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Diritto Penale. I termini per la retrodatazione di durata della custodia cautelare vanno calcolati per fasi omogenee

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

I termini per la retrodatazione di durata della custodia cautelare vanno calcolati per fasi omogenee

Nella recente sentenza la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui solo se il termine di fase è scaduto alla data di presentazione della domanda di scarcerazione (e alla data dell’ordinanza di rigetto della relativa richiesta) ha un senso esaminare le condizioni cui è subordinata la retrodatazione.

La Cassazione ha rigettato il ricorso proposto ritenendo come pregiudiziale l’accertamento circa la scadenza del termine di fase. I giudici di legittimità specificano che solo se detto termine fosse scaduto alla data di presentazione della domanda di scarcerazione (e alla data dell’ordinanza reiettiva) avrebbe un senso esaminare le condizioni cui è subordinata la retrodatazione. Orbene, nel caso concreto è stato osservato come né il termine di fase né il termine massimo di custodia cautelare fossero scaduti alla data della domanda, né fossero scaduti successivamente, giacché i termini di durata della custodia cautelare vanno calcolati -come correttamente rilevato dal tribunale merito- per fasi omogenee. In conclusione la Suprema Corte rammenta  che il criterio di calcolo per fasi omogenee (vale a dire della frazionabilità dei periodi formanti la globale durata della custodia cautelare) è criterio che trova specifico riscontro nella giurisprudenza della Corte Suprema (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 11 gennaio 2007, n. 7227; Cass. Pen., Sez. I, 28 ottobre 2010, n. 4719, S.).

Cass. Pen., Sez. feriale, 18 novembre 2014, n. 47581

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DUBOLINO Pietro – Presidente –

Dott. VITELLI CASELLA Luca – Consigliere –

Dott. CAPRIOGLIO Piera M. – Consigliere –

Dott. SETTEMBRE A. – rel. Consigliere –

Dott. CARRELLI P.D.M. Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L.T. N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 417/2014 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del 13/06/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;

Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.ssa Immacolata Zeno, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Udito, per il ricorrente, l’avv. Ladislao Massari, che ha dichiarato di rinunciare alla sospensione feriale dei termini e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

1. Con ordinanza del 17/6/2014 il Tribunale del riesame di Lecce ha confermato quella emessa dal Giudice delle indagini preliminari del locale Tribunale in data 15/5/2014, che aveva rigettato l’istanza diretta alla declaratoria della cessazione di efficacia, per decorrenza dei termini di fase, della misura della custodia cautelare in carcere applicata a D.L.T. con ordinanza del 19/2/2014, eseguita il 4/3/2014, nell’ambito del procedimento penale n. 6718/2012 R.G.N.R., per il delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, commesso fra giugno 2013 e il mese di marzo 2013 (capo A), e il reato di introduzione nello Stato di una ingente quantità di marijuana, commesso il (OMISSIS) (capo B).

L’istanza – espone il Tribunale – originava dal fatto che D.L. era già stato sottoposto a misura cautelare con altra ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brindisi emessa in data 1/2/2013, a seguito di arresto in flagranza di reato intervenuto il (OMISSIS) per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, e detenzione illegale di arma comune da sparo:

reati per i quali D.L. era stato citato a giudizio “immediato” in data 27/6/2013 (proc. n. 961/2013 R.G.N.R. e 1076/2013 R.GIP).

Ciò posto, ritenendo che fra i reati alla base dei due provvedimenti custodiali vi fosse connessione qualificata e che i reati contestati col secondo provvedimento fossero desumibili dagli atti già prima che fosse disposto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della precedente ordinanza, il difensore del prevenuto aveva invocato la retrodatazione della decorrenza del termine di fase, che doveva ritenersi spirato, a suo giudizio, in data 1/2/2014.

