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La Corte Costituzionale si pronuncia in materia di reati paesaggistici  incidendo in maniera rilevante nell'ambito sanzionatori.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La Corte Costituzionale si pronuncia in materia di reati paesaggistici incidendo in maniera rilevante nell’ambito sanzionatorio.

Con la sentenza n. 56 del 2016, la Corte Costituzionale si trova ad affrontare la questione di costituzionalità dell’art. 181 co. 1 bis, lett. a) D. Lgs. 22/1/2004 n. 42, in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione.

Con ordinanza del Tribunale di Verona, difatti, è stata sottoposta al vaglio del giudice costituzionale la legittimità dell’articolo citato, nella parte in cui, anche quando non risultino superati i limiti previsti dalla successiva lett. b), – “…trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.” -, punisce con la sanzione della reclusione da 1 a 4 anni, i trasgressori, anziché punirli con la sanzione, più lieve, prevista dal medesimo articolo al comma 1.

In via gradata, inoltre, si eccepiva la illegittimità dei successivi comma 1 ter, 1 quater e 1 quinquies, dell’art. 181, nella misura in cui non contemplavano l’applicazione delle disposizioni, in esse contenute, anche alle fattispecie previste dal comma 1 bis dell’art. 181.

La disposizione citata violerebbe, secondo il giudice a quo, l’art. 3 della Carta Costituzionale per irragionevolezza del deteriore trattamento sanzionatorio, riservato all’autore del reato da essa previsto, sia rispetto a condotte identiche poste in essere su beni con vincoli legali, come quelli previsti dal comma 1, sia a quella prevista alla lett. b) del comma 1 bis, riguardante condotte poste in essere su beni di significativo impatto ambientale, sia, infine, in relazione all’art. 734 c.p.

L’irragionevole trattamento violerebbe, inoltre, l’art. 27 della Costituzione, rendendo la pena ingiusta e priva della sua finalità rieducativa.

Con un chiaro e conciso ragionamento, ed un breve excursus sull’iter che ha portato alla stesura ultima dell’art. 181, così come contestato, la Corte, in accoglimento della sollevata questione, dichiara la illegittimità della norma, limitatamente al comma 1 bis, posto in relazione al comma 1, in quanto palesemente irragionevole nella disparità di trattamento, riscontrata sia nella configurazione dei reati, delitti nel primo caso e contravvenzioni nel secondo, sia per ciò che attiene il trattamento sanzionatorio che alla estinzione del reato.

A seguito di tale dichiarazione di illegittimità, dunque, vi è stata la parificazione della risposta sanzionatoria per le fattispecie previste al comma 1 e comma 1 bis, lett. a) e b), nei limiti in cui non siano superati i limiti volumetrici ivi previsti.

La Corte risponde, in tale maniera, anche alla seconda questione sollevata, circa l’applicabilità dei successivi co. 1 ter, 1 quater e 1 quinquies, alle fattispecie sub comma 1 bis lett. a) e b), gli stessi saranno applicabili, di fatti, a seguito dell’avvenuta parificazione.

 

 

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 181, commi 1-bis, lettera a), ter, quater e quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), promosso dal Tribunale ordinario di Verona nel procedimento penale a carico di A.G. ed altri, con ordinanza del 6 agosto 2014 iscritta al n. 194 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti gli atti di costituzione di A.G. ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo, sostituito per la redazione della decisione dal Giudice Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati Paolo Pellicini e Riccardo Ruffo per A.G. ed altri e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza depositata il 6 agosto 2014, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, lettera a), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nella parte in cui, anche quando non risultino superati i limiti quantitativi previsti dalla successiva lettera b), punisce con la sanzione della reclusione da uno a quattro anni, anziché con le pene più lievi previste dal precedente comma 1 − che rinvia all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A) – colui che, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su immobili o aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori. In via subordinata, ha sollevato, in riferimento ai medesimi parametri, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 181, commi 1-ter, 1-quater e 1-quinquies, nella parte in cui esclude dal proprio ambito applicativo le condotte punite dal predetto art. 181, comma 1-bis, lettera a).

