzione di ciascuna parte nei confronti dell’altra, in quanto tali qualificanti la relazione tra le stesse – che assume, pertanto, la natura di un contatto “qualificato”, poichè fondato sul reciproco affidamento -, vengono peraltro ad esistenza, secondo la dottrina tedesca, prima ed a prescindere dall’obbligo di prestazione, che scaturisce dal contratto. Ne deriva la costituzione di una relazione tra i futuri contraenti che sta in mezzo al contratto ed al torto, denominata (OMISSIS), categoria che qualifica le situazioni tra soggetti non aventi fonte in un contratto ((OMISSIS)), ma allo stesso tempo, in quanto costituenti rapporti che creano obblighi, aliene dalla riduzione extracontrattuale. Con la conseguenza che l’insorgenza di un’eventuale responsabilità a carico di una delle parti non potrà che rivestire la natura di responsabilità di tipo contrattuale.

  1. Ma all’evoluzione del concetto di responsabilità contrattuale non è estraneo neppure il mondo anglosassone, nel quale si è assistito al progressivo distacco – nelle elaborazioni del Common law – del contract dal tronco unitario ed originario dei torts, fino a divenire una figura di riferimento prevalente, nell’ambito della responsabilità civile, rispetto a quella dei torts. Non è, difatti, il primo a confluire in questi ultimi, assistendosi – ben al contrario – alla configurazione in termini di responsabilità contrattuale di vicende (cd. special relationships) nelle quali la responsabilità medesima trae origine da un rapporto non costituito mediante contratto, ma che, nondimeno, genera un affidamento di ciascuna parte nell’altra ed un correlato, reciproco, obbligo di buona fede.
  2. La dottrina italiana si è posta consapevolmente sulla stessa scia, fin dai primi anni ’90 del secolo scorso, prefigurando una forma di responsabilità che si colloca “ai confini tra contratto e torto”, in quanto radicata in un “contatto sociale” tra le parti che, in quanto dà adito ad un reciproco affidamento dei contraenti, è “qualificato” dall’obbligo di “buona fede” e dai correlati “obblighi di informazione e di protezione”, del resto positivamente sanciti dagli artt. 1175, 1375, 1337 e 1338 c.c.. Viene, per tale via, ad esistenza la figura di un rapporto obbligatorio connotato, non da obblighi di prestazione, come accade nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, bensì da obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, ad una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella contrattuale, poichè ancorabili a quei fatti ed atti idonei a produrli, costituente la terza fonte delle obbligazioni menzionata dall’art. 1173 c.c..

Si osserva, al riguardo, che la teoria degli obblighi di protezione – la cui violazione dà luogo ad une responsabilità di tipo contrattuale ha un preciso fondamento dogmatico nelle norme che costruiscono il rapporto obbligatorio come un “rapporto complesso”, le cui finalità di tutela non si riducono al solo interesse alla prestazione, definito dall’art. 1174 c.c., ma che ricomprendono anche l’interesse di protezione, preso in considerazione dalla norma successiva di cui all’art. 1175 c.c.. Nella teoria del rapporto obbligatorio – come rielaborata dalla dottrina italiana prevalente – viene messo in luce, dunque, come il proprium della responsabilità contrattuale non sia più costituito dalla violazione di una pretesa di adempimento, bensì dalla lesione arrecata ad una relazione qualificata tra soggetti, in quanto tale sottoposta dall’ordinamento alla più pregnante ed efficace forma di responsabilità, rispetto a quella aquiliana, rappresentata dalla responsabilità di tipo contrattuale (prescrizione decennale, inversione dell’onere della prova a favore del danneggiato, maggiore estensione del danno risarcibile, stante l’applicabilità solo a quest’ultima del disposto di cui all’art. 1225 c.c.).

  1. Ebbene, deve ritenersi che l’impostazione dogmatica suesposta abbia costituito una sorta di vero e proprio percorso euristico che la giurisprudenza di legittimità ha seguito, nella quasi totalità delle decisioni in materia, dandosi in tal modo luogo – come dianzi detto – ad una vera e propria evoluzione giurisprudenziale, connotata dalla piena condivisione delle elaborazioni dottrinali in tema di responsabilità contrattuale da “contatto sociale qualificato”, ormai pressochè assestata e stabile nella giurisprudenza di questa Corte.

Il che è in special modo evidenziato dal recepimento della categoria – come si vedrà- anche da parte di talune importanti decisioni delle Sezioni Unite, emesse con riferimento a fattispecie diverse.

