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Corte Costituzionale: sulla effettiva conoscibilità violata con la notifica dell’atto presso la casa comunale.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Corte Costituzionale: sulla effettiva conoscibilità violata con la notifica dell’atto presso la casa comunale.

Con la sentenza n. 146 del 2016, la Corte Costituzionale si trova ad affrontare la questione di costituzionalità dell’art. 15, comma terzo, r.g. 16 marzo 1942 n. 267, rientrante nella disciplina delle procedure concorsuali, come sostituito dall’art. 17, comma 1 lettera a) del d.l. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012 n. 221, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Con ordinanza della Corte d’Appello di Catanzaro, veniva rimessa, dinanzi alla Corte, la questione di legittimità dell’articolo sopra menzionato in quanto, lo stesso, nel disciplinare le modalità di notifica del ricorso fallimentare, con particolare riguardo alle società in nome collettivo, stabiliva che la stessa si perfezionasse, in caso di notifica presso la casa comunale, con il semplice deposito dell’atto presso il Comune, dovendosi ritenere, in quella medesima data, conosciuto per la società interessata.

La disposizione citata violerebbe, dunque, secondo la Corte rimettente, l’art. 3 della Carta Costituzionale per la disparità di trattamento della procedura di notifica svolta ai sensi dell’art. 145 c.p.c., riguardante atti di tipo ordinario e, appunto, quella prevista dall’articolo oggetto di censura.

Sarebbe violato, inoltre, l’art. 24 della Costituzione, in quanto non sarebbe tutelato il diritto di difesa con una simile presunzione di conoscenza del ricorso notificato e, quindi, non anche con la conoscenza effettiva dello stesso.

La Corte Costituzionale, tuttavia, ha ritenuto infondate entrambe le eccezioni sollevate dalla Corte territoriale.

Per quanto riguarda l’art. 3 della Costituzione, assunto violato, ha osservato la Corte che la celerità del procedimento fallimentare ben può richiedere un tipo di notificazione più snello e con meno adempimenti a carico del soggetto notificante, e ciò a maggior ragione se la modalità residuale con la quale si procede alla notifica è frutto della mancata diligenza dell’imprenditore/debitore.

Non si può ritenere violato l’art. 3 della Carta Costituzionale, dunque, in quanto situazioni diverse richiedono trattamenti diversi, come anche la stessa norma costituzionale suggerisce.

Per quanto concerne, invece, il profilo della violata disposizione dell’art. 24 della Costituzione, il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità da parte del debitore del procedimento a suo carico è adeguatamente garantito proprio grazie alle molteplici modalità previste per la ricerca della società ai fini notificatori.

La procedura fallimentare, infatti, prevede come primo strumento di notifica quello tramite PEC, obbligatoria ex art. 16 D.L. n. 185 del 2008, solo quando questa dia esito negativo, il creditore potrà affidare la notifica all’ufficiale giudiziario che si recherà presso la sede legale della società. Una volta che anche tale procedura sia rimasta infruttuosa, dunque, si potrà procedere al deposito nella casa comunale.

Ritiene il giudicante, infine, che un ulteriore correttivo a tutela del diritto di difesa è proprio dato dal reclamo ex art. 18 L.F. 169 del 2007, con il quale il fallito, che ha avuto conoscenza della procedura a suo carico solo dopo la sentenza dichiarativa, può, in tale fase, addurre tutti i fatti e le prove per cui non ritiene che esistessero i presupposti oggettivi e soggettivi che hanno condotto alla sentenza dichiarativa del fallimento.

 

 

SENTENZA N. 146

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma terzo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 17, comma 1, lettera a), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, promosso dalla Corte d’appello di Catanzaro nel procedimento vertente tra Rotundo Antonio nella qualità di socio e legale rappresentante della Cooperativa agricola APOA Demetra società cooperativa a responsabilità limitata e la curatela del Fallimento “Cooperativa agricola APOA Demetra soc. coop. a r.l.” ed altra, con ordinanza del 28 aprile 2015, iscritta al n. 192 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 maggio 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.

