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Diritto Amministrativo. Quando è possibile modificare le proprie generalità (nome e cognome)

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Diritto Amministrativo. Quando è possibile modificare le proprie generalità (nome e cognome)

Sussiste un ampio riconoscimento della facoltà di cambiare il proprio cognome a fronte del quale la sfera di discrezionalità riservata alla Pubblica Amministrazione deve intendersi circoscritta alla individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il sacrificio dell’interesse privato del soggetto al cambiamento del proprio cognome, ritenuto anch’esso meritevole di tutela dall’ordinamento”.

 

Questo il principio sancito dal Ministero dell’Interno con la circolare n° 14/2012 del 21.05.2012, prot. n° 0006027, e recepito dal T.A.R. Lazio – Roma, sez. I ter, nella recente sentenza n° 6186 del 29.04.2015.

 

Fondando la propria decisione sulla ratio dell’art. 89 D.P.R. n° 396/2000, il Tribunale romano è giunto a qualificare come illegittimo il decreto prefettizio di rigetto dell’istanza della ricorrente di modifica del proprio cognome con quello del defunto coniuge recante come motivazione non solo ragioni sentimentali ma anche il carattere ridicolo del proprio cognome.

 

Trattasi di motivi previsti dalla norma succitata dalla quale si evince che “il cambio di cognome ha carattere tutt’altro eccezionale, potendo essere richiesto non solo “perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale”, ipotesi indicata a titolo esemplificativo, ma anche per qualunque altra ragione, purché sia specificata nella relativa istanza, la quale deve essere vagliata dalla Prefettura”.

 

La disciplina contenuta nell’art. 89 D.P.R. n° 396/2000, quindi, non stabilisce tassativamente i casi in cui è possibile ottenere il mutamento delle generalità (nome e cognome) potendo, la relativa istanza, fondarsi su ragioni “atipiche” che, però, siano meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona.

 

 

  1. 06186/2015 REG.PROV.COLL.
  2. 02529/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 60 e 74 c.p.a.;
sul ricorso numero di registro generale 2529 del 2015, proposto da:
Pisciarelli Liliana, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gianluca Perone e Francesca Turrio Baldassarri, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Antonio Gramsci n. 20;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e la Prefettura di Roma – U.T.G., in persona del Prefetto pro tempore, costituiti in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati per legge presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

Sabbatini Antonio, intimato e non costituito in giudizio;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

– del decreto della Prefettura della Provincia di Roma emesso in data 4.11.2014 e comunicato il 26.11.2014, con cui è stata rigettata l’istanza della ricorrente tesa a poter cambiare il proprio cognome in quello del defunto coniuge Francesco Sabbatini;

– di tutti gli atti presupposti e consequenziali, comunque connessi.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Vista la domanda cautelare, proposta in via incidentale;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2015 il Cons. Rita Tricarico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Visto l’articolo 60, comma 1, c.p.a., che facoltizza il Tribunale amministrativo regionale a definire il giudizio nel merito, con sentenza in forma semplificata, in sede di decisione della domanda cautelare, una volta verificato che siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso e dieci giorni dal suo deposito ed accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria;

Rilevato:

che nella specie il presente giudizio può essere definito con decisione in forma semplificata, ai sensi del menzionato art. 60, comma 1, c.p.a., stante la completezza del contraddittorio e della documentazione di causa;

che sono state espletate le formalità previste dal citato art. 60 c.p.a.;

 

Rilevato:

che con il presente gravame la Signora Pisciarelli Liliana, odierna ricorrente, censura il provvedimento prefettizio di diniego di cambio di cognome in quello del defunto coniuge Francesco Sabbatini, richiesto dalla stessa;

che i motivi a fondamento della propria istanza sono i seguenti: a) ragioni sentimentali, date dalla circostanza che il cognome richiesto è appunto quello del defunto marito, col quale la ricorrente è stata coniugata per 50 anni; b) ragioni di opportunità, legate al fatto che la ricorrente è attualmente Presidente della Ditta fondata dal defunto marito e di cui porta il nome e che intende realizzare un’adozione di adulti rispetto a due nipoti del marito, che recano il medesimo cognome; c) carattere ridicolo del proprio cognome;

che la ricorrente ha prodotto l’assenso di buona parte dei parenti entro il quarto grado del suo defunto marito, nonché dei propri;

che la motivazione addotta nel provvedimento impugnato è: “il nome e il cognome è un segno distintivo dell’individuo e la modifica degli stessi è ammissibile solo ed esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, rivestendo carattere del tutto eccezionale”;