9.1. In tema di incidenti scolastici, invero, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante, per il danno cagionato dall’alunno a se stesso, è stata configurata come responsabilità, non extracontrattuale, bensì contrattuale, fondata, per il primo, sul vincolo negoziale che si determina per effetto dell’accoglimento, da parte della scuola, della domanda di iscrizione dell’aspirante alunno, per il secondo, sul “contatto sociale” che si instaura tra precettore ed allievo. Tra tali soggetti viene, difatti, in essere un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne discende l’applicabilità, in subiecta materia, delle norme sull’onere della prova e sulla prescrizione, dettate dagli artt. 1218 e 2946 c.c. (cfr. ex plurimis, Cass. S.U. 9346/2002; Cass. 8397/2003; 24456/2005;

5067/2010; 2559/2011; 2413/2014; 3695/2016).

9.2. Del pari, in tema di responsabilità del sanitario, questa Corte ha affermato che il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “latu sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizioni del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze (Cass. 13953/2007;

18610/2015). Nei confronti del medico dipendente, invece, la responsabilità, ove non tragga origine da un contratto di prestazione d’opera professionale (qualora sia lo stesso paziente a rivolgersi ad un determinato professionista), viene a radicarsi in un “contatto sociale qualificato”, che si instaura per effetto della “presa in carico” del paziente da parte del sanitario operante presso la casa di cura o l’ente ospedaliero, e dal quale scaturiscono obblighi di protezione che comportano, in caso di loro violazione, una responsabilità di tipo contrattuale del sanitario, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. (cfr. Cass. S.U. 577/2008; Cass. 1538/2010;

20904/2013; 27855/2013; 20547/2014; 21177/2015).

9.3. Nella specifica materia della responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno, poi, affermato che la responsabilità dell’istituto di credito – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – ha natura contrattuale e non aquiliana. La banca ha, difatti, un “obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto)”, operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. Ne deriva che l’azione di risarcimento proposta dal danneggiato è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale, stabilito dall’art. 2946 cod. civ. (Cass. S.U. 14712/2007;

in senso conforme, cfr. Cass. 7618/2010; 10534/2015).

9.4. Importanti affermazioni in tema di responsabilità da contatto sociale qualificato si ritrovano, infine, nella giurisprudenza, sia dei giudici ordinari che di quelli amministrativi, concernente la violazioni degli obblighi procedimentali assunti dall’amministrazione nei confronti dei privati, in conseguenza dell’instaurazione di un procedimento amministrativo.

9.4.1. Ed invero, questa Corte ha, in proposito, da tempo affermato che, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 241 del 1990, e della conseguente nuova concezione dei rapporti tra cittadino ed amministrazione, la responsabilità di quest’ultima per la lesione degli interessi procedimentali del privato si radica – a differenza di quanto deve ritenersi per il periodo precedente – nella violazione dei canoni contrattuali di correttezza e di buona fede (Cass. 157/2003). Sicchè, nella vigenza della legge succitata, deve distinguersi tra la lesione dell’interesse oppositivo o pretensivo, o anche della mera integrità patrimoniale del cittadino (quando l’interesse sia soddisfatto, seppure in modo illegittimo), dovuta all’esercizio illegittimo o al mancato esercizio (silenzio inadempimento o rifiuto) dell’attività amministrativa, talchè risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della p.a., l’interesse al bene della vita al quale la suddetta posizione soggettiva del privato si correla, che dà luogo a responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (cfr. la fondamentale Cass. S.U. 500/1999; conf., da ultimo, Cass. 23170/2014; 11794/2015; S.U. 17586/2015), dal danno derivante dalla violazione delle regole procedimentali dell’attività amministrativa medesima. La lesione di tali regole, giacchè riconducibile all’inadempimento del rapporto che si instaura in relazione all’obbligo imposto dalla normativa che regola il comportamento della p.a., assume, invero, un carattere del tutto autonomo rispetto al pregiudizio costituito dalla perdita sostanziale del bene della vita al quale il privato aspira, ed è, pertanto, inquadrabile – stante il contatto qualificato che viene ad instaurarsi tra il privato e l’amministrazione nel procedimento – nella fattispecie della responsabilità di tipo contrattuale ex art. 1218 cod. civ. (Cass. 24382/2010).