1.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di alcuni imputati per diversi reati, tra i quali quello previsto dall’art. 181, comma 1-bis, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004 (d’ora in avanti «codice dei beni culturali e del paesaggio» o «codice»), per avere, in assenza della prescritta autorizzazione, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico e sottoposta a vincolo paesaggistico con decreto del Ministro per la pubblica istruzione del 23 maggio 1957 (Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della Valpolicella, sita nell’ambito dei comuni di Fumane, Marano, Negrar, Sant’Ambrogio di Valpolicella, Sant’Anna d’Alfaedo e San Pietro Incariano), realizzato un mutamento di destinazione d’uso di un rustico in un’abitazione civile; realizzato una piscina parzialmente interrata; pavimentato con colate di calcestruzzo un tratto di capezzagna (strada sterrata a servizio di appezzamenti di terreno) e, infine, per avere realizzato, in difformità dalla prescritta autorizzazione, un corpo di fabbrica più alto di 40 centimetri. Nel corso del giudizio la Soprintendenza aveva espresso parere favorevole sulla compatibilità di alcune delle opere rispetto al contesto paesaggistico di riferimento.

Il giudice rimettente deduce che, in considerazione del suddetto parere e del fatto che dall’istruttoria è emerso che la piscina è stata rimossa, l’eventuale illegittimità dell’esclusione delle violazioni sanzionate dall’art. 181, comma 1-bis, del codice dei beni culturali e del paesaggio dall’ambito applicativo dei successivi commi 1-ter e 1-quater comporterebbe un diverso esito del procedimento per le opere oggetto del parere della Soprintendenza; inoltre, l’estensione della portata applicativa del comma 1-quinquies anche alle ipotesi di cui al comma 1-bis comporterebbe l’estinzione del reato ascritto agli imputati per la realizzazione della piscina, in quanto successivamente rimossa.

Più radicalmente, dal momento che inciderebbe sul regime sanzionatorio e sui termini di prescrizione del reato, la questione sarebbe rilevante non solo per le opere oggetto del parere e per quelle rimosse, ma anche per tutte le altre condotte poste in essere dagli imputati, laddove emergesse l’illegittimità del differente trattamento sanzionatorio riservato all’art. 181, comma 1-bis, lettera a), del codice, rispetto al comma 1 del medesimo articolo e rispetto all’art. 734 del codice penale, ovvero l’irragionevolezza dell’identità del trattamento sanzionatorio tra i casi disciplinati nel comma 1-bis, e quelli «assolutamente incomparabili» di cui alle lettere a) e b).

1.2.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo deduce, innanzitutto, la violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza del «deteriore» trattamento sanzionatorio riservato all’autore del reato di cui all’art. 181, comma 1-bis, lettera a), sia rispetto alle condotte identiche poste in essere su beni paesaggistici vincolati per legge previste dal comma 1, sia rispetto alla fattispecie disciplinata dalla lettera b) della medesima disposizione (ovvero condotte poste in essere su beni paesaggistici vincolati per legge di significativo impatto ambientale), sia, infine, rispetto a quelle incriminate dall’art. 734 cod. pen.

1.2.1.– Difatti, ai sensi del comma 1 dell’art. 181 del codice, le condotte lesive di beni paesaggistici vincolati ex lege integrano, qualora non superino i limiti quantitativi previsti dal successivo comma 1-bis, reati contravvenzionali; sono oggetto di «sanatoria» ai sensi dell’art. 181, comma 1-ter, e, ai sensi del successivo comma 1-quinquies, si estinguono in ipotesi di rimessione in pristino da parte del trasgressore prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e comunque prima che intervenga la condanna. Ai sensi del comma 1-bis, lettera a), invece, le condotte lesive di beni vincolati con provvedimento amministrativo integrano un delitto e non godono delle predette ipotesi di «sanatoria» o estinzione.

Secondo il rimettente questa differenza di regime tra le due condotte sarebbe irragionevole, in quanto l’unico dato che le distingue risiede nella fonte che ne riconosce il rilievo paesaggistico. Ed anzi, nelle ipotesi di cui al comma 1, esse ricadono su aree e immobili per i quali l’«evidenza paesaggistica è talmente chiara da avere un riconoscimento generale e astratto di fonte direttamente legislativa», e che dovrebbero, quindi, ricevere una tutela maggiore rispetto ai beni il cui rilievo paesaggistico viene riconosciuto da un atto amministrativo.

L’effetto sanzionatorio evidentemente irragionevole violerebbe, inoltre, l’art. 27 Cost., rendendo la pena ingiusta e quindi priva della sua finalità rieducativa.