Ritenuto in fatto

1.− Chiamata a decidere sul reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento di una società cooperativa la quale lamentava di non aver potuto partecipare all’istruttoria prefallimentare per non aver avuto notizia della data dell’udienza di convocazione di essa debitrice, l’adita Corte d’appello di Catanzaro – rilevato che il ricorso del creditore ed il pedissequo decreto del giudice delegato di fissazione dell’udienza di comparizione, dopo l’esito di precedenti loro notifiche presso l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) e presso la sede di detta società, erano stati infine notificati con deposito nella casa comunale della sede risultante dal registro delle imprese, così come prescritto dall’art. 15, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 17, comma 1, lettera a), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 – ha ritenuto, di conseguenza, rilevante, al fine del decidere sul proposto reclamo, ed ha perciò sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale del predetto art. 15, terzo comma, del r.d. n. 267 del 1942, nel testo come sopra modificato ed attualmente vigente.

Secondo il Collegio rimettente – che dichiaratamente rivolge le proprie censure alla sola ipotesi della notifica ad imprese esercitate in forma collettiva – la possibilità, consentita dalla norma denunciata, che una siffatta notifica, in caso di mancato reperimento del destinatario, si perfezioni con il solo deposito nella casa comunale, senza le ulteriori cautele previste dall’art. 145 del codice di procedura civile per le notifiche a persona giuridica (e cioè «senza alcuna necessità di dare conto e notizia di tale incombente» e senza la previsione alternativa di notifica alla persona fisica del legale rappresentante della società) comporterebbe «una disparità di trattamento tra le notifiche “ordinarie” e quelle del processo fallimentare […] né ragionevole né motivata», in violazione del precetto dell’art. 3 della Costituzione.

Sarebbe, inoltre, violato l’art. 24 Cost., per il profilo del diritto di difesa della persona giuridica debitrice, poiché il mero deposito nella casa comunale «non costituisce un mezzo idoneo a rendere conoscibile l’atto al suo destinatario, mancando qualsiasi altra cautela diretta a rendere edotto il notificato».

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata.

Ciò in ragione della non assimilabilità delle notifiche ordinarie e di quelle del processo fallimentare, e in considerazione della ratio della norma censurata, la quale, «in definitiva, poggia, senza ledere gli artt. 3 e 24 Cost., sull’insopprimibile esigenza di bilanciamento nella fase istruttoria tra il diritto al contraddittorio dell’imprenditore e le esigenze di celerità a tutela dei creditori, ai quali deve essere evitato un danno derivabile dalla mancata sollecita instaurazione della procedura».

Considerato in diritto

1.− Nel corso del giudizio di cui si è in narrativa detto, la Corte d’appello di Catanzaro – premessane la rilevanza, e motivatane la non manifesta infondatezza, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 15, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 17, comma 1, lettera a), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

2.– La disposizione denunciata stabilisce che alla notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del decreto di fissazione dell’udienza debba procedere la cancelleria e che essa debba essere effettuata all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del destinatario risultante dal registro delle imprese ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata. Solo nel caso in cui ciò risulti impossibile, o se la notifica abbia avuto esito negativo, della stessa viene onerato il creditore istante che dovrà procedervi a mezzo di ufficiale giudiziario, il quale, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore con successivo deposito nella casa comunale, ove il destinatario non sia lì reperito.

