Home Approfondimenti Diritto Amministrativo. La pubblicità ingannevole delle patatine San Carlo

Diritto Amministrativo. La pubblicità ingannevole delle patatine San Carlo

2394
0
CONDIVIDI
Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La pubblicità ingannevole delle patatine San Carlo

Una sanzione da € 350.000 per la San Carlo, nota produttrice di snack e patatine fritte in busta, per aver posto in essere pratiche commerciali pubblicitarie scorrette poichè, secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato:

  1. la presentazione del prodotto “Light − 30% di grassi” è idoneo a fuorviare i consumatori in ordine all’effettiva portata nutrizionale del prodotto a causa della non corretta veicolazione del termine di raffronto;
  2. la presentazione del prodotto “Rustica – le ricette di Cracco” risulta ambigua ed omissiva circa le reali caratteristiche ed i reali ingredienti delle patatine per via dell’assenza di evidenti specifiche accanto all’immagine presente sulle confezioni;
  3. nelle referenze della licenza “AnticaTrattoria” è indicata, con enfasi ed immagini, la presenza di olio di oliva nel prodotto senza evidenziarne l’effettiva percentuale utilizzata, ridotta rispetto ai compresenti oli vegetali.

Questi i motivi fondanti il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, impugnato dalla San Carlo S.p.A. e confermato dal T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, con la sentenza n° 12709 del 10.11.2015.

Il Tribunale romano, dopo aver premesso che “scorretto non è stato qualificato il ciclo produttivo delle patatine delle tre linee (“Light – 30% di grassi”, “Autentica Trattoria” e la “Rustica – le ricette di Cracco”) e cioè ad esempio la quantità di grassi presenti nella “Light – 30% di grassi”, l’olio usato per friggere le patatine dell’“Autentica Trattoria” e gli ingredienti utilizzati per la

le condotte tenute dalla San Carlo attengono alla medesima categoria merceologica “Rustica – le ricette di Cracco” quanto piuttosto – e soltanto – la pubblicità che è stata fatta, nelle diverse e molteplici modalità, per reclamizzare le caratteristiche di tali prodotti”, è passato ad esaminare i singoli motivi di impugnazione valutando la sussistenza o meno delle pratiche commerciali scorrette rilevate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Per quanto riguarda il rilievo sub a), secondo il Tribunale capitolino l’enfasi grafica attribuita alla percentuale di riduzione dei grassi è inidonea ad offrire al consumatore l’informazione in merito al reale quantitativo dei grassi inducendo il consumatore ad acquistare il prodotto “credendo che lo stesso arrechi in assoluto, al proprio regime alimentare, un apporto nutrizionale ridotto in grassi e non invece, come realmente è, un ridotto apporto rispetto alle altre patatine classiche”.

Per quanto riguarda, il rilievo sub b), “il messaggio è indubbiamente ambiguo perchè induce il consumatore medio a ritenere che la confezione contiene patatine fritte arricchite di altri ingredienti” specificando solo con caratteri più piccoli che l’immagine non rappresenta il gusto della patatina ma è puramente illustrativa di una ricetta di Cracco.

Per quanto riguarda, infine, il rilievo sub c), il dato relativo al reale contenuto dell’olio di oliva nel prodotto non viene accostato all’indicazione frontale ma è relegato sul retro della confezione, ove si legge che tale quantitativo è sensibilmente inferiore (5%) rispetto al contestuale impiego di oli vegetali.

Sul punto, il T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, ha affermato che “la scorrettezza della pratica commerciale, in ordine alla reale portata del prodotto, non può ritenersi sanata dalla possibilità per il consumatore di ottenere, anche in un momento immediatamente successivo, ulteriori dettagli informativi, laddove il messaggio promozionale, attraverso il suo contenuto non trasparente, determinato dalle modalità di presentazione del prodotto, risulta già idoneo, nella sua recettività, ad agganciare il consumatore al primo contatto”.

In altre parole, tutte le informazioni importanti che, secondo buon senso e correttezza, si presume possano influenzare il consumatore nell’effettuare la propria scelta, devono essere rese “già al primo contatto” per cui, come affermato dalla giurisprudenza, “la completezza e la veridicità di un messaggio promozionale va verificata nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l’operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto”.

In conclusione sulla scorta delle superiori argomentazioni, il T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, con la sentenza in esame, ha affermato che “l’ingannevolezza di un messaggio può discendere, oltre che dall’omissione di elementi di rilievo, anche dalle modalità grafiche ed espressive con cui gli elementi del prodotto vengono rappresentati all’interno del messaggio e dalle scelte in ordine alla enfatizzazione di alcuni di essi”.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 5520/15, proposto dalla San Carlo Gruppo Alimentari

s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo

Merola, Fabio Elefante e Sara Lembo e con questi elettivamente domiciliata a Roma, via Salaria, n.

259,

contro

l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, in persona del legale rappresentante

in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliata,

per l’annullamento

del provvedimento n. 25311 del 3 febbraio 2015, con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza

e del Mercato le ha irrogato la sanzione di € 350.000 per asserita violazione della disciplina in

materia di pratiche commerciali scorrette, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b, e 22, comma

2, del Codice del consumo (Cod. cons.), con conseguente inibitoria della prosecuzione delle

condotte sanzionate, nonché di ogni altro atto o provvedimento presupposto, connesso e comunque

conseguenziale, nessuno escluso, ivi incluso il provvedimento n. 51181 del 31 ottobre 2014 di

rigetto degli impegni.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 4 novembre 2015 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i

difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

FATTO

  1. Con ricorso notificato in data 17 aprile 2015 e depositato il successivo 30 aprile la San Carlo

Gruppo Alimentari s.p.a., produttrice di snack e patatine fritte in busta, è insorta avverso il

provvedimento n. 25311 del 3 febbraio 2015, con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e

del Mercato le ha irrogato la sanzione di € 350.000 per asserita violazione della disciplina in

materia di pratiche commerciali scorrette, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), e 22, comma

2, del Cod. cons., con conseguente inibitoria della prosecuzione delle condotte sanzionate, nonché il

provvedimento n. 51181 del 31 ottobre 2014, di rigetto degli impegni assunti.

