Home Articoli Nullità selettiva e limiti di buona fede (S.U. N. 28314 DEL 4.11.2019)

Nullità selettiva e limiti di buona fede (S.U. N. 28314 DEL 4.11.2019)

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Con la sentenza n. 28314 del 4 Novembre 2019 le S.U. sono tornate ad occuparsi della legittimità dell’utilizzo selettivo, da parte dell’investitore, della nullità di cui all’art. 23 del D. LGS 59/98 in relazione ai contratti finanziari, verificando se tale utilizzo debba incontrare o meno un limite nell’immanente principio di buona fede e correttezza.

In particolare, sulla base delle argomentazioni e delle riflessioni di seguito esposte, le S.U. sono giunte ad affermare il seguente principio di diritto: “La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro”.

Invero le S.U. sono state chiamate a pronunciarsi sull’esatta determinazione degli effetti e delle conseguenze giuridiche derivanti dall’azione di nullità, proposta dall’investitore, in relazione ad alcuni e specifici ordini di investimento, eseguiti in attuazione di un contratto quadro per il quale sia stata accertata la nullità ex art. 23 TUF per difetto di forma scritta.

Il punto controverso sottoposto all’esame delle S.U. riguarda, in particolare, l’estensione degli effetti della dichiarazione di nullità del contratto quadro anche alle operazioni (ordini) che non hanno formato oggetto della domanda proposta dal cliente ed i limiti di tale estensione.

Ebbene le S.U., all’uopo, hanno ritenuto utile partire dal peculiare regime che accompagna le nullità di protezione, all’interno delle quali si colloca incontestabilmente la nullità del contratto quadro per difetto di forma scritta prevista dall’art. 23 TUF.

Al fine di ricostruire tale regime le S.U. hanno richiamato l’analoga disposizione contenuta, con riferimento ai contratti bancari, all’art. 117 del D.Lgs. 385/93, nonché l’attuale formulazione dell’art. 127 Codice del Consumo (D.Lgs. 206/05), evidenziando che lo status che accomuna tale tipologia di nullità si sostanzia essenzialmente nella propria natura relativa ed unilaterale, considerato che essa può operare ad esclusivo vantaggio del cliente, e nel suo rilievo ufficioso da parte del giudice, sempre che vi sia una manifestazione di interesse del legittimato attivo.

Sotto il profilo funzionale, inoltre, precisano le S.U., la nullità di cui all’art. 23 TUF rappresenta “il primo (ma non l’unico) ineliminabile strumento di superamento dello squilibrio contrattuale e dell’asimmetria informativa delle parti”. Ciò precisato, tuttavia, le S.U. hanno chiarito che lo status e la funzionalità descritte non sottraggono dette nullità all’applicazione dei principi di buona fede e correttezza, anche nell’esercizio dei diritti in sede giurisdizionale. Pertanto, proprio avendo riguardo a tale criterio, occorre accertare se l’utilizzo selettivo della nullità di protezione nei contratti di investimento da parte dell’investitore possa produrre effetti distorsivi ed estranei alla ratio riequilibrartice dell’istituto.

Sul punto, le S.U. non hanno potuto fare a meno di richiamare i due principali orientamenti che si sono formati, corrispondenti alle posizioni espresse nelle pronunce n. 8395/2016 e 6664/2018 della Prima Sez. Civile, i quali possono essere così sintetizzati:

  1. Secondo un primo indirizzo, espresso con la pronuncia n. 6664/2018, l’operatività della nullità di protezione si esaurisce nella legittimazione esclusiva del cliente a far valere la nullità per difetto di forma; con la conseguenza che, una volta dichiarata l’invalidità del contratto quadro, gli effetti caducatori e restitutori conseguenti potrebbero essere fatti valere da entrambe le parti e con riguardo a tutti gli ordini effettuati in esecuzione del contratto quadro dichiarato nullo.
  2. Secondo una diversa impostazione, emersa con la sentenza n. 8395/2016, al contrario, deve riconoscersi la piena operatività sostanziale e processuale del regime giuridico della nullità di protezione ad esclusivo vantaggio del cliente. Tanto comporta che l’intermediario, anche in caso di dichiarata invalidità dell’intero contratto, non potrebbe mai avvalersi delle conseguenze vantaggiose che ne potrebbero derivare (es. obblighi restitutori), pena la sostanziale abrogazione dello speciale regime di intangibilità ed impermeabilità proprio della nullità di protezione, preposta ad esclusivo vantaggio del cliente.

Invero le S.U., nell’excursus motivazionale, hanno ritenuto di non dover aderire supinamente a nessuno dei due orientamenti esposti, precisando che la buona fede appare essere lo strumento più idoneo per affrontare il tema “dell’uso eventualmente distorsivo dello strumento delle nullità di protezione in funzione selettiva”, in quanto tale clausola, senza alterare il carattere unilaterale dello strumento, sembrerebbe verificare l’equilibrio contrattuale delle parti e impedire l’abuso della nullità protettiva.

Ebbene, primariamente, le S.U. rifiutano di ritenere che l’utilizzo selettivo della nullità di protezione di cui all’art. 23 TUF debba ritenersi, a priori, sempre distorsivo e/o opportunistico, quindi paralizzabile con l’exceptio doli generalis. Infatti, una simile impostazione, sembrerebbe trascurare la funzione tipica della nullità protettiva, che è quella di porre rimedio ad una preesistente condizione di squilibrio strutturale, oltre a dimenticare la vocazione naturale delle suddette nullità, che è quella di operare ad esclusivo vantaggio di uno dei contraenti.

In sostanza le S.U. confermano che anche la nullità di cui all’art. 23 TUF opera sul piano della legittimazione processuale e degli effetti sostanziali, dei quali, operando la stessa ad esclusivo vantaggio dell’investitore, non può valersi l’intermediario. Quest’ultimo, quindi, anche a seguito della dichiarata nullità del contratto quadro, non è legittimato ad agire in via riconvenzionale od autonoma ex art. 1422 e 2033 c.c.

Tuttavia, considerata la ratio ed il fondamento costituzionale delle nullità protettive, vista la funzione riequilibrartice endocontrattuale che le stesse svolgono, nonché il limite ordinamentale imposto dal principio di buona fede, non può ammettersi che dalla nullità in chiave selettiva possa derivare un pregiudizio economico sproporzionato a carico dell’altra parte.

Tanto comporta, concludono le S.U., che solo laddove i rendimenti degli ordini non colpiti da nullità dovessero risultare superiori al petitum sarà possibile per l’intermediario opporre l’eccezione di buona fede, idonea a paralizzare gli effetti restitutori dell’azione di nullità selettiva. Diversamente, ove i rendimenti degli ordini non colpiti da nullità selettiva abbiano prodotto un risultato positivo inferiore o pari al pregiudizio invocato nel petitum, l’effetto impeditivo dell’eccezione di buona fede sarà parziale ed opererà nei limiti del vantaggio ingiustificato.