1.2.2.– La lesione degli evocati parametri deriverebbe anche dal trattamento omogeneo che ricevono le due differenti fattispecie disciplinate dalle lettere a) e b) del comma 1-bis dell’art. 181. Le condotte disciplinate nella lettera b) – che ricadono su immobili o aree tutelati per legge ai sensi dell’art. 142 del codice e hanno comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora hanno comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi – sarebbero, difatti, di straordinario impatto ambientale ma equiparate, quanto a regime sanzionatorio, alle ben più lievi ipotesi disciplinate dalla lettera a), la quale concerne, appunto, tutte le condotte – senza fissazione di alcun limite o soglia nei termini di cui alla citata lettera b) – che ricadono su beni sottoposti a vincolo provvedimentale.

1.2.3.– Infine, la violazione degli artt. 3 e 27 Cost. sarebbe evidente alla luce del raffronto con l’art. 734 cod. pen., il quale commina un’ammenda a colui che distrugge o altera le bellezze naturali soggette a speciale protezione dell’autorità. Mentre, difatti, è punito con una pena fino a quattro anni di reclusione colui che, senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici vincolati in via provvedimentale, anche nel caso in cui l’amministrazione preposta ritenga che non sia stato leso il bene tutelato, è, di contro, sanzionato con l’ammenda fino a 6.197,00 euro colui che distrugga o alteri un bene paesaggistico.

1.3.– In via subordinata, il giudice rimettente solleva, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, commi 1-ter, 1-quater e 1-quinquies, del codice dei beni culturali e del paesaggio, nella parte in cui esclude dal proprio ambito applicativo le condotte previste dal precedente comma 1-bis, lettera a).

Stante l’omogeneità delle condotte previste dai commi 1 e 1-bis, sarebbe difatti irragionevole l’esclusione, solo per quest’ultime, della causa di «sanatoria» prevista dai commi 1-ter e 1-quater legata all’accertamento della compatibilità paesaggistica da parte dell’autorità amministrativa competente, e della causa di estinzione del reato prevista dal comma 1-quinquies per le ipotesi di rimessione in pristino da parte del trasgressore.

2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

La difesa dello Stato nega la violazione dei parametri evocati, in quanto la maggiore gravità della sanzione prevista dal comma 1-bis dell’art. 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio rispetto a quelle previste dal precedente comma l non determinerebbe l’irragionevolezza della norma censurata, stante la non omogeneità delle situazioni contemplate dalle due norme poste a raffronto.

Quanto alla non operatività della causa di non punibilità e della causa di estinzione del reato di cui ai commi l-ter, l-quater e l-quinquies dell’art. 181 del codice, in relazione al reato previsto e punito dal comma l-bis, essa sarebbe immune dai vizi di costituzionalità prospettati, in quanto le norme in questione sarebbero destinate ad operare in relazione a interventi di minima rilevanza e consistenza, non incidenti, ovvero non idonei ad incidere, sull’integrità del bene ambiente. Nel novero di tali interventi non potrebbero rientrare le opere realizzate in assenza di autorizzazione, ovvero in difformità di essa, in aree dichiarate, con apposito provvedimento amministrativo, di notevole interesse pubblico per le loro caratteristiche paesaggistiche.

3.– Con memoria depositata il 25 novembre 2014, si sono costituiti A.G., A.M. e S.C., imputati nel giudizio a quo, sostenendo la contrarietà della norma impugnata ai principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza.

Premessa un’opera di perimetrazione delle nozioni di paesaggio e ambiente e della relativa tutela apprestata dal legislatore, le parti private sostengono che la diversità di regime risultante dalle norme impugnate non avrebbe alcuna giustificazione «costituzionalmente orientata». Comparando le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma l-bis dell’art. 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio, si avrebbe, infatti, una differenziazione di disciplina tra beni giuridici di medesimo contenuto e tutelati per identica tipologia. Se pure spetta al legislatore il potere di individuare il bene giuridico protetto dalla norma e il grado di tutela ad esso garantito, nel caso in esame vi sarebbe una irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio tra condotte eguali, sulla base del dato irrilevante che il bene paesaggistico sia «oggetto di tutela per decretazione piuttosto che per legge».

Si segnala peraltro che, anche dal punto di vista del profilo della gerarchia delle fonti normative, si giungerebbe all’inammissibile conclusione che la violazione di un provvedimento di natura amministrativa che tutela alcuni beni di notevole interesse paesaggistico comporta una sanzione penale superiore a quella prevista per i medesimi beni paesaggistici oggetto di tutela legale.