Ad avviso dell’Agcm la società ha posto in essere pratiche ingannevoli ed omissive diffondendo –

sul packaging, a mezzo styampa, mediante stop Tv, affissionali nonché nel web e sul sito internet

aziendale www.sancarlo.it – messaggi pubblicitari intesi a presentare le diverse linee di patatine

fritte in busta con specifiche indicazioni di tipo nutrizionale o di ricettazione che risultano di

particolare appeal per i consumatori, soprattutto per quelli attenti, anche per motivi di salute, ad

un’alimentazione più sana. In particolare:

  1. a) nella presentazione del prodotto “Light – 30% di grassi” è adottato un claim nutrizionale

comparativo non immediatamente ed adeguatamente accostato al necessario termine di paragone;

  1. b) per le referenze della linea “Autentica Trattoria” è indicata, con enfasi e immagini, la presenza di

olio di oliva nel prodotto senza evidenziare contestualmente l’effettivo ridotto contenuto di tale

ingrediente rispetto ai compresenti oli vegetali;

  1. c) la presentazione delle patatine “Rustica – le ricette di Cracco” risulta ambigua ed omissiva circa

le reali caratteristiche e ingredienti del prodotto per via dell’assenza di evidenti specifiche accanto

all’immagine presente su ciascuna confezione.

Assume la ricorrente che, essendo stata informata dell’inizio del procedimento istruttorio da parte

dell’Autorità, aveva presentato due impegni intesi ad eliminare, ai sensi dell’art. 27, comma 7, del

Codice del consumo, due delle quattro criticità che le erano state contestate e, precisamente, quelle

relative ai prodotti “Autentica Trattoria” e al marchio “San Oil”. Ma i due impegni sono stati

rigettati perché ritenuti “parziali” e “inidonei a rimuovere” i profili d’illegittimità riscontrati”. Ciò

nonostante essa, a conferma del proprio spirito collaborativo, ha attuato le due misure proposte.

  1. Avverso le determinazioni assunte dall’Autorità la San Carlo è insorta deducendo le seguenti

censure:

  1. a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 comma 7, del Codice del consumo – Eccesso di

potere per contraddittorietà intrinseca, illogicità, difetto di motivazione e di istruttoria.

La riprova della carente istruttoria svolta dall’Autorità, con un andamento in più punti

contraddittorio e privo degli approfondimenti atti a sostenere la rilevante sanzione economica

inflitta alla ricorrente, è nell’impugnato atto di rigetto degli impegni da essa assunti relativamente a

due condotte contestate e che sono stati rigettati perché “parziali” e, quindi, “insufficienti”. Quanto

all’asserita “parzialità” degli stessi essa si pone in palese contrasto logico con i “separati” esami ai

quali l’Autorità ha sottoposto le singole condotte nonostante non avesse alcun interesse ad

evidenziare gli esiti debolissimi di ciascuna di esse, considerati i riflessi che gli esami separati

avrebbero avuto sulla misura del sanzione economica.

  1. b) Eccesso di potere e contraddittorietà, difetto di motivazione, illogicità e irragionevolezza –

Travisamento e errore nella valutazione dei fatti – Sviamento – Violazione del diritto di difesa.

Nel procedimento istruttorio l’Autorità aveva qualificato le condotte oggetto del suo esame come

distinte e separate violazioni delle norme del Codice del consumo, riferendosi le stesse a tre prodotti

differenti, con denominazioni diverse, campagne pubblicitarie autonome, lanciate in momenti

differenti e oggetto di contestazioni non omogenee. Invece nel successivo impugnato

provvedimento le tre violazioni sono state considerate un unicum composto da più condotte fra loro

connesse perché sostanzialmente riferibili ad una identica merceologia, id est “patatine fritte in

busta”, e la ragione è agevolmente individuabile nella consapevolezza da parte dell’Autorità,

interessata ad acquisire la pesante somma oggetto della sanzione economica, che l’insufficiente

criticità delle condotte, singolarmente considerate, avrebbe portato all’archiviazione del caso.

Comunque l’omesso riferimento all’illecito unitario nell’atto di avvio del procedimento istruttorio

ha impedito alla ricorrente la possibilità di presentare impegni unici, con conseguente compressione

del suo diritto di difesa.

  1. c) Violazione falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del consumo – Violazione e falsa

applicazione dell’art. 2 del Regolamento n. 1924 del 2006 (art. 2) – Eccesso di potere per

travisamento dei fatti, difetto di motivazione, carenza d’istruttoria. Irragionevolezza.

L’atto impugnato è illegittimo perché l’Autorità non si è minimamente preoccupata di provare con

indizi, precisi e concordanti l’esistenza di elementi che devono cumulativamente ricorrere perché si

possa imputare al produttore una condotta commerciale ingannevole, contraria alla diligenza

professionale e falsificatrice del comportamento del consumatore medio, inducendolo ad una

decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso.