I presupposti della retrodatazione sono stati, però, confutati dal Tribunale sulla base dei seguenti rilievi:

a) la seconda misura è stata applicata per fatti anteriori, ma anche successivi all’emissione della prima ordinanza (emessa l’1/2/2013), dal momento che la condotta associativa è stata contestata come commessa tra giugno 2012 e il mese di marzo 2013. Il fatto che l’adesione del D.L. al sodalizio sia perdurato anche dopo l’esecuzione dell’ordinanza dell’1/2/2013 è provato, nel giudizio del Tribunale, dalla fibrillazione determinata nei sodali dal suo l’arresto e dalle assicurazioni – rivolte da membri dell’associazione alla donna del D.L. – che “loro non si sarebbero dimenticati” di quest’ultimo, nonchè dal fatto che, effettivamente, l’associazione si curava del sostentamento economico dei detenuti;

b) non v’è prova di connessione qualificata (la continuazione) tra i reati alla base delle due misure, posto che, al momento della costituzione dell’associazione, i reati fine sono, normalmente, previsti solo in maniera generica. Nello specifico – argomenta il Tribunale – non si ravvisano elementi per ritenere che al momento di costituzione del vincolo associativo il D.L. “abbia inserito nel medesimo disegno criminoso la previsione e la programmazione di quegli specifici delitti oggetto dell’ordinanza dell’1/2/2013, si da consentire di legare la fattispecie associativa e le altre ai sensi dell’art. 81 c.p., essendo piuttosto verosimile che i singoli delitti fine siano maturati nel corso della vita dell’associazione e del funzionamento dell’associazione”. Sottolinea, poi, la diversità soggettiva relativa ai reati dei due procedimenti;

c) i procedimenti nell’ambito dei quali sono state applicate le misure sono pendenti davanti a diverse Autorità Giudiziarie, nè la loro separazione appare frutto di una scelta arbitraria del Pubblico Ministero. Pertanto, esclusa la connessione qualificata si sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, l’operatore è esentato dal verificare la ricorrenza dell’ulteriore requisito previsto per l’operatività della retrodatazione: vale a dire, la desumibilità dagli atti dei fatti oggetto della seconda ordinanza, sia al momento dell’emissione della prima misura, sia al momento del rinvio a giudizio per i fatti che sono alla base della stessa.

In ogni caso, aggiunge il Tribunale, anche a voler ritenere operante l’istituto della retrodatazione, i termini di custodia cautelare non sono spirati, giacchè il calcolo della durata della custodia cautelare deve essere operato per fasi omogenee, “cumulando quanto già patito in forza del primo titolo di custodia cautelare all’eventuale residuo per il caso in cui questo non fosse durato fino al suo massimo di pari fase”. Nel caso di specie – aggiunge – il primo arresto di D.L. è avvenuto il 29/1/2013, cui ha fatto seguito, il 27/6/2013, il decreto che dispone il giudizio immediato, con conseguente passaggio del procedimento a nuova fase. Nel presente procedimento il D.L. è stato tratto in arresto in esecuzione della O.C.C, il 4/3/2014, sicchè, sommando i periodi relativi a fasi omogenee, il termine di durata massima di fase previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a, n. 3), (pari ad un anno) non è venuto ancora a scadenza.

2.0. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’indagato, l’avv. Ladislao Massari, per violazione di legge e illogicità della motivazione. Ad avviso del ricorrente, nel caso di specie sussistono tutte le condizioni perchè operi la retrodatazione, in quanto si è di fronte a procedimenti connessi, i reati che hanno determinato l’emanazione della seconda ordinanza erano preesistenti alla prima ed erano rilevabili al momento di emissione del decreto di giudizio immediato (27/6/2014).

Il ricorrente sottolinea che già il giudice della cautela, pronunciandosi l’8/4/2014 – in sede di impugnazione ex art. 309 c.p.p. – aveva rilevato che D.L. esercitava un ruolo direttivo nell’associazione, tanto nella fase di acquisizione dello stupefacente, quanto in quella delle distribuzione, per cui riteneva ampiamente corroborata la tesi che l’episodio del 29/1/2013 (allorchè D.L. fu arrestato) si presentava come reato – fine del delitto associativo.