3.– Secondo la Corte rimettente, che espressamente limita la questione alla ipotesi della notifica ad imprenditore collettivo, la riferita disposizione violerebbe l’art. 3 Cost., per l’«irragionevole ed immotivata disparità di trattamento», cui darebbe luogo, rispetto alle modalità richieste per la notifica “ordinaria” a persona giuridica, con riguardo alla specifica evenienza del mancato reperimento del destinatario presso la sede legale. Atteso che il procedimento notificatorio si perfeziona, nel contesto del processo fallimentare, con (e nel momento stesso de) il «deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese», senza le ulteriori cautele previste, invece, dall’art. 145 del codice di procedura civile, per le notifiche a persona giuridica (e cioè «senza alcuna necessità di dare conto e notizia di tale incombente» e senza la previsione alternativa di notifica alla persona fisica del legale rappresentante della società). Risultando, con ciò, sempre ad avviso del rimettente, di conseguenza violato anche l’art. 24 Cost., in quanto la disciplina censurata prevederebbe «modalità di notifica che non comportano neanche astrattamente la conoscibilità della pendenza della procedura» a carico dell’impresa collettiva, destinataria della istanza di fallimento.

4.– La questione non è fondata in relazione ad entrambi i parametri che si assumono violati.

4.1.– Non sussiste, in primo luogo, infatti, la prospettata violazione dell’art. 3 Cost., attesa la diversità delle fattispecie poste a confronto, che ne giustifica, in termini di ragionevolezza, la diversa disciplina delle notificazioni.

A differenza della disposizione di cui all’evocato art. 145 cod. proc. civ. – esclusivamente finalizzata all’esigenza di assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati ad alle connesse procedure – il riformulato art. 15 della così detta legge fallimentare (come emerge dalla relazione di accompagnamento dell’art. 17 del d.l. n. 179 del 2012, il cui testo, in parte qua, non è stato oggetto di modifiche in sede di conversione) si propone, infatti, di «coniugare» quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore (collettivo) «con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale». E, a tal fine appunto, prevede che «il tribunale è esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo».

La specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l’introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare, segnano, dunque, l’innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 cod. proc. civ.

Ciò, dunque, ne esclude la comparabilità in riferimento al precetto dell’art. 3 Cost.

4.2.– Del pari non fondata è anche la residua censura di violazione dell’art. 24 Cost.

Il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell’attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla norma denunciata, proprio in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società.

Questa, infatti, ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziata prima presso il suo indirizzo di PEC, del quale è obbligata a dotarsi, ex art.16 del d.l., 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, ed è tenuta a mantenere attivo durante la vita dell’impresa; dunque, in forza di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale).

Solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da indicare obbligatoriamente nell’apposito registro ex l. 29 dicembre 1993 n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) e successive modifiche, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili – e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore – i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano.

Per cui, in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge.

Ciò anche alla luce del principio, più volte enunciato dalla Corte di cassazione (seppur con riferimento al testo previgente dell’art. 15 della legge fallimentare), per cui esigenze di compatibilità tra il diritto di difesa e gli obiettivi di speditezza e operatività, ai quali deve essere improntato il procedimento concorsuale, giustificano che il tribunale resti esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorché normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di irreperibilità dell’imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (sezione sesta, sentenze n. 3062 del 2011, n. 32 del 2008).

Va conclusivamente poi considerato che il sistema, nel quale si inserisce la disposizione censurata, non è privo di ulteriori correttivi a tutela della effettività del diritto di difesa dell’imprenditore.

La riconosciuta natura “devolutiva” del reclamo – come regolato dall’art. 18 della legge fallimentare, nel testo sostituito dall’art. 2, comma 7, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della l. 14 maggio 2005, n. 80) – consente, infatti, al fallito, benché non costituito innanzi al tribunale, di indicare, comunque, per la prima volta, in sede di reclamo avverso la sentenza di primo grado (che gli viene notificata nelle forme ordinarie), i fatti a sua difesa ed i mezzi di prova di cui intenda avvalersi al fine di sindacare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che hanno condotto alla dichiarazione di fallimento (Corte di cassazione, sentenze n. 6835 e n. 6300 del 2014, n. 22546 del 2010, ordinanza n. 9174 del 2012).

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma terzo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 17, comma 1, lettera a), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Catanzaro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2016.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA