Home Approfondimenti La legge Balduzzi si estende anche alla negligenza. Un altro tassello sulla...

La legge Balduzzi si estende anche alla negligenza. Un altro tassello sulla responsabilità medica per scongiurare la cosiddetta medicina difensiva.

1492
0
CONDIVIDI
Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La legge Balduzzi si estende anche alla negligenza. Un altro tassello sulla responsabilità medica per scongiurare la  cosiddetta medicina difensiva.

 

Con l’innovativa sentenza in argomento – n. 45527 del 2015 – la Cassazione estende la causa di non punibilità prevista dalla legge Balduzzi anche al sanitario negligente.

Il caso prende le mosse dalla condotta di un medico di base che effettuava un errore diagnostico per una patologia gastrica, senza disporre il ricovero immediato in ospedale, fidandosi delle risultanze di una precedente diagnosi fatte dai colleghi in un precedente ricovero.

La morte del paziente che ne era, così, conseguita non è ascrivibile, a detta di tale pronuncia, al sanitario, in quanto, anche in riferimento alla diligenza, opera l’esclusione della responsabilità per colpa lieve, introdotta dalla legge Balduzzi.

Detta novella, che era stata applicata da varie pronunce della Cassazione solo per quanto riguarda il profilo della perizia, viene estesa anche a quello della diligenza, mandando esente da pena i sanitari per colpa lieve.

Si aggiunge, così, un altro tassello al mosaico della responsabilità medica che il legislatore e la giurisprudenza stanno componendo, per scongiurare la cosiddetta medicina difensiva.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-07-2015) 16-11-2015, n. 45527

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIRENA Pietro Antonio – Presidente –

Dott. IZZO Fausto – rel. Consigliere –

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere –

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4246/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del 07/05/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. IZZO Fausto;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

  1. Con sentenza del 22/10/2012 il G.i.p. del Tribunale di Asti, in sede di giudizio abbreviato, assolveva C.G. dal delitto di omicidio colposo, perchè il fatto non costituisce reato.

All’imputato era stato addebitato che, in qualità di medico di continuità assistenziale (ex guardia medica), intervenuto presso l’abitazione di Z.J. domenica (OMISSIS), alle ore 10,00, avendo rilevato una sintomatologia di “dolore toracico retro sternale con irradiazione al braccio bilateralmente” aveva omesso di disporre l’immediato invio del paziente al Pronto Soccorso, diagnosticando erroneamente una patologia gastrica, di tal che il paziente decedeva alle ore 19.51 per una sindrome coronarica acuta (acc. in (OMISSIS)).

Riteneva il G.u.p. che, pur sussistendo l’elemento oggettivo del delitto contestato, difettava l’elemento soggettivo della colpa, avendo l’imputato fatto affidamento sulla diagnosi effettuata pochi giorni prima, durante un ricovero in ospedale con un’analoga sintomatologia, all’esito del quale era stata diagnosticata una sospetta colica addominale.

  1. A seguito di impugnazione del P.M., la Corte di appello di Torino, con sentenza del 7/5/2014, riformando la pronuncia di primo grado, ritenuta la colpevolezza del C. per omicidio colposo, lo condannava alla pena di un anno di reclusione, con le attenuanti generiche, la diminuente del rito ed i doppi benefici.

Osservava la corte distrettuale che l’errore in cui era caduto il G.u.p. era stato quello di appiattirsi sulle conclusioni del perito d’ufficio, il quale aveva attribuito assorbente rilievo all’errore diagnostico dei medici che avevano avuto in osservazione lo Z. in Ospedale e che non si erano accorti, fin dal 26 settembre, giorno del ricovero, della patologia cardiaca in atto.

Invero:

– l’errata diagnosi di sospetta colica addominale, formulata all’atto delle dimissioni non doveva considerarsi vincolante per il C., in quanto il paziente era stato dimesso, contro la volontà dei sanitari, prima del completamento di tutti gli esami;

– l’imputato avrebbe dovuto effettuare una autonoma valutazione del quadro sintomatologico all’atto del suo intervento che, come rilevato dal C.T. del P.M., era chiaramente indicativo di un infarto in atto;

– pertanto la decisione di non disporre immediati accertamenti ed il ricovero, erroneamente era stata ritenuta dal giudice di primo grado come un atteggiamento “prudente”, mentre invece era stato gravemente imprudente ed imperito ed idoneo a configurare, con valutazione ex ante, l’elemento soggettivo della colpa del delitto contestato.