Ci si duole, inoltre, della mancata rilevanza attribuita alla declaratoria di compatibilità ambientale intervenuta in seguito al procedimento di cui all’art. 181, comma 1-quater, del codice. Nonostante la natura di reato di pericolo, sarebbe, infatti, indispensabile, per la sussistenza del reato, la realizzazione di una lesione pur minima del bene giuridico tutelato, comunque apprezzabile, da intendersi come lesione concreta e non meramente potenziale.

Considerato in diritto

1.− Con ordinanza depositata il 6 agosto 2014, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, lettera a), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nella parte in cui, anche quando non risultino superati i limiti quantitativi previsti dalla successiva lettera b), punisce con la sanzione della reclusione da uno a quattro anni, anziché con le pene più lievi previste dal precedente comma 1 − che rinvia all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A) – colui che, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su immobili o aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori.

La disposizione censurata, secondo il giudice a quo, violerebbe l’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza del «deteriore» trattamento sanzionatorio riservato all’autore del reato da essa previsto, sia rispetto alle condotte identiche poste in essere su beni paesaggistici sottoposti a vincolo legale previste dal comma 1, sia rispetto alla fattispecie disciplinata dalla lettera b) della medesima disposizione, riguardante condotte poste in essere sugli stessi beni paesaggistici di significativo impatto ambientale, sia, infine, rispetto all’art. 734 del codice penale.

Ed infatti, ai sensi del comma 1 dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 (d’ora in avanti «codice dei beni culturali e del paesaggio» o «codice»), le condotte incidenti su beni paesaggistici vincolati ex lege integrano, qualora non superino i limiti quantitativi previsti dal successivo comma 1-bis, reati contravvenzionali; gli autori non sono punibili ai sensi del comma 1-ter, qualora sopravvenga l’accertamento di compatibilità paesaggistica dell’autorità preposta; e, ai sensi del successivo comma 1-quinquies, i reati si estinguono in ipotesi di rimessione in pristino da parte del trasgressore prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e comunque prima che intervenga la condanna. Ai sensi dell’art. 181, comma 1-bis, lettera a), invece, le condotte incidenti su beni vincolati in via provvedimentale integrano un delitto e non godono delle predette ipotesi di non punibilità o estinzione.

L’irragionevole trattamento sanzionatorio apprestato dalla disposizione censurata violerebbe anche l’art. 27 Cost., rendendo la pena ingiusta e quindi priva della sua finalità rieducativa.

La lesione dei menzionati parametri deriverebbe anche dal trattamento omogeneo che ricevono le due differenti fattispecie disciplinate dall’art. 181, comma 1-bis. Le opere menzionate nella lettera b), incidenti su beni vincolati ex lege, sarebbero, difatti, di straordinario impatto ambientale ma equiparate, quanto a regime sanzionatorio, alle ben più lievi ipotesi disciplinate dalla lettera a), incidenti su beni sottoposti a vincolo provvedimentale.

Infine, la violazione degli artt. 3 e 27 Cost. sarebbe evidente ove si ponga a raffronto l’art. 181, comma 1-bis, lettera a), del codice con l’art. 734 cod. pen., che commina l’ammenda fino a 6.197,00 euro a colui che distrugge o altera le bellezze naturali soggette a speciale protezione dell’autorità.

2.– In via subordinata, il giudice rimettente ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, commi 1-ter, 1-quater e 1-quinquies, del codice dei beni culturali e del paesaggio, nella parte in cui esclude dal proprio ambito applicativo le condotte previste dall’art. 181, comma 1-bis, lettera a). Sarebbe, difatti, parimenti irragionevole escludere le cause di non punibilità e di estinzione del reato là dove si tratti di condotte identiche, quali quelle previste dai commi 1 e 1-bis del medesimo articolo.

3.– La questione sollevata in via principale è fondata.

4.− È noto che la discrezionalità di cui gode il legislatore nel delineare il sistema sanzionatorio penale trova il limite della manifesta irragionevolezza e dell’arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (sentenze n. 81 del 2014, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009, n. 324 del 2008 e n. 394 del 2006).

4.1.– Facendo applicazione di tali principi nella materia in esame, questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-sexies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), introdotto dall’art. 1 della legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, che dettava una disciplina inversa a quella odierna, perché puniva più severamente le violazioni incidenti sui beni sottoposti a vincolo legale.