9.4.2. Nella medesima prospettiva si è posta, peraltro, la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale il danno da illecito provvedimentale, ossia da provvedimento o comportamento (silenzio) illegittimo della p.a., che abbia leso un interesse legittimo del privato con incidenza sul bene della vita finale, rientra nello schema della responsabilità extracontrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c., giacchè, con la domanda di ristoro del danno subito, il cittadino non si duole dell’ottemperanza ad uno o più obblighi gravanti a carico della p.a., bensì dello scorretto esercizio del potere amministrativo (cfr., ex plurimis, C. St. n. 1833/2013;

6450/2014; 675/2015; 284/2016). Per converso, la relazione che viene ad instaurarsi tra il privato e l’amministrazione nel procedimento amministrativo è ricostruibile in termini di “contatto sociale qualificato”, sicchè i comportamenti positivi o negativi della p.a., parametrati sulle regole che governano il procedimento in questione, possono tradursi nella lesione patrimoniale dell’interesse del privato al bene della vita realizzabile mediante l’intermediazione del procedimento stesso. Ne deriva che il diritto al risarcimento dell’eventuale danno subito dal cittadino presenta, nella fattispecie in parola, una fisionomia sui generis, non riconducibile al mero modello aquiliano ex art. 2043 c.c., essendo connotata dal rilievo di alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, con conseguente applicabilità delle norme in materia di responsabilità contrattuale, concernenti la prescrizione del diritto, l’onere della prova e l’area del danno risarcibile (cfr., ex plurimis, C. St.

4461/2005; 1467/2010; 6421/2014).

  1. Orbene, la disamina che precede evidenzia che le affermazioni giurisprudenziali in ordine ad una responsabilità contrattuale da “contatto sociale qualificato” muovono – nelle più diverse materie dalla considerazione di situazioni nelle quali, per effetto del rapporto che si è venuto a creare tra le parti e del conseguente affidamento che ciascuna di esse ripone nella buona fede, nella correttezza e nella professionalità dell’altra, si generano tra le stesse obblighi di protezione che precedono e si aggiungono agli obblighi di prestazione scaturenti dal contratto. Ma è proprio nella specifica materia contrattuale, della quale si controverte in questa sede, che alcune pronunce delle Sezioni Unite hanno disegnato, in modo particolarmente incisivo, i tratti essenziali di una responsabilità contrattuale non fondata su di un atto negoziale, bensì su una relazione di vita produttiva di obblighi la cui violazione è assimilabile a quella arrecata agli obblighi scaturenti dal contratto. Si è, invero, affermato – al riguardo – che rientrano nelle controversie di natura contrattuale, non solo quelle riguardanti il mancato adempimento di un obbligo di prestazione di fonte negoziale, della cui natura contrattuale non è possibile dubitare, ma anche le controversie nelle quali l’attore alleghi l’esistenza di una regola di condotta legata ad una “relazione liberamente assunta tra lui e l’altra parte” e ne lamenti la violazione da parte di quest’ultima (Cass. S.U. 24906/2011).

Ed inoltre – nell’affermare la validità del cd. preliminare di preliminare, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto – le Sezioni Unite hanno osservato che, in relazione alle “puntuazioni” che, pur non dando luogo ad un vero e proprio contratto preliminare sono, tuttavia, vincolanti in relazione ai profili sui quali si è raggiunto un accordo irrevocabile, “la violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, dà luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell’art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” (Cass. S.U. 4628/2015).

  1. Nello stesso ordine di idee, si colloca, peraltro, anche una decisione della Corte di Giustizia, in materia di determinazione delle competenze giurisdizionali ex art. 5, punto 1, della Convenzione del 27 settembre 1968, nella quale si afferma, a chiare lettere, che costituisce materia contrattuale ogni relazione giuridicamente rilevante tra due parti, ossia un “obbligo liberamente assunto” da una parte nei confronti dell’altra, pure in assenza di un formale atto negoziale (C. Giust., 17/6/1992, C- 261/91, Handte).
  2. Alla stregua delle riflessioni che precedono e della diffusività ormai assunta dalla teorica della responsabilità da “contatto sociale qualificato”, non può revocarsi in dubbio che l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità precontrattuale ex artt. 1337 e 1338 c.c., debba essere rimeditato.

12.1. Le considerazioni svolte dalla dottrina e recepite dalla massima parte della giurisprudenza hanno, invero, evidenziato che l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi “culpa in contrahendo” solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti. Ne discende che la responsabilità per il danno cagionato da una parte all’altra, in quanto ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fece, protezione, informazione) precedenti quelli che deriveranno dal contratto, se ed allorquando verrà concluso, e non del generico dovere del neminem laedere, non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale. Certo, può obiettarsi – ed una parte minoritaria della dottrina lo ha fatto – che anche l’investimento di un pedone, uno scontro tra veicoli, un atto violento che produca una lesione, danno vita ad un contatto sociale, possibile fondamento di una responsabilità che va oltre quella extracontrattuale, meno gravosa per il danneggiante. Ma l’obiezione, incentrandosi sulla considerazione del contatto sociale semplice, non coglie il proprium della responsabilità in parola, nella quale il contatto sociale tra sfere giuridiche diverse deve essere “qualificato”, ossia connotato da uno “scopo” che, per il suo tramite, le parti intendano perseguire.