Sulla base di tali valutazioni veniva ribaltata l’assoluzione pronunciata in primo grado.

  1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando:

3.1. l’erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione in ordine alla mancata valutazione della presenza di una colpa lieve, scriminante ai sensi dell’art. 3 della c.d. legge “Balduzzi”. Invero la normativa disciplinante l’attività del medico di continuità non prevede il loro intervento in casi di urgenza, compito questo affidato al servizio del “118”, pertanto l’addebito di imprudenza ed imperizia formulato a carico del Dott. C. ben poteva essere connotato da colpa lieve, come peraltro indirettamente si poteva ricavare dalle conclusioni del perito d’ufficio che aveva definito l’atteggiamento tenuto dall’imputato come prudente e quindi in assonanza con le “buone pratiche” mediche (non esistono linee guida per i medici di continuità).

3.2. Il difetto di motivazione sulla necessaria valutazione del grado della colpa.

3.3. La contraddittorietà della motivazione laddove, dopo avere affermato che la valutazione della colpa dell’imputato doveva essere effettuata considerando la sua condotta in piena autonomia, aveva sviluppato la motivazione su una linea di costante comparazione con quanto accertato nel corso del ricovero della vittima in ospedale. A questo punto era illogico ritenere che il medico di continuità non avrebbe dovuto tenere conto delle risultanze degli esami svolti pochi giorni prima in ospedale, delle conclusioni diagnostiche e della stessa sintomatologia rammentata dal paziente, analoga a quella percepita il 26 settembre.

 

Motivi della decisione

 

  1. Il ricorso è fondato.
  2. Va premesso che la L. 8 novembre 2012, n. 189, comma 6, c.d.

“legge Balduzzi”, nel convertire il D.L. 158 del 2012, ha stabilito nell’art. 3 che “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.

Tale disposizione ha introdotto nel nostro ordinamento una rilevante novità in quanto è stato attribuito al grado della colpa non più solo il ruolo di parametro per la determinazione della pena (art. 133 c.p.), ma anche una diretta incidenza sulla tipicità del fatto.

  1. Sebbene gli orientamenti non si siano ancora consolidati in ordine alla portata della novella, la più recente giurisprudenza di questa Corte, che questo collegio condivide, estende la rilevanza della colpa lieve anche ad addebiti diversi dall’imprudenza.

E’ stato, infatti, di recente affermato che, premesso che in tema di responsabilità medica, l’osservanza delle linee guida accreditate dalla comunità scientifica esclude la rilevanza della colpa lieve, la novella pur trovando terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza (cfr. Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 47289 del 09/10/2014 Ud.

(dep. 17/11/2014), Rv. 260739; Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013 Ud. (dep. 09/04/2013), Rv. 255105).

Si è osservato in tali pronunce come alla stregua della nuova legge, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie; e la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti. Inoltre che, sebbene la nuova disciplina trovi il suo terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, non può tuttavia escludersi che le linee guida pongano regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza; come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino più la sfera della accuratezza di compiti magari particolarmente qualificanti, che quella della adeguatezza professionale.

  1. Ciò premesso, la carenza motivazionale della sentenza impugnata sta nel fatto che essa non si è confrontata esplicitamente con la novità normativa introdotta dalla legge “Balduzzi” sebbene oramai la valutazione del rispetto delle linee guida e della buone pratiche, unitamente al grado della colpa, costituiscano le premesse per discernere l’ambito del penalmente rilevante in ambito di responsabilità del medico.
  2. Il giudice di primo grado, in sede di rito abbreviato, nell’assolvere l’imputato per difetto dell’elemento soggettivo (sebbene la L. 189 non fosse ancora in vigore), ha fatto ampio riferimento agli esiti della perizia svolta in udienza.

