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Una panoramica sulla nuova disciplina delle intercettazioni ed “il ritorno del cavallo di Troia”

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Le intercettazioni -quale attività segreta di captazione di comunicazioni tra due o più soggetti terzi- rappresentano da diversi lustri una tematica complessa e molto sensibile perché in essa confluiscono una serie di diritti costituzionali.

Il problema di fondo del Legislatore, dunque, è sempre stato quello di conciliare interessi confliggenti, individuali e collettivi, seppur parimenti tutelati dalla Carta costituzionale, quali la riservatezza della corrispondenza (e di ogni altra forma di comunicazione) di cui all’art. 15 della Grundnorm, il diritto di cronaca (art. 21 Cost.) ed il diritto di difesa (art. 24 Cost.)

Non è un caso, allora, se le intercettazioni sono state sovente oggetto di querelle, stante il labile confine tra i suddetti diritti e la necessità di effettuare un bilanciamento tra gli stessi. Del resto, tale peculiarità si riflette anche nella copiosità di disposizioni in materia in quanto il Legislatore è intervenuto spesso, da ultimo con la riforma Orlando in esame, al fine di tentare una ragionata revisione della disciplina. A tal uopo si può constatare quanto ampia e multiforme sia l’architettura normativa sul punto (ex multis, artt. 266 e ss. c.p.p.; Legge n. 281/2006; D.Lgs. n. 196/2003 meglio noto come Codice della privacy; Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali n. 2016/679).

Prima di analizzare le più salienti modifiche legislative, pare opportuno indugiare, seppur brevemente, sulle diverse tipologie di intercettazioni previste nel nostro ordinamento giuridico.

La summa divisio in tale ambito è quella tra intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche. Le prime sono realizzate principalmente con l’impiego di microspie, microfoni e telecamere nascoste; le seconde operano con o senza la collaborazione degli operatori telefonici mentre le telematiche operano generalmente mediante l’acquisizione di pacchetti di dati in transito sulla rete. L’ultima frontiera del settore è rappresentata dalle intercettazioni effettuate mediante captatore informatico, cd. trojan horse.

Il Trojan Horse, che letteralmente significa “cavallo di Troia” (con palese riferimento all’inganno della mitologia omerica) è un virus che può essere definito come un “programma apparentemente utile ma che contiene funzioni nascoste atte ad abusare dei privilegi dell’utente che lo esegue”. Solitamente si presenta sotto forma di gioco, screensaver ed altri articoli di interesse ma, una volta eseguito, il trojan installa segretamente il file server sul computer, compiendo allo stesso tempo tutte le operazioni di “copertura”.

Tra le varie modifiche apportate dal D.Lgs. n. 216/2017 (introduzione del reato di cui all’art. 617 septies c.p., “diffusione di riprese e registrazioni di comunicazioni fraudolente”; maggior tutela della riservatezza nelle comunicazioni tra avvocato ed assistito; divieto di trascrizione, anche sommaria, delle conversazioni irrilevanti; selezione del materiale raccolto e deposito degli atti riguardanti le intercettazioni con procedura bifasica) un’attenzione particolare va, appunto, dedicata al già menzionato e tanto discusso trojan horse dunque alle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni mediante immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili.

In particolare, la riforma Orlando ha aggiunto all’art. 266 c.p.p. il seguente periodo: “l’intercettazione tra presenti […] può essere eseguita anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile” nonché il comma 2 bis secondo cui l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile e’ sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater.

In altri termini, si prevede che tali dispositivi non possano essere mantenuti attivi senza limiti di tempo o di spazio, ma debbano essere attivati da remoto secondo quanto previsto dal Pubblico Ministero nel proprio programma d’indagine e che, tra l’altro, debbano essere disattivati se l’intercettazione avviene in ambiente domiciliare, a meno che non vi sia la prova che in tale ambito si stia svolgendo l’attività criminosa oggetto dell’indagine o che l’indagine stessa non riguardi i delitti più gravi, tra i quali mafia e terrorismo, di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del Codice di procedura penale.

Proprio per questi ultimi reati e solo per essi, eccezionalmente il P.M. può disporre le intercettazioni con decreto motivato, indicando le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del Giudice (art. 267, comma 2 bis, c.p.p.).

