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Diritto Civile – Presunzione del danno alla salute dei vicini in caso di immissioni rumorose intollerabili

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Diritto Civile – Presunzione del danno alla salute dei vicini in caso di immissioni rumorose intollerabili

La Suprema corte è di recente intervenuta, con la sentenza n. 13208/2016 (qui sotto riportata), per affermare la presunzione del danno alla salute subito dalle persone soggette ad immissioni rumorose intollerabili. Tale presunzione troverebbe la propria legittimazione nella regola di comune esperienza secondo la quale le immissioni rumorose che superano la normale tollerabilità sono di per se idonee a compromettere l’equilibrio psico-fisico del soggetto ripetutamente esposto ad esse. Pertanto, il giudice potrà avvalersi, nel caso prefigurato, di tale regola di comune esperienza, presumendo il danno alla salute subito dalle persone soggette a tali immissioni rumorose anche nel caso di assenza di una qualsiasi documentazione che attesti il danno stesso. Secondo la Corte di Cassazione, infine, le allegazioni, la documentazione, e l’evocazione di una regola di comune esperienza devono ritenersi sufficienti per integrare i necessari estremi dell’an e del quantum probatorio richiesto al fine dell’accoglimento della domanda risarcitoria.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-06-2016, n. 13208

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6092-2013 proposto da:

JEDI SRL, (OMISSIS) in persona del suo Amministratore – legale rappresentante Z.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e rappresentata e difesa dall’avvocato PIERFRANCESCO CIANCIA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.N.A., (OMISSIS), BE.AD. (OMISSIS), C.E. (OMISSIS), BO.TE., (OMISSIS), F.O. (OMISSIS), BU.MA.PI. (OMISSIS), T. G. (OMISSIS), N.L. (OMISSIS), V.M.L. (OMISSIS), V.R. (OMISSIS), V.C. (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

BU.MA.PI., (OMISSIS), B.N.A. (OMISSIS), N.L. (OMISSIS), V. C. (OMISSIS), BE.AD. (OMISSIS), C.E. (OMISSIS), V.R. (OMISSIS), BO.TE. (OMISSIS), F.O. (OMISSIS), T.G. (OMISSIS), V.M.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO LAVATELLI giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

JEDI SRL (OMISSIS) in persona del suo Amministratore-legale rappresentante Z.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e rappresentata e difesa dall’avvocato PIERFRANCESCO CIANCIA giusta procura speciale in calce al ricorso al ricorso principale;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 115/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/01/2012, R.G.N. 790/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/10/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato PIERFRANCESCO CIANCIA;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO ROSSI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Svolgimento del processo

 

Gli odierni contro ricorrenti, meglio specificati in epigrafe, proposero appello avverso la sentenza del Tribunale di Como, che, accogliendone solo in parte le domande proposte in quella sede, aveva condannato la s.r.l. Jedi, in qualità di affittuaria e gestore dell’azienda denominata “Albert club”, esercente l’attività di discoteca, all’apposizione di idonea sigillatura delle porte- finestre site al primo piano, rigettando quella volta al risarcimento dei danni da immissioni rumorose, percepibili dagli appartamenti degli attori, attasa l’eliminazione (o quantomeno il notevole ridimensionamento) dell’attività acustica indicata come lesiva della salute, in assenza di una prova rigorosa del danno lamentato.

La corte di appello di Milano, investita dell’impugnazione proposta dagli attori in prime cure, la accolse in parte, condannando la società convenuta al pagamento, in favore di ciascuno di essi, della somma di 10 mila Euro.

Per la cassazione della sentenza della Corte meneghina la Jedi ha proposto ricorso sulla base di 2 motivi di censura.

Resistono le parti appellanti con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale (nella sostanza, da ritenersi condizionato), cui resiste con controricorso la ricorrente principale.

 

Motivi della decisione

 

I ricorsi devono essere riuniti.

Il ricorso è principale infondato.

Al suo rigetto consegue l’assorbimento di quello incidentale.

Con il primo motivo, si denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 844, 2043, 2059 e 2697 c.c.; mancato e/o omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.

Il motivo – con il quale si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui omette di considerare che l’accertata intollerabilità delle immissioni non esonera la parte dall’onere di provare una specifica compromissione della sua salute, non potendosi identificare il danno risarcibile come compromissione in re ipsa, nè tantomeno con meri fastidi naturalmente conseguenti alle immissioni moleste – è privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha preliminarmente osservato come gli istanti avessero documentato con certificazioni mediche le condizioni di salute lato sensu patologiche conseguenti all’esposizione prolungata ad un livello eccessivo di rumore – pur specificando poi che, anche in assenza di tale documentazione, si sarebbe in ogni caso dovuto presumere il danno subito dalle persone soggette alle immissioni intollerabili.

Pertanto, corretta in parte qua la motivazione (non essendo astrattamente predicabile la configurabilità di un danno in re ipsa), il dispositivo della sentenza risulta conforme a diritto, potendo il giudice, in subiecta materia, avvalersi della regola di comune esperienza secondo la quale le immissioni rumorose che eccedano la soglia della normale tollerabilità sono di per se idonee a provocare una compromissione dell’equilibrio psico-fisico del soggetto ripetutamente esposto ad esse (ex aliis, Cass. 5844/2007).

Deve, pertanto, ritenersi, che le allegazioni, la documentazione, e l’evocazione di una regola di comune esperienza siano sufficienti ad integrare i necessari estremi dell’an e del quantum probatorio richiesto al fine dell’accoglimento della domanda risarcitoria.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 1226, 2056 e 2697 c.c..

Il motivo è infondato.

La doglianza secondo la quale nessun accertamento specifico sarebbe stato compiuto dal giudice di merito al fine di quantificare il danno, difatti, si infrange sul costante insegnamento di questa Corte regolatrice, a mente del quale la liquidazione equitativa del danno è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, sia quando la determinazione del relativo ammontare sia impossibile, sia quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, essa si presenti particolarmente difficoltosa, costituendo oggetto di un giudizio di fatto che si sottrae, se non inficiato da errori logico- giuridici, al controllo di legittimità (Cass. 6414/2000; 20271/2002;

12613/2010).

Non essendo ravvisabili, nella specie, i predetti vizi nel corpo della motivazione della sentenza impugnata, il motivo deve essere rigettato.

Il ricorso principale è pertanto rigettato.

Al suo rigetto consegue l’assorbimento di quello incidentale, nella sostanza condizionato (come risulta dalla lettura della p. 47 dell’atto di resistenza).

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 2900, di cui 200 per spese.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2016