Il perito del G.i.p. con diffusa motivazione, ha richiamato le parti dell’elaborato laddove è stato affermato che l’imputato, operante nel Servizio di Continuità Assistenziale, si era conformato ai principi della scienza medica rapportati agli elementi ed alle risorse disponibili e che pertanto, l’iniziativa di avviare il paziente ad un nuovo ricovero in Pronto Soccorso, avrebbe costituito un “eccesso di prudenza”.

Nella sentenza del primo giudice si è inoltre collegata la valutazione diagnostica del C. alla recente diagnosi di dimissioni dall’Ospedale, laddove i medici del Pronto Soccorso non aveva rilevato patologie cardiache ma solo una “verosimile colica addominale”.

Il G.i.p. ha ritenuto che tale errata diagnosi, effettuata da sanitari che avevano avuto in osservazione il paziente dal 26 al 28 settembre, aveva avuto un’incidenza rilevante sulla errata diagnosi dell’imputato, a fronte di un paziente che presentava sintomi analoghi a quelli evidenziatisi all’atto del ricovero ospedaliero.

  1. La Corte di merito, nel riformare la sentenza di primo grado, ha censurato l’approccio metodologico del G.i.p. (e del perito) laddove avevano posto in correlazione la condotta dell’imputato con quella tenuta dai medici del pronto soccorso alcuni giorni prima. Il medico di continuità, infatti, era tenuto a svolgere una sua “autonoma” valutazione in base alla sintomatologia che presentava il paziente e che ben poteva indicare la sussistenza di una patologia cardiaca. La gravità della imprudenza ed imperizia giustificavano la riforma della sentenza e la condanna.
  2. Orbene le osservazioni della Corte di merito appaiono manifestamente illogiche laddove fondano la ritenuta colpevolezza dell’imputato sulla errata diagnosi dovuta ad imperizia nella “autonoma” valutazione della sintomatologia che presentava lo Z., senza però tener conto che il processo diagnostico parte da un’attività di anamnesi che comprende anche la conoscenza della storia clinica del paziente e, quindi, le precedenti terapie e ricoveri a cui è stato sottoposto. Pertanto correttamente il giudice di primo grado aveva effettuato una valutazione della possibile incidenza delle valutazioni dei medici del pronto soccorso sulla errata diagnosi effettuata dal C..

Il vizio motivazionale in cui è incorsa là Corte di merito ha determinato, di conseguenza, un difetto di motivazione sulla valutazione del grado della colpa, affidata ad aggettivazioni di gravità, che però non si confrontano con le specifiche argomentazioni del giudice di primo grado (e con quelle del perito d’ufficio) e, soprattutto non affrontano esplicitamente la possibilità della applicazione, nel caso in esame, della depenalizzazione introdotta dalla legge “Balduzzi”.

Va ricordato che, con costante giurisprudenza, questa Corte regolatrice ha stabilito che quando la sentenza di appello riforma in modo totale il giudizio assolutorio di primo grado, deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della sua decisione, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalle parti nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (ex plurimis, Cass. 6^, 6221/2006, imp. Aglieri, rv. 233083; Cass. Sez. Un., 33748/2005, imp. Mannino, rv. 231679; Cass. Sez. 6^, 10130/2015, imp. Marsili, Rv. 262907).

Al rilievo della carenza motivazionale della sentenza impugnata consegue il suo l’annullamento con rinvio, rimettendosi al giudice di rinvio anche il regolamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2015.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2015

 

CONDIVIDI
Articolo precedenteDiritto Penale. Condanna per il youtuber che pubblica il video che ritrae pose oscene della vittima.
Prossimo articoloAi reati perpetrati in maniera associata, non è automaticamente estendibile l’aggravante del metodo mafioso.
Elisa Asprone
Elisa Asprone, nata a Napoli il 22/09/1986 Laurea in Giurisprudenza conseguita a 24 anni presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II", con votazione 110/110, con una tesi in diritto commerciale dal titolo "Violazione dell'obbligo di OPA e risarcimento del danno". Pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato. Diploma di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Master di I livello in diritto dell'Unione europea, conseguito presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" e breve esperienza formativa presso la Corte di Giustizia a Lussemburgo. Conseguimento titolo di Avvocato il 10/09/2013. Relatrice di convegni formativi presso l'ordine degli avvocati di Nola inerenti al diritto dell'immigrazione. Magistrato ordinario presso il tribunale di Napoli .