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Diritto Civile:Legge Pinto: Quali sono oneri di allegazione del ricorrente?

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Diritto Civile:Legge Pinto: Quali sono oneri di allegazione del ricorrente?

In tema di Equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, art. 3, comma 5 legge “Pinto”, la Suprema Corte di Cassazione Civ. Sez. VI – 2, con la Sent., 11-03-2015, n. 4888, in linea con quanto già chiarito in precedenza (Cass. n. 16836/10,  Cass. n. 16367/11; Cass. n. 9381/11 e 18603/05; Cass. n. 24965/11, Cass. n. 4103/13) ha ribadito che l’onere gravante sul ricorrente consiste nell’allegare: “elementi fattuali relativi al giudizio presupposto, quali la data d’inizio e quella di chiusura, la partecipazione ad esso della parte in una data posizione processuale, lo svolgimento del processo e l’oggetto del contendere. Assolto tale onere da parte del ricorrente, il giudice, ove sia necessario ai fini della decisione di merito, deve esercitare il potere, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, – nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 – e dell’art. 738 c.p.c., u.c., e indipendentemente da un’espressa sollecitazione di parte, di richiedere l’acquisizione degli atti relativi al giudizio presupposto, senza che ciò costituisca elusione dell’onere probatorio gravante sulla parte attrice”; quindi, cassando, nel caso di specie, il decreto del 22.02.2013 della Corte d’Appello di Perugia con il quale veniva rigettata la domanda perché i ricorrenti non si erano avvalsi della facoltà, prevista dall’art. 3, comma 5 legge n. 89/01, di richiedere alla stessa Corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, sulla base dell’erroneo convincimento che la sola sentenza prodotta fosse sufficiente a fornire la prova della durata eccessiva del giudizio.

 

Cass. civ. Sez. VI – 2, Sent., 11-03-2015, n. 4888

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22561/2013 proposto da:

S.B. (OMISSIS), D.E. (OMISSIS), L.A. (OMISSIS), erede del Sig. L.T., Z.L. (OMISSIS), M.L. (OMISSIS), L.L. (OMISSIS), erede del Sig. L.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELL’ACQUEDOTTO PAOLO 22, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO MARINELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato MOSCIONI ANNA RITA, giuste procure speciali in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 309/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del 12/11/2012, depositato 22/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

 

Svolgimento del processo

 

Con separati ricorsi, di poi riuniti, proposti nel 2010 Z. L., D.E., L.T., M. L., S.B., D.B.G. e M.M., adivano la Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con L. n. 848 del 1955, per l’eccessiva durata di un processo amministrativo introdotto innanzi al T.A.R. del Lazio con ricorso del 18.11.2003, avente ad oggetto l’iscrizione obbligatoria al fondo di previdenza, definito con sentenza d’inammissibilità depositata il 19.12.2008.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze resisteva alla domanda.

Con decreto del 22.2.2013 la Corte territoriale adita rigettava la domanda, per non aver i ricorrenti assolto il proprio onere di allegazione. Osservava la Corte perugina che i ricorrenti non si erano avvalsi della facoltà, prevista dall’art. 3, comma 5 legge n. 89/01, di richiedere alla Corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, sulla base dell’erroneo convincimento che la sola sentenza prodotta fosse sufficiente a fornire la prova della durata eccessiva del giudizio. Pertanto la Corte, dovendo decidere sulla base di tale solo documento, riteneva che non fosse possibile concludere nel senso che la durata (s’intende, eccessiva) del processo fosse addebitabile all’amministrazione della Giustizia.

Per la cassazione di tale decreto Z.L., D. E., M.L., S.B., D.B.G., M.M., L.A. e L., questi ultimi due quali eredi di L.T., propongono ricorso, affidato ad un unico motivo.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

  1. – L’unico motivo di ricorso espone la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, e dell’art. 738 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (recte, 4).

Sostiene parte ricorrente che l’art. 3, comma 5 legge “Pinto”, che nel testo previgente, applicabile ratione temporis, prevede che le parti hanno facoltà di richiedere alla Corte d’appello l’acquisizione in tutto o in parte di atti e documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione, va interpretato, conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare, è richiamata la sentenza n. 2207/10), nel senso che la parte assolve l’onere di allegare i fatti costitutivi della domanda, esponendo gli elementi utili a determinare la durata complessiva del giudizio presupposto, salvo i poteri della Corte d’appello, d’ufficio o su sollecitazione dell’amministrazione convenuta, di accertare le cause che abbiano giustificato in tutto o in parte la durata del procedimento.

