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DIRITTO TRIBUTARIO. IMPOSSIBILITA’ PER IL CONTRIBUENTE DI REGOLARIZZARE LA PROPRIA POSIZIONE A SEGUITO DELLA CONTESTAZIONE DELLA VIOLAZIONE.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

DIRITTO TRIBUTARIO. IMPOSSIBILITA’ PER IL CONTRIBUENTE DI REGOLARIZZARE LA PROPRIA POSIZIONE A SEGUITO DELLA CONTESTAZIONE DELLA VIOLAZIONE.

Con la sentenza n. 8210 del 22/04/2015 la Cassazione ha statuito che dopo la contestazione della violazione da parte dell’Amministrazione finanziaria al contribuente è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione.

La Suprema Corte, nella fattispecie, ha accolto due dei cinque motivi posti a base del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza n. 10/43/2009 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. Quest’ultima aveva stabilito che la mancata indicazione nella dichiarazione dei redditi di costi deducibili costituisse una mera irregolarità formale e che essa potesse essere “corretta” dal contribuente mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa (con applicazione di apposita sanzione ex art. 8, co.1 D.Lgs. n. 471 del 1997).

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto invalide le dichiarazioni integrative presentate dal contribuente e ha riscontrato l’errore in cui è incorsa la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia nell’applicare alla fattispecie in esame la più lieve sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997.

“Dopo la contestazione della violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, essendo indubbio che ove ciò fosse possibile, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio accordato dal legislatore per ovviare ad un errore del contribuente per trasformarsi in mezzo elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza delle disposizioni relative alla compilazione della dichiarazione dei redditi”.

 

Cass. civ. Sez. V, Sent., 22-04-2015, n. 8210

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n.12 è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

COFERMETAL s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso dagli avv.ti LEONE GREGORIO, Valeria Fontana e Ernesto Mocci ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Germanico n. 146;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.10/43/09 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata il 10.2.2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 9.1.2015 dal Consigliere Dott. Roberta Crucitti;

udito per la ricorrente l’Avv. Pasquale Pucciariello;

udito per la controricorrente l’Avv. Gregorio Leone;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso, in via principale per la rimessione alle Sezioni Unite, e in subordine per l’accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

Nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva determinato un maggior reddito imponibile della Cofermetal s.p.a., per gli anni dal 2002 al 2004, riprendendo a tassazione i costi relativi a materie prime acquistate in Paesi a fiscalità privilegiata (Libano, Svizzera e Corea del Sud) e ritenuti indeducibili perchè non indicati separatamente in dichiarazione, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe ed in riforma delle sentenze di primo grado che avevano rigettato i ricorsi proposti dalla contribuente, ha annullato gli avvisi impugnati, applicando la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 417 del 1997, art. 8, comma 1.

In particolare, il Giudice di appello ha ritenuto che le operazioni commerciali fossero state effettivamente eseguite, ma, ancor prima, ha rilevato che l’Ufficio, violando l’art. 76, comma 7 ter, del T.U.I.R. (vigente ratione temporis) aveva omesso, antecedentemente all’emissione degli atti impugnati, di notificare alla contribuente l’apposito avviso con il quale viene concesso un termine per fornire la prova che le imprese estere svolgano principalmente un’attività industriale o commerciale effettiva nel mercato del Paese nel quale hanno sede.

La Commissione Tributaria Regionale lombarda, dato atto che l’indeducibilità dei costi era stata soppressa dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 301, ha, poi, ritenuto che la mancata separata indicazione degli stessi in dichiarazione costituisse una mera irregolarità formale con possibilità, quindi, per il contribuente di correzione attraverso la presentazione di dichiarazione integrativa ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, ed applicazione della sola sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l’Agenzia delle Entrate.

La Società ha resistito con controricorso e memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

  1. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11, per avere la C.T.R. ritenuta violata tale norma in quanto l’Ufficio non aveva, preventivamente all’emissione degli avvisi di accertamento, notificato al contribuente l’avviso atto a consentire l’offerta di prova in ordine all’effettività delle operazioni.

1.1. Il motivo è fondato. All’epoca in cui vennero emessi gli avvisi di accertamento impugnati, l’art. 110 del TUIR (nel testo vigente ratione temporis) prevedeva due concorrenti condizioni affinchè il contribuente potesse portare in deduzione i costi rinvenienti da operazioni commerciali intrattenute con imprese aventi sede nei Paesi a fiscalità privilegiata: non la sola effettività e concreta esecuzione di dette operazioni ma anche che i costi fossero stati indicati separatamente in dichiarazione. Nella specie, l’Ufficio ebbe a constatare solo detto ultimo inadempimento, sufficiente, all’epoca, da solo a rendere i costi indeducibili, con la conseguenza che l’emissione della comunicazione al contribuente della possibilità di fornire le sue prove era, a quella data e nel particolare caso, superflua. Ne consegue l’irrilevanza, nel caso in esame, della questione, sollevata dalla contro ricorrente relativa ad un’asserita violazione del principio del contraddittorio, alla luce dei principi fissati dalle SS.UU. di questa Corte con la sentenza n. 19667/14.