In virtù di tale relazione qualificata, una persona – al fine di conseguire un obiettivo determinato (stipulare un contratto non svantaggioso, evitare eventi pregiudizievoli alla persona o al patrimonio, assicurarsi il corretto esercizio dell’azione amministrativa) – affida i propri beni della vita alla correttezza, all’influenza ed alla professionalità di un’altra persona. Per il che non si verte – com’è del tutto evidente – in un’ipotesi di mero contatto sociale, bensì di un contatto sociale pregnante che diventa fonte di responsabilità – concretando un fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c. – in virtù di un affidamento reciproco delle parti e della conseguente insorgenza di specifici, e reciproci, obblighi di buona fede, di protezione e di informazione.

12.2. L’esserci una struttura obbligatoria, vicenda tipica dell’obbligazione senza prestazione, segna, dunque, la differenza con la responsabilità aquiliana, alla base della quale non vi è alcun obbligo specifico, costituendo anche il generico dovere di “alterum non laedere” niente altro che la proiezione – insita nel concetto stesso di responsabilità – sul danneggiante del diritto del danneggiato all’integrità della propria sfera giuridica, al di fuori di un preesistente rapporto con il primo, atteso che, senza il rispetto da parte di chiunque altro dal titolare, il diritto in questione non sarebbe tale.

Il “non rapporto” caratterizza, pertanto, la responsabilità civile aquiliana, nella quale la rilevanza giuridica del contatto semplice tra soggetti viene alla luce solo nel momento della lesione, generando l’obbligo del risarcimento, laddove nella relazione da “contatto sociale qualificato” sussiste un rapporto connotato da obblighi già a monte della lesione, ancorchè non si tratti di obblighi di prestazione (art. 1174 c.c.), bensì di obblighi di protezione correlati all’obbligo di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).

  1. Certamente significative in tal senso si rivelano le decisioni nelle quali questa Corte ha affermato che il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, espressione del dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico di entrambe, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge. Ne discende che la violazione di tale principio “costituisce di per sè inadempimento” e può comportare l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato a titolo di responsabilità contrattuale (cfr., tra le tante, Cass. 21250/2008; 1618/2009; 22819/2010). Nella medesima prospettiva – ad evidenziare ulteriormente come la responsabilità di tipo contrattuale possa essere, in concreto, ancorata, oltre che alla violazione di obblighi di prestazione, anche alla violazione di doveri di protezione, che vengono in rilievo prima ed a prescindere dagli altri – questa Corte ha, altresì, statuito che la violazione della clausola generale di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., può assumere rilevanza, ai fini della risoluzione del rapporto per inadempimento, qualora, incidendo sulla condotta sostanziale che le parti sono obbligate a tenere per preservare il reciproco interesse all’esatto adempimento delle rispettive prestazioni, pregiudichi gli effetti economici e giuridici del contratto (Cass. 11437/2002).
  2. Ebbene, il significativo ampliamento dell’area di applicazione della responsabilità contrattuale che ne è derivato è certamente frutto di un’ evoluzione nel modo di intendere la responsabilità civile che dottrina e giurisprudenza hanno operato, nella prospettiva di assicurare a coloro che instaurano con altri soggetti relazioni significative e rilevanti, poichè involgenti i loro beni ed interessi – sempre più numerose e diffuse nell’evolversi della società, dei bisogni e delle esigenze dei cittadini -, una tutela più incisiva ed efficace rispetto a quella garantita dalla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.. Quest’ultima resta, pertanto, limitata al solo ambito nel quale si riscontrino lesioni ab extrinseco a beni o interessi altrui, al di fuori di qualsiasi rapporto preesistente che si ponga come fonte di obblighi di vario genere (di prestazione e/o di protezione), tali da radicare una responsabilità di tipo contrattuale.
  3. Non mancano, tuttavia, specifiche statuizioni di questa Corte proprio nel senso della configurabilità – che qui più interessa – della responsabilità precontrattuale come responsabilità contrattuale da “contatto sociale qualificato”.

