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Sull’utilizzazione esclusiva del bene condominiale

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Sull’utilizzazione esclusiva del bene condominiale

Il singolo condominio può utilizzare in modo esclusivo il bene comune a patto che non leda il diritto degli altri condomini di utilizzarlo e non comprometta la sicurezza dello stabile e il decoro architettonico dello stesso.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione Civile, sezione II, con la sentenza n. 4437 del 21.02.2017, secondo cui: “il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro – ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi – e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale».

L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, non integrano, di massima, abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, primo comma cod. civ., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario.

Ne deriva che negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono pertanto utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l’esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato.

La sentenza origina dalla vicenda che ha interessato due condomini, i quali a fronte della trasformazione in autorimessa di un vano, situato al piano terra di uno stabile di proprietà di altro condomino lo citano per avere lo stesso realizzato le opere mediante il parziale abbattimento di un muro condominiale, pregiudicando, a loro avviso, la stabilità e la sicurezza dell’edificio, con lesione altresì del decoro architettonico dello stabile. Gli attori concludevano per il ripristino a carico del convenuto della situazione preesistente, oltre al risarcimento dei danni tutti sopportati. Il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria, tuttavia ha ritenuto che le opere così come eseguite avevano effettivamente pregiudicato il decoro architettonico dell’edificio condominiale, dichiarando il convenuto obbligato al ripristino dell’originario assetto e del decoro architettonico della facciata dell’edificio, preesistente a tutti i lavori e le opere dallo stesso realizzate.

La Corte di appello adita dal soccombente ha riformato la decisione del Tribunale, ritenendo che l’opera muraria non aveva comportato alcuna significativa alterazione del decoro architettonico. Per la Corte territoriale il nuovo accesso presentava caratteristiche del tutto simili al vicino portone che, all’evidenza, richiamava sotto il profilo estetico.

La Suprema Corte, ha confermato la tesi di merito, ritenendo i Giudici di Piazza Cavour che l’allargamento dell’apertura da parte del proprietario per trasformare la finestra in passo carrabile «ha semplicemente comportato un uso più intenso della cosa comune, come tale consentito dall’art. 1102 cod. civ., senza con questo alterare il rapporto di equilibrio con gli altri comproprietari.

La decisione non sembra criticabile in punto di diritto in quanto si pone in linea con i principi ispiratori della Riforma legislativa in materia di Condominio, in ossequio a quell’orientamento giurisprudenziale che estende l’applicabilità del generale principio di buona fede oggettiva anche ai diritti reali e ai rapporti tra condomini, dove per buona fede s’intenda l’obbligo generale di reciproca lealtà di condotta in tutte le fasi del rapporto e che permetta di mantenere la relazione giuridica nei binari dell’equilibrio e della proporzione.