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L’appaltatore è responsabile anche quando la mera ristrutturazione è in grado di ledere il godimento del bene.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

L’appaltatore è responsabile anche quando la mera ristrutturazione è in grado di ledere il godimento del bene.

 

Lo scorso 27 marzo, la Suprema Corte si è espressa a Sezioni Unite sull’interessante questione involgente la responsabilità dell’appaltatore e sui precisi limiti di applicabilità dell’art. 1669 c.c..

Come noto il suddetto articolo, prevede che l’appaltatore è responsabile per la rovina e i difetti di cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata. Una parte della dottrina e della giurisprudenza ha interpretato, per lungo tempo, questa norma come applicabile solo alle ipotesi di ricostruzione o di costruzione di una nuova parte dell’immobile; escludendone l’applicabilità nei casi di ristrutturazione o parziale modifica di un edificio.

Nel caso di specie, si trattava proprio di interventi di ristrutturazione e manutenzione di parti di un edificio, mal compiuti, per cui i condomini domandavano il risarcimento dei danni riscontrati alle pareti del fabbricato. Dopo l’iniziale accoglimento della domanda in primo grado; la Corte d’Appello di Ancona rigettava la richiesta di risarcimento sulla base dell’inapplicabilità della norma, in quanto la costruzione di un edificio o cosa immobile destinata a lunga durata, costituisce presupposto e limite della responsabilità dell’appaltatore.

Giunta la questione, dinanzi alle SS.UU., il Supremo Collegio aderisce ad un orientamento giurisprudenziale recente, meno restrittivo di quello accolto fino ad ora. Si chiarisce che interventi di ristrutturazione o altri interventi di natura immobiliare, possono rovinare o presentare evidente pericolo di rovina del manufatto, tanto nella porzione riparata o modificata, quanto in quella diversa e persistente coinvolta. In particolare tra i “gravi difetti” menzionati dal 1669 c.c., secondo il Collegio, sono da annoverare anche quelli che riguardano elementi secondari o accessori, purché tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa e da richiedere non opere di ristrutturazione straordinaria ma ordinaria. Ne consegue che è del tutto indifferente che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova. Questo non implica la necessità che si tratti della prima realizzazione dell’immobile, essendo ben possibile che l’opus, oggetto dell’appalto, consista e si esaurisca in questi stessi e soli elementi.

Pertanto, attraverso l’esame degli elementi “secondari”, la Suprema Corte riesce a smentire tutte le osservazioni che dottrina e giurisprudenza avevano sollevato, soffermandosi solo sul momento formativo dell’opera. Per rilevare i “gravi difetti”, è necessario, ad avviso della pronuncia, valutare l’aspetto funzionale del prodotto conseguito e la sua concreta incidenza sul godimento del bene; solo in tal modo sarà possibile addebitare una responsabilità ex art. 1669 c.c. all’appaltatore.

In ultima analisi, le Sezioni Unite cassano con rinvio la sentenza di secondo grado, emanando un importante principio di diritto: “l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere agli interventi manutentivi e modificativi di lunga durata su immobili preesistenti che rovinino o presentino gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo”.