  1. A) Assenza di violazione dei canoni di diligenza professionale.

In effetti la denuncia di mancanza di diligenza professionale è riferita dall’Autorità solo alle chips

“2 Rustica. Le ricette di Cracco”, con riferimento alle quali non si riscontrerebbe “il normale grado

di competenza e attenzione che ragionevolmente ci si può attendere” e che avrebbe comportato,

nelle scelte dell’Azienda, la mancanza della cautela necessaria nell’utilizzo di “indicazioni

nutrizionali” e, in secondo luogo, “di indicazioni di ingredientistica più opportunamente modulate”.

Senonchè è agevole rilevare che il richiamo alle indicazioni nutrizionali e di ingredientistiche è, nel

caso in esame, irrilevante atteso che ciò che l’Autorità contesta non è l’omessa indicazione di

determinati ingredienti o elementi nutrizionali benefici sul packaging delle patatine, ma solo

l’utilizzo di immagini raffiguranti le chips con altri prodotti freschi che potrebbero creare

confusione sulla effettiva composizione del prodotto, ma non certo evocare benefici effetti

salutistici. In effetti l’immagine della patatina accompagnata da alimenti freschi costituisce una

pubblicità esplicitamente ammessa dal Codice del consumo e ricompresa fra quelle per le quali la

violazione degli obblighi di diligenza professionale deve escludersi. Aggiungasi che l’utilizzo, sulle

confezioni di prodotti alimentari, di immagini in cui il prodotto è circondato da altri ingredienti

costituisce una prassi largamente utilizzata nel settore alimentare perchè la sua funzione è suggerire

diversi, possibili usi del prodotto.

  1. B) Inidoneità della pratica a incidere sensibilmente sul comportamento economico del consumatore

medio.

Nel caso in esame non risulta provata neppure l’esistenza del secondo presupposto chiesto dal

legislatore perché una pratica commerciale possa considerasi scorretta, cioè falsare il

comportamento del consumatore medio rispetto al prodotto, inducendolo ad una decisione

commerciale che altrimenti non avrebbe preso, atteso che in palese contrasto con le regole dettate

dalla competente giurisprudenza l’Autorità è venuta meno al suo obbligo di indicare i casi in cui le

contestate comunicazioni commerciali avrebbero inciso sensibilmente sulle scelte commerciali del

consumatore medio (nel corso degli anni sono pervenute solo quattro segnalazioni da parte di

consumatori, tutte sorprendentemente ricevute a poche settimane l’una dalle altre e tutte

sostanzialmente contrastanti con quanto affermato dall’Autorità). In sostanza nessuna delle

iscrizioni sulle due parti delle buste contenenti le patatine fritte è in grado di indurre in errore il

consumatore medio; in particolare nessuna denuncia è stata mai fatta sull’uso dell’olio di oliva,

nessun consumatore ha mai mostrato di credere che le patatine di “Autentica Trattoria” siano cotte

con uso esclusivo o anche solo prevalente d’olio di oliva.

  1. d) In subordine, carenza istruttoria, violazione e falsa applicazione dell’art. 11, l. n. 689 del 1981

(violazione del principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito).

Anche ipotizzando, a meri fini dialettici, la sussistenza degli illeciti dichiarati dall’Autorità, essi non

giustificano la pesante sanzione da essa comminata (€ 350.000),atteso che le violazioni contestate

alla ricorrente attendono alla mera “collocazione“ sulla busta di talune informazioni presenti e

comunque ben visibili. Inoltre, tenuto conto della rilevanza che l’Autorità ha dato alla durata della

pratica illecita per quanto attiene all’importo della sanzione economica, non sono irrilevanti gli

errori nei quali essa è in taluni casi incorsa nella definizione della data d’inizio della pratica illecita

e della sua persistente esistenza all’inizio della procedura istruttoria.

  1. Con memoria depositata in data 19 ottobre 2015 la ricorrente si è soffermata su taluni dei temi

proposti nell’atto introduttivo del giudizio.

  1. Si è costituita in giudizio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, con memoria

depositata il 4 novembre 2015, ha contestato le censure della ricorrente, insistendo in particolare

sulle scorrettezze riscontrabili nelle comunicazioni pubblicitarie apposte sulle due pareti della busta

recante le patatine fritte e sulla evidenza grafica assegnata all’olio d’olia solo su una delle suddette

pareti.

  1. All’udienza del 4 novembre 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

  1. Come esposto in narrativa la San Carlo Gruppo Alimentari s.p.a. (d’ora in poi, San Carlo),

produttrice di snack e patatine fritte in busta, è stata condannata a pagare la sanzione di € 350.000

comminatale dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per aver posto in essere una

pratica commerciale scorretta, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), e 22, comma 2, del

Codice del consumo, con conseguente inibitoria della prosecuzione delle condotte sanzionate. In

particolare:

  1. a) nella presentazione del prodotto “Light – 30% di grassi” è adottato un claim nutrizionale

comparativo non immediatamente ed adeguatamente accostato al necessario termine di paragone;

  1. b) per le referenze della linea “Autentica Trattoria” è indicata, con enfasi e immagini, la presenza di

olio di oliva nel prodotto senza evidenziare contestualmente l’effettivo ridotto contenuto di tale

ingrediente rispetto ai compresenti oli vegetali;

  1. c) la presentazione delle patatine “Rustica – le ricette di Cracco” risulta ambigua ed omissiva circa

le reali caratteristiche e ingredienti del prodotto per via dell’assenza di evidenti specifiche accanto

all’immagine presente su ciascuna confezione.