Considerato:

che l’art. 89 del d.P.R. n. 396/2000, di cui si è fatta in concreto applicazione, recita così: “Chiunque vuole (…) cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al Prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta”;

che dalla lettura della predetta disposizione si evince che il cambio di cognome ha carattere tutt’altro che eccezionale, potendo essere richiesto non solo “perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale”, ipotesi indicata a titolo esemplificativo, ma anche per qualunque altra ragione, purché sia specificata nella relativa istanza, la quale deve essere vagliata dalla Prefettura;

che a tali conclusioni è pervenuta la giurisprudenza amministrativa (cfr.: Cons. St. – sez. III, 15.10.2013, n. 5021; sez. IV, 26.4.2006, n. 2320) e, sulla base di questa, anche la competente struttura Ministero dell’Interno, nella circolare n. 14/2012 prot. n. 0006027 del 21.5.2012, in atti, le quali hanno affermato che sussiste un “ampio riconoscimento della facoltà di cambiare il proprio cognome, a fronte del quale la sfera di discrezionalità riservata alla Pubblica Amministrazione deve intendersi circoscritta alla individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il sacrificio dell’interesse privato del soggetto al cambiamento del proprio cognome, ritenuto anch’esso meritevole di tutela dall’ordinamento” e che pertanto “il provvedimento ministeriale negativo debba essere specificamente e congruamente motivato”;

che i motivi posti a sostegno della domanda prodotta dalla Signora Pisciarelli non si configurano futili, né avulsi da esigenze concrete e peraltro poggiano anche sul rilievo del carattere ridicolo del cognome della stessa, ipotesi espressamente prevista ex lege, mentre la motivazione del provvedimento impugnato, pur espressione della sfera di discrezionalità riconosciuta in materia in capo all’Amministrazione, si attesta sulla prevalenza in astratto del principio di immutabilità delle risultanze anagrafiche, in un quadro normativo che, tuttavia, consente di derogare alla tendenziale stabilità del cognome;

che conseguentemente il provvedimento gravato si pone in contrasto con il menzionato art. 89 del d.P.R. n. 396/2000 ed è affetto da illogicità, irragionevolezza e difetto di motivazione, oltre che da violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990;

che eventuali opposizioni di altri parenti che non hanno già manifestato il proprio assenso potranno essere fatte valere nella successiva fase prevista ex lege, che presuppone l’esito positivo dell’istanza da parte della Prefettura;

che deve evidenziarsi che l’Amministrazione non ha tenuto in alcun conto le osservazioni contenute nella memoria endoprocedimentale prodotta dalla ricorrente a seguito del preavviso di rigetto della sua istanza, in tal modo integrando anche una violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 e s.m.i.;

Ritenuto:

che conseguentemente il provvedimento impugnato sia illegittimo e debba essere annullato;

che, nell’assumere le proprie determinazioni in ordine all’istanza de qua presentata dalla ricorrente, l’Amministrazione, in ossequio all’effetto conformativo della sentenza, debba considerare quanto espresso nel presente provvedimento;

che le spese di lite seguano la soccombenza, ponendosi a carico dell’Amministrazione, e debbano liquidarsi come in dispositivo;

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando:

– accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato ed ordina all’Amministrazione di assumere le conseguenti determinazioni conformemente alla parte motiva;

– condanna l’Amministrazione alle spese di lite, liquidate forfetariamente in € 1.000,00 (mille/00), oltre oneri di legge, in favore della ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2015, con l’intervento dei Magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Stefania Santoleri, Consigliere

Rita Tricarico, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/04/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)