  1. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione ad opera della C.T.R. della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 302 e 303, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis. Secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di appello, la dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente, successivamente alle date dei processi verbali di constatazione, non poteva fare venire meno l’applicabilità della diversa e più grave, rispetto a quella applicata dalla CTR, sanzione di cui al comma tre bis del citato art.8, come espressamente prevista anche per le operazioni pregresse, dall’art. 1, comma 303, della legge finanziaria 2007.

2.1. Il motivo è fondato. Va, invero, data continuità all’orientamento già espresso in materia da questa Corte (Cass. n.ri 5398/2012; 1158/2014; 20081/2014) secondo cui dopo la contestazione della violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, essendo indubbio che ove ciò fosse possibile, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio accordato dal legislatore per ovviare ad un errore del contribuente per trasformarsi in mezzo elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza delle disposizioni relative alla compilazione della dichiarazione dei redditi. E ciò, a maggior ragione, laddove di consideri che nel caso in specie, fa separata indicazione in dichiarazione, in quanto preordinata ai controlli, non integra, come invece ritenuto dal Giudice di merito, mera irregolarità formale.

Ritenuta, pertanto, l’invalidità delle dichiarazioni integrative presentate dalla contribuente e, preso atto che nella specie non risulta censurata l’applicabilità dello ius superveniens costituito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 301, in punto di deducibilità dei costi rinvenienti da operazioni poste in essere con imprese aventi sede in Paesi a fiscalità privilegiata, anche se non separatamente indicati in dichiarazione, alle operazioni pregresse ne consegue l’errore in cui è incorsa la Commissione tributaria lombarda nell’applicare la più lieve sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, laddove l’art. 1, comma 303, della legge citata è chiaro nel disporre l’applicazione, alle operazioni pregresse, del nuovo regime sanzionatorio introdotto dal precedente comma 302 ovvero la sanzione di cui all’art. 8, comma 3 bis, D.Lgs. citato.

  1. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di legge, la ricorrente rileva l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nell’annui lare integralmente gli avvisi di accertamento e ritenere, quindi, implicitamente deducibili i costi laddove lo ius superveniens subordina tale deducibilità pur sempre alla prova che l’impresa estera svolga prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto concreta esecuzione, laddove l’Ufficio aveva sempre contestato la sussistenza di tali presupposti nel caso in esame. Al contrario, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. si era limitata a ritenere che le operazioni erano effettive, laddove solo tale presupposto non era sufficiente dovendosi fornire, altresì, la prova anche di un contestuale interesse economico ovvero le imprese estere svolgessero una prevalente attività commerciale.
  2. Con il quarto motivo si deduce la medesima violazione di legge per avere il Giudice di appello ritenuto che le bolle doganali e le relative fatture costituissero prova sufficiente dell’effettività dello svolgimento delle operazioni laddove l’Ufficio aveva contestato che per dimostrare la concreta esecuzione delle operazioni la documentazione contabile non era sufficiente dovendosi fornire la prova che le materie prime acquistate fossero state concretamente utilizzate dalla contribuente nel processo produttivo.
  3. Infine, con il quinto motivo si denunzia la sentenza impugnata di insufficiente motivazione per non avere la C.T.R. chiarito le ragioni per le quali i documenti offerti (fatture e bolle doganali) fornivano la prova dell’effettività delle operazioni laddove l’Ufficio aveva contestato tale rilevanza sulla base dell’argomentazione già illustrata nell’esame del precedente mezzo.
  4. I mezzi, trattati congiuntamente siccome involgenti sotto diversi profili la medesima questione (ovvero la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 110, comma 11 TUIR), vanno incontro alla sanzione di inammissibilità.

Dal contenuto degli atti impositivi impugnati (come riportati da entrambe le parti) e dall’accertamento compiuto sul punto dalla sentenza impugnata, emerge che con gli avvisi di accertamento l’Ufficio ebbe a contestare, quale causa di indeducibilità dei costi, solo la mancata separata indicazione delle operazioni di importazione, non sollevando alcun rilievo in ordine alla loro effettività ovvero concreta esecuzione.

6.1. Ora, la particolare natura impugnatoria del giudizio tributario fa sì che il relativo ambito rimanga circoscritto al contenuto dell’atto impugnato e delimitato dai motivi di impugnazione, laddove con i mezzi di ricorso, rassegnati da ultimi, si introduce un’inammissibile ampliamento del thema decidendum.

  1. In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, in accoglimento del primo e del secondo motivo, inammissibili i restanti, la sentenza impugnata va cassata e va disposto il rinvio a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia affinchè, alla luce degli esposti principi, riesamini la vicenda processuale in punto di sanzioni e liquidi le spese del grado.

 

P.Q.M.

 

La Corte, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese processuali, a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2015