Altresì, novità di non poco momento è rappresentata anche dalla modifica del regime di utilizzabilità che ha dunque investito l’art. 270 c.p.p. ove l’espressione “stesso procedimento” è stata sostituita con quella, assai differente, di “diverso reato”. Difatti, la norma, così novellata, recita che “i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile non possono essere utilizzati per la prova di reati diversi da quelli per i quali e’ stato emesso il decreto di autorizzazione, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali e’ obbligatorio l’arresto in flagranza”.

Inoltre, l’art. 6 prevede che nei processi contro la Pubblica Amministrazione sarà possibile utilizzare il captatore solo quando vi sia la prova che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa. Tuttavia, “eccezione a questa eccezione” è che per la P.A. basteranno “sufficienti elementi e non già rilevanti.

Quanto al regime transitorio, l’art. 9 del D.Lgs. cit. precisa che le suddette disposizioni – salvo l’art. 6 testé menzionato e già vigente- si applicheranno alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo al 26.01.2018, data di entrata in vigore del decreto in esame.

Alla luce di tale rinnovato reticolo normativo, si può, dunque, provare a tracciare lo stato dell’arte in materia.

A tal proposito, nient’affatto peregrina appare la constatazione secondo cui prima della riforma in esame e nel silenzio legislativo, leading case poteva considerarsi la pronunzia Scurato a Sezioni Unite ( del 28 aprile 2016, n. 26889) nella quale la Suprema Corte aveva ritenuto di dover ammettere l’utilizzo dei virus auto-installanti per le attività di intercettazione delle comunicazioni tra presenti anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., limitatamente ai procedimenti penali aventi ad oggetto delitti di criminalità organizzata. In altri termini, la Corte di Cassazione in quella pronuncia aveva affermato che l’utilizzo dei captatori non fosse possibile per le intercettazioni tra presenti, salvo che si trattasse dei reati ex art. 416 bis c.p. ovvero che nei luoghi di privata dimora si stesse svolgendo l’attività criminosa. Tuttavia, essendosi la Suprema Corte nel suo pieno consesso pronunziata solo con riferimento alle intercettazioni tra presenti, se ne era ricavato a contrario che, per tutto che ciò che esulasse da tale ambito, il trojan horse fosse consentito.

Successivamente, sullo stesso tema si è espressa anche Cass., sez. VI, sent. 13 giugno 2017 (imp. Romeo) che, tra le altre, ha evidenziato la necessità che le intercettazioni fossero disposte per criminalità organizzata ovvero per 416 bis dunque ha precisato l’importanza dell’iscrizione della notizia di reato nonché ha dato risalto alla funzione di garanzia della motivazione del decreto autorizzativo delle intercettazioni.

Altresì, il 20 ottobre 2017, con il deposito della sentenza sulla tanto nota e peculiare vicenda Occhionero, la V sezione della Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi sanciti dalle SS.UU. Scurato.

Alla luce di tali interventi giurisprudenziali è nato un accesso dibattito sul significato e soprattutto sui limiti sanciti dai Giudici di Piazza Cavour in tema di intercettazioni con il trojan horse ed è questa la ratio dell’intervento del Legislatore Orlando.

In altri termini, la riforma in oggetto ha ampliato le linee guida dettate dalla sentenza Scurato, ammettendo le intercettazioni con il trojan horse anche per l’associazione comune, e precisando che nei luoghi pubblici l’attivazione debba essere fatta a distanza.

Ad ogni modo, la materia è talmente delicata che, probabilmente, nessun intervento legislativo potrà risultare esaustivo e risolutivo. Ci si può solo auspicare che tutti gli operatori coinvolti nel presente settore sappiano fare sapiente uso di uno strumento probatorio così fondamentale per le indagini e, al contempo, astrattamente invasivo della sfera privata degli individui. Evidentemente, come anticipato in premessa, l’unica “strada percorribile” è quella di operare, di volta in volta, un bilanciamento delle libertà costituzionali con i principi di proporzionalità e ragionevolezza al fine di conciliare interessi confliggenti, individuali e collettivi.

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Anna Sofia Sellitto
Giudice penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università “Federico II” in cinque anni accademici, discutendo una tesi in diritto penale. Presso il medesimo Ateneo, si è specializzata in professioni legali ed ha seguito il master-corso di perfezionamento in Diritto dell’Unione europea. Ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli ed ha conseguito il titolo di avvocato. Ha frequentato diversi corsi di approfondimento post lauream ed ha collaborato alla redazione del Codice di procedura civile 2017 di M. Santise, edito da Giappichelli.