L’Autorità ha invece escluso, sulla base degli esiti dell’istruttoria, che sia scorretto l’utilizzo del

marchio Sanoil®, anch’esso oggetto di contestazione in sede di avvio del procedimento, in

riferimento alla miscela di oli impiegata per la produzione delle chips, in quanto correlato alla

denominazione sociale del professionista e soprattutto, supportato dalle evidenze scientifiche

connesse a detta miscela.

Con il ricorso all’esame del Collegio la società impugna il provvedimento n. 51181 del 31 ottobre

2014, con il quale l’Agcm ha rigettato gli impegni proposti, e il successivo provvedimento n. 25311

del 3 febbraio 2015, con il quale le è stata irrogata la sanzione ed ordinata l’interruzione della

pratica scorretta.

  1. Con il primo motivo è dedotta l’illegittimità del rigetto degli impegni presentati dalla San Carlo il

3 settembre 2014, con riferimento all’utilizzo del marchio Sanoil® e la dicitura “all’olio di oliva”

sul packaging delle patatine “Autentica Trattoria”. Alla base del diniego è la considerazione che gli

stessi, oltre ad essere parziali, non risultano idonei a rimuovere gli elementi di possibile scorrettezza

contestati nella comunicazione di avvio del procedimento. Ha chiarito l’Agcm che se il primo

impegno, relativo all’utilizzo del marchio Sanoil® e delle annesse implicazioni esplicative, va nel

senso di un più adeguato dimensionamento dei vanti nutrizionali ascritti ai prodotti in virtù delle

acclarate caratteristiche di cottura, il secondo rimedio, id est l’indicazione relativa all’impiego

dell’olio d’oliva nelle referenze sul packaging delle patatine “Autentica Trattoria”, non appare,

invece, immediatamente esemplificativo dell’effettiva percentuale di olio utilizzata e non risulta

essere in linea con la vigente disciplina comunitaria sul punto. Ha poi aggiunto l’Autorità che era

proprio interesse “procedere all’accertamento dell’eventuale infrazione”.

Il diniego impugnato resiste ai profili di illegittimità dedotti dalla ricorrente.

Giova premettere che costituisce giurisprudenza consolidata del giudice amministrativo (Tar Lazio,

sez. I, 28 luglio 2015, n. 10352; 21 gennaio 2015, n. 994) che l’Autorità gode di ampia

discrezionalità nell’accogliere o nel respingere le offerte di impegno a cessare dal comportamento

scorretto da parte dei soggetti che risultano destinatari dell’apertura di una procedura di infrazione.

Tale lata discrezionalità si estrinseca, più nel dettaglio, in una duplice direzione: anzitutto

nell’accertare se il caso, per la sua gravità intrinseca e per la natura manifesta della scorrettezza

accertata, merita comunque la finalizzazione del procedimento sanzionatorio, che resterebbe

altrimenti inibita dall’accettazione della dichiarazione di impegno; in secondo luogo, nella

valutazione dei contenuti specifici della dichiarazione espressiva dello ius poenitendi (Cons. St.,

sez. VI, 5 marzo 2015, n. 1104).

Completa e congruente, sotto il profilo motivazionale, si presenta la valutazione di inidoneità

dell’impegno relativo alla modifica, sul packaging delle patatine “Autentica Trattoria”, della scritta

“con olio di oliva” anziché “all’olio di oliva” con riferimento al fatto che non appare

immediatamente esemplificativo dell’effettiva percentuale di olio utilizzata e non risulta essere in

linea con la vigente disciplina comunitaria sul punto. Non risolveva, dunque, la criticità della

pratica commerciale, così come evidenziata in sede di inizio del procedimento.

Va poi ricordato, in replica alle prospettazioni difensive della ricorrente, come non sia importante il

numero degli impegni non ritenuti congrui dalla Autorità ma il loro contenuto, con la conseguenza

che è sufficiente uno di essi, se lo stesso rappresenta una parte importante delle contestazioni

mosse. Si vuole cioè dire che non basta proporre uno o più impegni, anche soddisfacenti, se poi la

società non si impegna a modificare il comportamento che, più degli altri, è stato valutato

“scorretto”. Come ammesso dalla stessa San Carlo gli impegni presentati non coprivano tutte le

contestazioni mosse con l’avvio del procedimento.

Invero, in tanto gli impegni possono ritenersi adeguati – o, almeno, il professionista può dolersi che

non siano stati accolti – in quanto essi rendano superfluo dare seguito al procedimento, poiché con

gli stessi si è raggiunto sostanzialmente lo stesso obiettivo cui quello mirava. Pertanto, in presenza

di molteplici pratiche contestuali, l’Autorità non ha nessun obbligo di accettare impegni, i quali

potrebbero definire solo alcune di esse. (Tar Lazio, sez. I, 12 aprile 2012, n. 3318).

  1. La legittimità del diniego di approvazione degli impegni presentati dalla San Carlo comporta la

necessità di procedere all’esame dei motivi dedotti avverso il provvedimento sanzionatorio n. 25311

del 3 febbraio 2015.

Con il secondo motivo afferma la ricorrente che illegittimamente le tre condotte sono state

qualificate come unica pratica commerciale scorretta. Ad avviso della San Carlo, infatti, le

condotte, singolarmente valutate, sarebbero state insufficienti a configurare pratiche “scorrette”

Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione ove si consideri che i tre rilievi mossi afferiscono

tutti alla stessa fase, quella dell’informazione pubblicitaria, e al medesimo prodotto della società, le

patatine fritte, a nulla rilevando che i messaggi pubblicitari non corretti sono tre (percentuale di

grassi, quantità di olio di oliva utilizzato e effettivi ingredienti del prodotto).