  1. – Il motivo è fondato.

In tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, l’oggetto della domanda è individuabile nella richiesta di accertamento della violazione, rispetto alla quale l’onere della parte istante è limitato alla semplice allegazione dei dati relativi alla sua posizione nel processo (data iniziale di questo, data della sua definizione, eventuale articolazione nei diversi gradi) e non anche alla produzione degli atti posti in essere nel processo presupposto (Cass. n. 16836/10).

Ciò vuoi dire che ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 5, – di richiedere alla corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo; difatti la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in coerenza con il modello procedimentale, di cui all’art. 737 c.p.c. e ss., prescelto dal legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n. 89 del 2001, sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con l’esercizio di tale potere (Cass. n. 16367/11; conforme, n. 9381/11 e 18603/05; contro, Cass. n. 24965/11).

A conclusioni analoghe è pervenuta Cass. n. 4103/13, la quale ha ritenuto che il potere officioso di acquisizione di atti e documenti L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 3, comma 5, – che è coerente con il potere di assumere informazioni previsto in generale per i procedimenti camerali dall’art. 738 c.p.c. – non consente, in presenza di una espressa richiesta della parte in ordine a tale acquisizione, di considerarla onerata, al fine della prova della tempestività della domanda, della produzione di atti e documenti del processo presupposto, tra i quali va compreso sia l’avviso di avvenuta notificazione della sentenza da parte dell’ufficiale giudiziario D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, ex art. 112, sia l’avviso dell’avvenuta notificazione dell’impugnazione ex art. 123 disp. att. c.p.c., da annotarsi sull’originale della sentenza.

A tale prevalente indirizzo sull’ampia latitudine dei poteri che il giudice di merito può esercitare ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, questo Collegio intende assicurare continuità anche con riferimento al caso in cui non vi sia un’espressa sollecitazione di parte intesa all’esercizio dei poteri stessi. Anche in tale ipotesi, infatti, è sufficiente l’allegazione degli elementi fattuali relativi al giudizio presupposto, quali la data d’inizio e quella di chiusura, la partecipazione ad esso della parte in una data posizione processuale, lo svolgimento del processo e l’oggetto del contendere. Assolto tale onere, la natura camerale del procedimento di equa riparazione impone al giudice, anche ai sensi dell’art. 738 c.p.c., u.c., di provvedere alle acquisizioni probatorie necessarie, senza che ciò costituisca elusione dell’onere probatorio gravante sulla parte attrice (in generale, sui poteri del giudice in sede camerale e sui relativi limiti, cfr. Cass. n. 11864/04).

2.1. – La Corte territoriale non si è attenuta a tale principio, poichè ha ritenuto che la domanda, pur affermata ammissibile per la sufficiente specificazione del petitum e della causa petendi, non fosse accoglibile sol perchè la parte ricorrente non si era avvalsa della facoltà prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, di richiede alla Corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto; e che sulla base del solo documento prodotto (copia della sentenza del TAR Lazio) non fosse sufficiente addebitare la durata del processo all’Amministrazione della Giustizia.

  1. – Pertanto, in accoglimento del ricorso, il decreto impugnato va cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che nel decidere il merito si atterrà al seguente principio di diritto: “in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, è sufficiente che la parte ricorrente alleghi gli elementi fattuali relativi al giudizio presupposto, quali la data d’inizio e quella di chiusura, la partecipazione ad esso della parte in una data posizione processuale, lo svolgimento del processo e l’oggetto del contendere. Assolto tale onere da parte del ricorrente, il giudice, ove sia necessario ai fini della decisione di merito, deve esercitare il potere, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, – nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 – e dell’art. 738 c.p.c., u.c., e indipendentemente da un’espressa sollecitazione di parte, di richiedere l’acquisizione degli atti relativi al giudizio presupposto, senza che ciò costituisca elusione dell’onere probatorio gravante sulla parte attrice”.
  2. – Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese di cassazione, il cui regolamento questa Corte gli rimette ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 26 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2015