Sottolinea anche l’anteriorità cronologica delle condotte contestate nel secondo provvedimento ed il fatto che le indagini si sono sviluppate, nel presente procedimento, tra il mese di maggio 2012 e il mese di gennaio 2013 e sono state oggetto di una comunicazione di notizia di reato datata 26/3/2013: vale a dire, prima della data del 27/6/2013, che individua il momento di displuvio. Rimarca il fatto che le indagini furono condotte, per tutti i reati, dalla D.D.A. di Lecce e che l’arresto del 29/1/2013 non fu affatto casuale, ma fu propiziato proprio dalle intercettazioni ambientali e telefoniche disposte nell’ambito del presente procedimento.

Contesta, poi, che la condotta associativa sia perdurata dopo l’arresto del 29/1/2013 e che abbiano significato gli argomenti spesi dal giudicante per affermarlo, in assenza di manifestazioni positive di aiuto al sodalizio successive all’insorgere dello status detentionis. Infine, contesta che il termine di fase si riferisca a “fasi omogenee”.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è infondato.

Sebbene sia stato esaminato per ultimo – e solo in via residuale – dal giudicante e dal ricorrente, è pregiudiziale l’accertamento circa la scadenza del termine di fase. Invero, solo se detto termine fosse scaduto alla data di presentazione della domanda di scarcerazione (e alla data dell’ordinanza reiettiva) avrebbe un senso esaminare le condizioni cui è subordinata la retrodatazione.

Ritiene il Collegio che nè il termine di fase nè il termine massimo di custodia cautelare fossero scaduti alla data della domanda, nè siano scaduti successivamente, giacchè i termini di durata della custodia cautelare vanno calcolati – come correttamente rilevato dal giudice di merito – per fasi omogenee. Pertanto, essendo il termine per la fase delle indagini relativo ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, pari ad un anno, a tale termine, decorrente dal 4/3/2014 (data di esecuzione della seconda ordinanza custodiale) potrebbe cumularsi unicamente il periodo (di quattro mesi e 29 giorni) compreso tra il 29/1/2013 (data del primo arresto) e il 27/6/2013, data in cui è stato emesso il decreto di giudizio immediato ed è cessata la fase delle indagini preliminari nel procedimento cui attiene la prima ordinanza cautelare. Di conseguenza, il termine suddetto non verrà a scadenza che il 5/11/2014.

E’ appena il caso di aggiungere, per completezza espositiva, che il criterio di calcolo per fasi omogenee (vale a dire della frazionabilità dei periodi formanti la globale durata della custodia cautelare) è criterio che – contrariamente all’assunto difensivo – trova specifico riscontro nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice (cfr. Cass. sez. 2, 11.1.2007, n. 7227, De Tommaso, rv.

235936; Cass. sez. 1, 28.10.2010 n. 4719, Spinelli, rv. 249905). Nè va di contrario avviso la giurisprudenza citata dal ricorrente (Cass., sez. 1, n. 4719 del 28/10/2010), la quale – confermando, in tal modo, l’indirizzo sopra esposto – si è limitata ad affermare che “la verifica circa il rispetto del limite massimo di durata della custodia cautelare in caso di applicazione della regola di retrodatazione va operata scomputando gli eventuali periodi intermedi di non detenzione per essere stato l’imputato rimesso in libertà in riferimento alla prima ordinanza”. In motivazione è poi precisato, a maggior chiarezza, che “in caso di rimessione in libertà in relazione alla prima ordinanza, anche quando gli effetti, della nuova ordinanza debbano farsi decorrere dal momento della emissione della prima, occorre invece in ogni caso procedere, al fine di verificare se i termini massimi di fase sono spirati, al cumulo dei periodi di custodia cautelare effettivamente sofferti per i due titoli (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 7227 del 11/01/2007, De Tommaso). La disciplina di cui si discute riguarda difatti, e comunque, la durata della restrizione della libertà, non altro”. Da tale sentenza non si traggono affatto, pertanto, elementi di giudizio a favore della tesi difensiva.

Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, demandandosi alla Cancelleria gli incombenti informativi connessi allo stato detentivo del ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’Istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 21 agosto 2014.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2014