Neppure è configurabile una violazione del diritto di difesa perché nella comunicazione di avvio del

procedimento erano stati chiaramente configurati i vizi riscontrati nella pubblicità (perchè è solo su

questa che si sono appuntati i rilievi dell’Antitrust) che la San Carlo effettuava dei propri prodotti e

sugli stessi la società ha avuto modo di difendersi, come dimostra la documentazione versata in atti

proprio dalla ricorrente. Con la nota del 14 luglio 2012 l’Autorità ha infatti affermato che “la San

Carlo … accredita, sul packaging, a mezzo spot tv e mediante sito internet aziendale

www.sancarlo.it, ai propri prodotti – diverse varianti di patatine fritte in busta, c.d. chips –

specifiche caratteristiche nutrizionali oppure fornisce informazioni in merito alla ricettazione

(ingredienti, composizione) o alle modalità di produzione (processo di trasformazione e cottura)

delle referenze, alle quali vengono, altresì, ascritti vanti di salubrità. In particolare …”.”La

comunicazione commerciale nel complesso adottata dal professionista appare, in generale,

accreditare a diversificate confezioni di chips …”. Appare quindi evidente che la contestazione

aveva ad oggetto unitariamente il profilo comunicazionale-pubblicitario seguito dalla società.

Essendosi su tutti i punti la società difesa (memorie dell’11 agosto 2014, del 10 settembre 2014 e

del 29 dicembre 2014), sebbene con argomentazioni non ritenute convincenti dall’Antitrust, si può

dunque concludere che la comunicazione di avvio del procedimento del 14 luglio 2014 ha raggiunto

il suo scopo. Deve poi addebitarsi ad una scelta imprenditoriale della San Carlo la decisione di

presentare solo due impegni e non tanti quanti erano stati i rilievi mossi.

  1. Prima di passare alla disamina delle condotte contestate, il Collegio ritiene utile richiamare la

normativa di riferimento, alla quale l’Autorità ha fatto rinvio nell’impugnato provvedimento,

nonché i principi, elaborati dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, che regolano la materia

de qua.

L’art. 20 del Codice del consumo, nel vietare al comma 1 le pratiche commerciali scorrette,

stabilisce, al comma 2, che una pratica commerciale è “scorretta” se è contraria alla diligenza

professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in

relazione al prodotto, del consumatore medio, che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro

medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di

consumatori. Le pratiche commerciali scorrette sono ingannevoli o aggressive (comma 3). Il comma

4 individua come “ingannevoli” le ipotesi di cui agli artt. 21, 22 e 23 e “aggressive” quelle di cui

agli artt. 24, 25 e 26. A sua volta, il successivo art. 21, al comma 1, considera ingannevole “… una

pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta,

in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore

il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è

idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti

preso: … b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi,

l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il

trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna,

l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i

risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e

controlli effettuati sul prodotto”. L’art. 22, comma 1, stabilisce poi che “è considerata ingannevole

una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e

circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni

rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione

consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio

ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”, precisando al

comma 4 che, in caso di un invito all’acquisto sono considerate rilevanti, tra le altre, le informazioni

relative al prezzo del prodotto. Il comma 2 dello stesso art. 22, richiamato nell’impugnato

provvedimento sanzionatorio, stabilisce, ancora, che “una pratica commerciale é altresì considerata

un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro,

incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto

degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa qualora

questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induce o

è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non

avrebbe altrimenti preso.

Quanto poi ai principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, è stato dalla stessa chiarito che

il sindacato del giudice, che ha carattere intrinseco, deve essere ritenuto comprensivo anche del

riesame delle valutazioni tecniche operate dall’Autorità nonché dei principi economici e dei concetti

giuridici indeterminati applicati (Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 2008, n. 595; id. 8 febbraio 2007, n.

515) e va condotto con il ricorso a regole e conoscenze tecniche appartenenti alle stesse discipline

applicate dall’Amministrazione, anche con l’aiuto di periti (Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2002, n.

2199). E’ tuttavia incontestato che, ove la legittimità dell’azione amministrativa ed il corretto uso

delle sottostanti regole tecniche siano stati accertati, il controllo giudiziale non può andare oltre, al

fine di sostituire la valutazione del giudice a quella già effettuata dall’Amministrazione, la quale

rimane l’unica attributaria del potere esercitato (Cons. St., sez. VI, 29 settembre 2009, n. 5864; id.

12 febbraio 2007, n. 550; id. 10 marzo 2006, n.1271; Tar Lazio, sez. I, 24 agosto 2010, n. 31278; id.

30 marzo 2007, n. 2798; id. 13 marzo 2006, n. 1898).

I limiti del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità amministrativa nelle materie

regolate dalle Autorità indipendenti sono stati da ultimo ribaditi anche dalla Corte di Cassazione

(S.U. 20 gennaio 2014, n. 1013), ricordando che “il sindacato di legittimità del giudice

amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato comporta la

verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai

profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma

quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un

oggettivo margine di opinabilità – come nel caso della definizione di mercato rilevante

nell’accertamento di intese restrittive della concorrenza – detto sindacato, oltre che in un controllo

di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato

alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità

sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità

garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini”.

