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La disciplina relativa alle informazioni antimafia è applicabile anche ai provvedimenti autorizzatori ed alle attività soggette a S.C.I.A.

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Con ricorso innanzi al T.A.R. per la Calabria – Catanzaro, il privato ha impugnato, previa sospensione dell’efficacia, i provvedimenti comunali di revoca di cinque segnalazioni certificate di inizio attività e la contestuale chiusura delle strutture alberghiere dallo stesso gestite.

Detti provvedimenti sono stati emanati dall’Amministrazione come diretta conseguenza delle misure interdittive antimafia emanate dal Prefetto di Reggio Calabria.

Nello specifico, il ricorrente ha censurato l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, adducendo che non sarebbe possibile procedere alla revoca di una s.c.i.a. in conseguenza di una misura antimafia, essendo l’attività soggetta a s.c.i.a. “una mera attività di rilievo privatistico”.

Il giudice calabrese, dopo aver respinto l’istanza cautelare, con sentenza ha dichiarato infondato il ricorso.

Avverso la sentenza di primo grado, il privato ha proposto appello al fine di ottenerne la riforma.

Con la sentenza n° 6057 del 02.09.2019, il Supremo Consesso Amministrativo ha rigettato il gravame ed ha ribadito, il già consolidato, principio interpretativo secondo cui la L. n° 136 del 13.08.2010 ha introdotto, nell’art. 2 – che reca la specifica delega al Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia – il comma 1, lett. c), il quale ha istituto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e “con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa”.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, l’art. 2, comma 1, lett. c) si riferisce a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti e, pertanto anche a quei rapporti che, per quanto oggetto di mera autorizzazione, hanno un impatto fortissimo e potenzialmente devastante su beni e interessi pubblici, come nei casi di scarico di sostanze inquinanti o l’esercizio di attività pericolose per la salute e per l’ambiente.

A nulla giova replicare che l’espressione “rapporti” si riferisca solo ai contratti ed alle concessioni, ma non alle autorizzazioni che, secondo una classica concezione degli atti autorizzatori, non costituirebbero un “rapporto” con la pubblica amministrazione.

Invero, per favorire una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, è necessario individuare e considerare un “rapporto” tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a s.c.i.a.

Inoltre, quanto alla sottoposizione delle attività oggetto di s.c.i.a. alla normativa antimafia, va ricordato che l’art. 89, comma 2, del d. lgs. n° 159/2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla pubblica amministrazione”.

È chiaro quindi, per lo stesso tenore letterale della norma e per espressa volontà del legislatore antimafia, che le attività soggette a s.c.i.a. non sono esenti dai controlli antimafia e che il Comune ben possa, anzi debba verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veritiera; richiedendo, quindi, al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o, come nel caso di specie, revocare la s.c.i.a. in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto.

D’altro canto, tale principio era già stato affermato anche dalla Corte Costituzionale, la quale aveva esteso il campo di applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. c), della legge delega n° 136 del 2010, stabilendo che la sua immediata efficacia fosse da riferirsi a tutti i rapporti in essere con la P.A.