15.1. Con riferimento alla fattispecie concernente l’erronea scelta del contraente di un contratto di appalto, divenuto inefficace e “tamquam non esset” per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, questa Corte ha, difatti, affermato che siffatta evenienza espone la p.a. al risarcimento dei danni per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario. Tale responsabilità – si è osservato – non è, peraltro, qualificabile nè come aquiliana, nè come contrattuale in senso proprio, sebbene a questa si avvicini poichè consegue al “contatto qualificato” tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto, ed ha origine nella violazione del dovere di buona fede e correttezza, per avere l’amministrazione indetto la gara e dato esecuzione ad un’aggiudicazione apparentemente legittima, in tal modo provocando la lesione dell’interesse del privato, assimilabile a un diritto soggettivo avente ad oggetto l’affidamento incolpevole nella regolarità e legittimità dell’aggiudicazione. (Cass. 24438/2011).

15.2. Sempre con riferimento alla responsabilità precontrattuale, si è, dipoi, ancora più puntualmente osservato che la parte che agisca in giudizio per il risarcimento del danno subito nella fese che precede la stipula del contratto, non è tenuta a provare l’elemento soggettivo dell’autore dell’illecito (dolo o colpa), versandosi – come nel caso di responsabilità da contatto sociale, di cui la responsabilità precontrattuale costituisce “una figura normativamente qualificata” – in una delle ipotesi previste dall’art. 1173 cod. civ. (Cass. 27648/2011). La decisione si pone, pertanto, perfettamente in linea con la vista impostazione dottrinale che considera la struttura della “culpa in contrahendo” come fondata, non più sulla colpa, bensì sulla violazione della buona fede nelle trattative, ed il “contatto sociale qualificato” come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 c.c.. La medesima sentenza si fa, peraltro, carico di specificare che colui che agisca in giudizio a titolo di responsabilità precontrattuale deve, per contro, allegare, e occorrendo dimostrare, il danno e l’avvenuta lesione della sua buona fede, in una prospettiva di bilanciamento dei diritti delle parti coinvolte nella vicenda precontrattuale.

  1. I principi affermati nelle due ultime decisioni suesposte – del resto conformi alle citate statuizioni rese dalla giurisprudenza di legittimità in materie diverse dal contratto, ed alle persuasive elaborazioni teoriche della dottrina nazionale ed europea – a giudizio della Corte, sono pienamente convincenti e vanno, pertanto condivisi. Ne discende – con riferimento al caso concreto – che, vertendosi in ipotesi di responsabilità di tipo contrattuale, deve applicarsi alla fattispecie concreta il termine decennale di prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 c.c., con la conseguenza che essendosi l’eventuale illecito della p.a. consumato, com’è assolutamente incontroverso tra le parti, l’1 gennaio 1994, ed essendo il stato il termine suindicato interrotto per effetto della citazione di primo grado, notificata il 13 dicembre 2000, il diritto al risarcimento del danno azionato in giudizio dalla Italia Service s.r.l. – contrariamente all’assunto del giudice di appello – non può ritenersi prescritto.
  2. Il primo motivo di ricorso deve, pertanto, essere accolto.
  3. Restano assorbiti gli altri tre motivi, con i quali la ricorrente censura statuizioni della decisione di appello (sulla ritenuta impossibilità per il giudice ordinario di disapplicare il provvedimento di diniego di approvazione del contratto, e sulla non censurabilità della scelta discrezionale dell’amministrazione di non consentire l’esecuzione immediata del contratto nelle more dell’approvazione, R.D. n. 263 del 1928, ex art. 28), rese solo ad abundantiam dalla Corte di merito, come riconosciuto dalla stessa Italia Service s.r.l. (p. 29 del ricorso), e che, comunque, ben possono essere riproposte al giudice di rinvio.
  4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta, invero, la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “nei contratti conclusi con la pubblica amministrazione, il dispiegamento degli effetti vincolanti per le parti, al di là della formale stipula di un accordo negoziale, è subordinata all’approvazione ministeriale ai sensi del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 19, da effettuarsi con un provvedimento espresso adottato dall’organo competente nella forma solenne prescritta dalla legge, la cui esistenza non può desumersi implicitamente dalla condotta tenuta dall’amministrazione, sicchè, ai fini del perfezionamento effettivo del vincolo contrattuale, pur se formalmente esistente, non è sufficiente la mera aggiudicazione pronunciata in favore del contraente, come pure la formale stipula del contratto ad evidenza pubblica nelle forme prescritte dalla legge (artt. 16 e 17 del decreto cit.); l’eventuale responsabilità dell’amministrazione, in pendenza dell’approvazione ministeriale, deve essere, di conseguenza, configurata come responsabilità precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c.”.
  5. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il primo motivo ricorso, assorbiti gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2016