Da tale premessa consegue che i motivi dedotti da San Carlo avverso il giudizio di “scorrettezza”

della Pratica contestata, per essere favorevolmente valutabili (e ammissibili) devono essere tali da

far emergere vizi di manifesta irragionevolezza o di grave ingiustizia, finendo altrimenti

inevitabilmente per impingere in valutazioni di merito rimesse all’Autorità, e non sindacabili da

questo giudice senza invadere l’ambito della discrezionalità tecnica riservato all’Amministrazione

(Cons. St., sez. III, 2 aprile 2013, n. 1856; id. 28 marzo 2013, n. 1837; Tar Lazio, sez. I, 6 maggio

2015, n. 6471; id. 9 marzo 2015, n. 3916; id. 21 giugno 2013, n. 6259; id. 24 agosto 2010, n. 31278;

29 dicembre 2007, n. 14157).

Altre due brevi osservazioni appaiono necessarie al fine del decidere.

Innanzitutto, come già chiarito sub 3 e dalla stessa Autorità al punto V) del provvedimento

impugnato, pur essendo diversi i rilievi oggetto di indagine e ancorchè interessino distinte

referenze, le condotte tenute da san Carlo attengono alla medesima categoria merceologica – le

patatine fritte in busta – ed allo stesso profilo di scorrettezza, ossia le caratteristiche – nutrizionali o

di ricettazione – dei prodotti. Data la premessa l’Autorità ha ritenuto ragionevole operare una

valutazione unitaria degli stessi nell’ambito della medesima pratica commerciale relativa, appunto,

alle modalità di promozione delle caratteristiche di prodotti congeneri. La seconda precisazione è

che scorretto non è stata qualificato il ciclo produttivo delle patatine delle tre linee (“Light – 30% di

grassi”, “Autentica Trattoria” e la “Rustica – le ricette di Cracco”), e cioè, ad esempio, la quantità di

grassi presenti nella “Light – 30% di grassi”, l’olio usato per friggere le patatine dell’Autentica

Trattoria” e gli ingredienti utilizzati per “Rustica – le ricette di Cracco” quanto piuttosto – e soltanto

– la pubblicità che è stata fatta, nelle diverse e molteplici modalità, per reclamizzare le

caratteristiche di tali prodotti.

  1. Tutto ciò chiarito, può ora passarsi all’esame del terzo motivo, con il quale San Carlo – premesso

che mancherebbero nella specie gli “indizi gravi, precisi e concordanti” necessari per qualificare

una pratica come “scorretta” – replica su tutti i rilievi mossi dall’Antitrust in relazione ai messaggi

pubblicitari contestati e che hanno determinato la comminazione della sanzione e il divieto di

diffusione e continuazione della pratica.

La prima censura, dedotta con il terzo motivo, è volta a contestare la mancanza del requisito della

“violazione dei canoni di diligenza professionale” con riferimento alle contestazioni mosse in

relazione alle tre linee di patatine fritte “Light – 30% di grassi”, “Autentica Trattoria” e la “Rustica

– le ricette di Cracco”, mentre con la seconda censure si deduce la carenza del secondo presupposto

richiesto dal Legislatore per poter configurare la pratica commerciale come “scorretta”, ovvero

“l’aver falsato, o l’idoneità a farlo, il comportamento del consumatore medio in relazione al

prodotto, si da indurre il consumatore medio a prendere una decisione commerciale che altrimenti

non avrebbe preso”.

Ritiene il Collegio opportuno, per meglio razionalizzare la vicenda contenziosa, esaminare

congiuntamente le due censure con riferimenti alle tre linee di patatine oggetto di indagine.

Come si è detto, i rilievi mossi hanno riguardato innanzitutto la presenza di olio di oliva nel

prodotto della linea “Autentica Trattoria”, senza evidenziare contestualmente l’effettivo ridotto

contenuto di tale ingrediente rispetto ai compresenti oli vegetali. Il dato relativo al reale contenuto

di tale ingrediente nel prodotto non viene accostato all’indicazione frontale ma è relegato sul retro

della confezione, ove si legge che tale quantitativo è sensibilmente inferiore (5%) rispetto al

contestuale impiego di oli vegetali.

Ritiene il Collegio che i rilievi relativi all’indicazione della quantità di olio di oliva, apposta con

caratteri ridotti e sul retro della confezione, non sono manifestamente illogici e irragionevoli,

condizioni queste che non ne consentono, per quanto chiarito sub 2, la sindacabilità.

In forza del Codice del consumo il produttore deve assicurare una corretta e trasparente

informazione sul prodotto, tale da permettere al consumatore di effettuare liberamente le sue scelte.

L’art. 21, d.lgs. n. 206 del 2005 pone, infatti, in capo ai produttori l’onere di chiarezza e di

completezza delle informazioni, che non può non riguardare, in primis, la presentazione di un

elemento cruciale nella scelta di acquisto dei consumatori, quale la composizione nutrizionale di un

prodotto alimentare. Tale elemento è di sicuro interesse per effettuare una scelta consapevole da

parte del consumatore, perché attinente alla salute e, più in generale, alle scelte nutrizionali

dell’individuo, e la sua percezione da parte del consumatore deve essere immediata e non può

essere posposta rispetto al momento nel quale si realizza il contatto tra il consumatore e il prodotto

(Tar Lazio, sez. I, 4 luglio 2013, n. 6596).

Aggiungasi che ad avviso di una consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, dalla quale

il Collegio non ha ragione per discostarsi, l’onere di completezza e chiarezza informativa previsto

dalla normativa a tutela dei consumatori richiede che ogni messaggio rappresenti i caratteri

essenziali di quanto mira a reclamizzare e sanziona la loro omissione, a fronte della enfatizzazione

di taluni elementi, qualora ciò renda non chiaramente percepibile il reale contenuto ed i termini

dell’offerta o del prodotto, così inducendo il consumatore, attraverso il falso convincimento del

reale contenuto degli stessi, in errore, condizionandolo nell’assunzione di comportamenti economici

che altrimenti non avrebbe adottato (Tar Lazio, sez. I, 8 gennaio 2013, n. 106).