In quell’occasione la Corte ha affermato che «la ratio della introduzione di vincoli paesaggistici generalizzati (in base a tipologie di beni) risiede nella valutazione che l’integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va, pertanto, salvaguardato nella sua interezza (sentenze n. 247 del 1997, n. 67 del 1992 e n. 151 del 1986; ordinanze n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» e che la severità del relativo trattamento sanzionatorio «trova giustificazione nella entità sociale dei beni protetti e nel ricordato carattere generale, immediato ed interinale, della tutela che la legge ha inteso apprestare di fronte alla urgente necessità di reprimere comportamenti tali che possono produrre danni gravi e talvolta irreparabili all’integrità ambientale (sentenze n. 269 e n. 122 del 1993; ordinanza n. 68 del 1998)» (ordinanza n. 158 del 1998).

La più rigorosa risposta sanzionatoria nei confronti dei reati incidenti su beni paesaggistici vincolati per legge è stata quindi ritenuta non irragionevolmente discriminatoria per il fatto che introduce «una tutela del paesaggio (per vaste porzioni del territorio individuate secondo tipologie paesistiche, ubicazioni o morfologiche), improntata a integrità e globalità, implicante una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale (v., da ultimo, ordinanze n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» (ordinanza n. 158 del 1998).

4.2.– Tale assetto ha subito una modifica in occasione della “codificazione” della materia paesaggistica, prima con l’art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352) e poi con l’originario art. 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio.

Con tali norme il legislatore, innalzando il grado di tutela dei beni vincolati in via provvedimentale allo stesso livello di quelli tutelati per legge, ha optato per l’identità di risposta sanzionatoria, evidentemente sul presupposto di una ritenuta sostanziale identità dei valori in gioco.

4.3.– Con le modifiche apportate all’art. 181 del codice dalla legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) il legislatore è tuttavia tornato a distinguere le fattispecie.

Nel fare ciò, non solo ha invertito la risposta sanzionatoria, punendo più gravemente le condotte incidenti su beni sottoposti a vincoli puntuali rispetto a quelle incidenti su beni vincolati per legge, ma ha anche delineato un complessivo trattamento sanzionatorio delle prime di gran lunga più severo rispetto a quello riservato alle seconde.

Ed infatti, i lavori eseguiti sui beni vincolati in via provvedimentale senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa integrano sempre un delitto e sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni; mentre i lavori eseguiti sui beni vincolati per legge integrano una contravvenzione e sono puniti con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.986,00 a 103.290,00 euro, a meno che non costituiscano, ai sensi dell’art. 181, comma 1-bis, lettera b), opere di notevole impatto volumetrico, nel qual caso sono puniti alla stessa stregua dei primi. Solo per i reati commessi su beni sottoposti a vincolo legale, poi, operano, alle condizioni specificamente previste, le cause di non punibilità e di estinzione del reato rispettivamente introdotte dai commi 1-ter e 1-quinquies.

5.− Si è dunque in presenza di una legislazione ondivaga, non giustificata né da sopravvenienze fattuali né dal mutare degli indirizzi culturali di fondo della normativa in materia; e già questo è sintomo di irragionevolezza della disciplina attuale.

Tale irragionevolezza è resa poi manifesta dalla rilevantissima disparità tanto nella configurazione dei reati (nell’un caso delitto, nell’altro contravvenzione), quanto nel trattamento sanzionatorio, in relazione sia alla entità della pena che alla disciplina delle cause di non punibilità ed estinzione del reato.

6.− Dalla fondatezza della questione consegue la parificazione della risposta sanzionatoria (secondo l’assetto già sperimentato dal legislatore al momento della codificazione), con la riconduzione delle condotte incidenti sui beni provvedimentali alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1-bis.

Tale risultato si ottiene mediante l’eliminazione dell’inciso dell’art. 181, comma 1-bis, che va dai «:», che seguono le parole «di cui al comma 1», e precedono la lettera a), alla congiunzione «ed» di cui alla lettera b).

6.1.– L’art. 181, comma 1-bis, deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».

7.– Restano assorbiti gli altri profili di censura e la questione proposta in via subordinata.

Quest’ultima, in particolare, risulta superata a seguito dell’intervento sull’art. 181, comma 1-bis. Da esso consegue che le condotte incidenti sui beni paesaggistici individuati in via provvedimentale, consistenti nella realizzazione di lavori che non comportino il superamento delle soglie volumetriche ivi indicate, e ora regolate dal comma 1 dell’art. 181, possono beneficiare degli istituti della non punibilità per accertamento postumo della compatibilità paesaggistica e della estinzione del reato per ravvedimento operoso, rispettivamente previsti dall’art. 181, comma 1-ter, e comma 1-quinquies, che richiamano appunto il comma 1 per definire il loro ambito di applicazione.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2016.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA