NOTA A SENT. CASS. SS. UU. 11748/2019
Con la sentenza n. 11748, pubblicata il 03/05/2019, la Corte di Cassazione ha definito la querelle giurisprudenziale imperniatasi intorno all’imputabilità dell’onere della prova dei vizi della res acquistata, in caso di esperimento di azioni edilizie.
In particolare, l’ordinanza interlocutoria formulata dalla seconda sezione della Suprema Corte ha chiesto l’intervento delle Sezioni Unite affinché chiarisse se, in caso di compravendita di bene mobile – individuato solo nel genere -, l’esperimento di azioni edilizie (e, nel caso di specie, dell’azione redibitoria), comporti a carico dell’acquirente l’onere di dimostrare l’esistenza del vizio o, al contrario, a carico del venditore quello di provare l’esatto adempimento dell’obbligo di consegna del bene immune da vizi.
La controversia si annoda intorno al contratto di compravendita intercorso tra due società ed avente ad oggetto una partita di lampadari in vetro: al momento della consegna dei beni, la parte acquirente lamentava vizi tali da renderli inutilizzabili all’uso cui erano destinati, per cui gli stessi venivano comunicati via fax alla società venditrice. Contro il decreto ingiuntivo, da quest’ultima ottenuto per il recupero della somma convenuta a titolo di prezzo per la compravendita, mai corrisposto, la società acquirente proponeva opposizione all’ufficio del giudice di pace, sul presupposto che i beni venduti risultassero inidonei all’uso; chiedeva, pertanto, la revoca dell’ingiunzione, la risoluzione del contratto di compravendita ed il risarcimento del danno patito. Il Giudice di primo grado respingeva le domande dell’opponente sostenendo, tra l’altro, che non era stata dimostrata l’esistenza dei vizi lamentati. Il giudizio di appello proposto si concludeva con una pronuncia di inammissibilità del ricorso ex art. 348 bis c.p.c., ma la società acquirente ricorreva poi in Cassazione, fondando la propria posizione, tra l’altro, sull’asserita violazione degli artt. 113 c.p.c., 1460 e 2697 c.c., censurando il difetto di prova dichiarato dal giudice di prime cure.
Con l’ordinanza depositata il 26/09/2018, gli atti venivano rimessi alle sezioni unite, essendo emerso un contrasto giurisprudenziale relativo alla questione sottolineata, in particolare, con il secondo motivo di ricorso.
Infatti, aderendo ad un orientamento piuttosto consolidato, la giurisprudenza di legittimità fino al 2013 ha ripetutamente sottolineato che l’onere probatorio dell’esistenza di vizi, in caso di esperimento di azioni edilizie, incomba sull’acquirente (Cass. 1035/68, Cass. 2841/74, Cass. 7986/91, Cass. 8533/94, Cass. 8963/98, Cass. 13695/07, Cass. 18125/13), così come sostenuto nel controricorso articolato dalla società venditrice. Al contrario, parte acquirente richiamava l’orientamento di cui alla sent. Cass. n. 20113/2013, secondo cui l’onere di provare il corretto adempimento dell’obbligo di consegna ex art. 1476 c.c. incombe sul venditore, sul presupposto che valgano i principi dettati in tema di inadempimento contrattuale. Se ciò fosse vero, cioè, l’interesse dell’acquirente verrebbe soddisfatto con la consegna di un bene rispondente all’utilità cui è preordinato e sarebbe per lui sufficiente allegare l’inesatto adempimento o denunciare la presenza di vizi sul bene, affinché spetti poi al venditore (in qualità di debitore) provare la consegna di una cosa conforme all’uso stabilito, in virtù del principio di riferibilità della prova. Tale orientamento, che non aveva trovato largo seguito, mutuava il principio di diritto di cui alla sentenza n. 13522/2001 delle Sezioni Unite, formulato tuttavia in materia di obbligazioni.
Al fine di dirimere il contrasto interno, le Sezioni Unite hanno analizzato la natura giuridica delle obbligazioni a carico del venditore ex art. 1476 c.c., precisando che la disciplina della compravendita non porrebbe alcun obbligo accessorio o di prestazione relativo all’immunità da vizi, a carico del venditore per cui, ai fini dell’esatto adempimento dell’obbligazione di consegna, il venditore dovrebbe soltanto consegnare la cosa o le cose determinate in contratto o individuate successivamente, indipendentemente dalla eventuale presenza di vizi nelle stesse.
Tuttavia, precisa la Corte, la medesima disposizione, allorquando impone al venditore la garanzia per evizione, lo porrebbe in una posizione di “soggezione” diversa da quella obbligatoria tradizionale, esponendolo all’eventuale ricorso, da parte del compratore, ai rimedi edilizi in cui la garanzia stessa si sostanzia. La conseguente responsabilità che essa pone in capo al venditore andrebbe, perciò, qualificata come una “responsabilità contrattuale speciale”, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita e non da quelle sulle obbligazioni in generale. Si tratterebbe, più specificamente, di una responsabilità oggettiva fondata sull’imperfetta attuazione del risultato traslativo della compravendita, ascrivibile alla presenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendono inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore.
Con specifico riguardo ai contratti traslativi, a parere della Corte, la spiegazione delle peculiarità dei vizi e dei relativi rimedi richiederebbe il superamento del concetto classico di inadempimento – inteso come inattuazione dell’obbligazione contrattuale – e il riconoscimento della possibilità di configurare vere e proprie anomalie dell’attribuzione traslativa, con l’effetto che la consegna della cosa viziata costituirebbe non l’inadempimento di una obbligazione (di consegna o di individuazione), ma la imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso.
Pertanto, in caso di azioni edilizie esperite a fronte dei vizi o dei difetti riscontrati a seguito dell’avvenuta consegna dei beni da parte del venditore – il quale avrebbe quindi estinto le proprie obbligazioni ex art. 1476 c.c. -, l’onere della relativa prova grava unicamente sul compratore, in applicazione dell’art. 2967 c.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.