Grava, dunque, sul soggetto che offre un prodotto o una prestazione l’onere di rendere disponibili

tutte le informazioni rilevanti ai fini dell’adozione di una scelta consapevole da parte del

consumatore (Tar Lazio, sez. I, 8 gennaio 2013, n. 104), secondo una valutazione ex ante, che

prescinde sia dall’idoneità della condotta ingannevole rispetto alle effettive competenze dei soggetti

che sono specificamente venuti in contatto con l’operatore, sia dal concreto danno ad essi procurato

(Tar Lazio, sez. I, 18 settembre 2014, n. 9829; id. 9 settembre 2014, n. 9559).

Infine, con argomentazioni ben estensibili al caso in esame, la Sezione ha più volte affermato (26

febbraio 2015, n. 3357; id. luglio 2013, n. 6596, id. 3 luglio 2012, n. 6026, id. 4 giugno 2012, n.

5026) che la decettività del messaggio pubblicitario può riguardare anche solo singoli aspetti dello

stesso e che la scorrettezza della pratica commerciale, in ordine alla reale portata del prodotto, non

può ritenersi sanata dalla possibilità per il consumatore di ottenere, anche in un momento

immediatamente successivo, ulteriori dettagli informativi, laddove il messaggio promozionale,

attraverso il suo contenuto non trasparente, determinato dalle modalità di presentazione del

prodotto, risulta già idoneo, nella sua decettività, ad agganciare il consumatore al primo contatto.

Ha ancora aggiunto la Sezione (21 gennaio 2015, n. 994) che “in ragione dell’esigenza di porre i

potenziali destinatari del messaggio pubblicitario in grado di valutare consapevolmente la

convenienza relativa dell’offerta, la prospettazione delle complessive condizioni di quest’ultima

deve essere chiaramente ed immediatamente percepibile (e, prima ancora, intellegibile), da parte del

consumatore”. Per questa ragione tutte le informazioni importanti, che secondo buon senso e

correttezza si presume possano influenzare il consumatore nell’effettuare la propria scelta, devono

essere rese “già al primo contatto”.

Tanto chiarito in linea generale, si osserva che nel caso di specie la pratica commerciale di cui

trattasi non rende immediata la percezione della effettiva composizione del prodotto, avendo la

ricorrente utilizzato, nel claim di cui si discute, un carattere più piccolo per la parola “5%” rispetto

al carattere più grande utilizzato per la dicitura “con olio di oliva”, posta peraltro sul lato opposto

della confezione, informazione che conseguentemente si impone all’attenzione del consumatore con

evidente priorità e maggior enfasi.

La modalità di rappresentazione dell’informazione commerciale è quindi idonea a trasmettere a

prima vista un messaggio nutrizionale diverso rispetto a quello proprio del messaggio promozionale

considerato nel suo complesso.

Né può sostenersi che la scorrettezza della pratica è comunque scongiurata dalla possibilità per il

consumatore di approfondire la conoscenza della composizione del prodotto mediante la lettura

dell’intero contenuto del claim.

Sul punto, invero, la giurisprudenza amministrativa anche della Sezione è granitica nel ritenere che

la completezza e la veridicità di un messaggio promozionale va verificata nell’ambito dello stesso

contesto di comunicazione commerciale, e non già sulla base di ulteriori informazioni che

l’operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto (Tar Lazio, sez.

I, 4 febbraio 2013, n. 1177).

Dai principi sopra esposti consegue la correttezza delle conclusioni cui è pervenuta l’Agcm in

ordine all’ingannevolezza del messaggio pubblicitario, che induce il consumatore a credere che è

stato utilizzato solo olio extravergine d’oliva, mentre la quantità utilizzata, come è scritto solo sul

retro della confezione e con evidenza grafica ben diversa, è pari solo al 5%.

  1. Altro rilievo mosso alla San Carlo è rivolto alla linea “Light – 30% di grassi”. Tale riferimento,

per come scritto, sarebbe, ad avviso dell’Agcm, idoneo – a causa della non corretta veicolazione del

termine di raffronto – a fuorviare i consumatori in ordine all’effettiva portata nutrizionale del

prodotto e, specificamente, in riferimento ai claim nutrizionali c.d. “assoluti”. Anche la tabella

analitica di raffronto allo scopo posta dalla società sul proprio sito aziendale non risponderebbe a

tali esigenze perché risulterebbe omissiva dell’indicazione specifica delle private labels utilizzate

per il raffronto dei valori sui grassi.

Il giudizio di non correttezza della condotta appare al Collegio resistere alle censure dedotte dalla

ricorrente, per le argomentazioni esposte sub 4. L’enfasi grafica attribuita alla percentuale di

riduzione dei grassi è infatti idonea a offrire al consumatore un’informazione non corretta in ordine

al reale quantitativo dei grassi e ad indurlo ad acquistare il prodotto credendo che lo stesso arrechi

in assoluto, al proprio regime alimentare, un apporto nutrizionale ridotto in grassi e non invece,

come realmente è, un ridotto apporto rispetto alle altre patatine classiche.

  1. L’Agcm contesta infine alla San Carlo che la presentazione delle patatine “Rustica – le ricette di

Cracco” risulta ambigua ed omissiva circa le reali caratteristiche e ingredienti del prodotto per via

dell’assenza di evidenti specifiche accanto all’immagine presente su ciascuna confezione.

Il messaggio è indubbiamente ambiguo, perché induce il consumatore medio a ritenere che la

confezione contiene patatine fritte – per giunta vendute con diverso packaging “Rustica“ –

arricchite di altri ingredienti. Anche in questo caso la scritta, a caratteri molto più piccoli, che

avverte che “l’immagine non rappresenta il gusto della patatina Rustica ma è puramente illustrativa

di una ricetta di Cracco”, non è sufficiente a rendere edotto il “consumatore medio” dell’effettivo

contenuto dell’offerta. Valgono sul punto le argomentazioni esposte sub 4.

  1. Per tutto quanto sopra chiarito il terzo motivo non è suscettibile di positiva valutazione,

risultando sussistenti i requisiti normativamente previsti per definire scorretta la pratica

commerciale.

Relativamente alle argomentazioni sopra esposte a supporto del giudizio di infondatezza del terzo

motivo giova richiamare il principio, pacifico nella giurisprudenza del giudice amministrativo,

secondo cui la normativa del Codice del consumo sulle pratiche commerciali scorrette costituisce

una tutela di “prevenzione” approntata nell’interesse generale e non del singolo contraente. La

disciplina in esame dunque impone, in rapporto al consumatore medio e in un contesto di fatto

caratterizzato dall’assenza di un’effettiva negoziazione, una “messa in guardia” sull’oggetto

dell’imminente prestazione, che non sia limitata alla formazione della volontà negoziale, ma sia

adeguata al fine di garantire l’effettiva libertà di scelta del consumatore in quel contesto (Cons. St.,

sez. VI, 22 luglio 2014, n. 3896; Tar Lazio, sez. I, 9 settembre 2015, n. 11122). Aggiungasi che la

corretta informazione al consumo deve tenere presente il “parametro medio di conoscenze”

esistente tra il pubblico dei consumatori (Tar Lazio, sez. I, 4 luglio 2013, n. 6596).

Risulta in tal modo difficile negare che non sia idoneo a trarre in inganno un messaggio

pubblicitario che, con grafica a carattere più grande del resto delle comunicazioni riportate, affermi

che la patatina fritta ha il ”- 30% di grassi” o che è stato utilizzato “olio di oliva”, a nulla rilevando

che in caratteri più piccoli, e dunque non con la stessa evidenza, a tali informazioni fosse aggiunto

che il 30% in meno di grassi non era in termini assoluti ma comparatistica e che non fosse stato

utilizzato solo olio di oliva, ma soltanto nella percentuale del 5%. La grafica utilizzata per il

messaggio non era tale da attenzionare il consumatore medio e far rilevare l’effettiva componente

del prodotto ed ha dunque falsato, in modo apprezzabile, l’informazione resa al consumatore.

Come già ampiamente chiarito, l’ingannevolezza di un messaggio può discendere, oltre che

dall’omissione di elementi di rilievo, anche dalle modalità grafiche ed espressive con cui gli

elementi del prodotto vengono rappresentati all’interno del messaggio e dalle scelte in ordine alla

enfatizzazione di alcuni di essi (Tar Lazio, sez. I, 20 gennaio 2010, n. 633).

  1. L’ultimo motivo di ricorso è volto a censurare, in via gradata e subordinata al mancato

accoglimento dei due precedenti motivi, il quantum della sanzione irrogata, che risulterebbe

sproporzionata rispetto ai rilievi mossi.

Sotto quest’ultimo profilo ritiene il Collegio non irragionevole né ingiusto o vessatorio l’operato

dell’Agcm che, al fine di quantificare la sanzione, risulta avere debitamente valutato sia il

comportamento posto in essere dall’operatore rispetto alla diligenza professionale richiesta alla

stregua della normativa di riferimento, sia la descritta potenzialità lesiva della predetta prassi

commerciale per le sue possibili diffuse ricadute economiche sui consumatori, peraltro

conformemente al più recente orientamento della Corte di Giustizia UE (sentenza 16 aprile 2015, C-

388/13) secondo cui, in materia di pratiche commerciali scorrette, le sanzioni devono essere

adeguate ed efficaci, e dunque assolvere ad una concreta funzione dissuasiva, prendendo “in debita

considerazione fattori quali la frequenza della pratica addebitata, la sua intenzionalità o meno e

l’importanza del danno che ha cagionato al consumatore.

Non è poi vero, in punto di fatto, che l’Agcm non ha tenuto in considerazione la collaborazione

offerta dalla società per superare i rilievi mossi. Ed infatti, l’Autorità ha quantificato la sanzione

tenendo in considerazione da un lato la gravità della violazione, la pluralità dei rilievi di

scorrettezza e l’ampiezza dei supporti media utilizzati e la capillarità della diffusione; dall’altro, la

circostanza che durante la fase istruttoria il professionista si è concretamente attivato per la

modifica delle confezioni di talune referenze e della pubblicità a mezzo internet, con l’eliminazione

dei profili contestati nella comunicazione di avvio del procedimento.

Infine, la configurabilità dei rilievi mossi come concretizzanti un’unica pratica commerciale

scorretta porta a ritenere non erroneo l’aver fatto risalire l’inizio del comportamento al gennaio

2013.

  1. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della complessità della vicenda contenziosa, può

disporsene l’integrale compensazione fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2015 con l’intervento dei

magistrati:

Giulia Ferrari, Presidente FF, Estensore

Raffaello Sestini, Consigliere

Roberta Cicchese, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 10/11/2015