Home Approfondimenti La pubblicazione della sentenza non consente di ridurre quanto dovuto a seguito...

La pubblicazione della sentenza non consente di ridurre quanto dovuto a seguito di danno per diffamazione a mezzo stampa.

1568
0
CONDIVIDI
Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La pubblicazione della sentenza non consente di ridurre quanto dovuto a seguito di danno per diffamazione a mezzo stampa.

 

La Suprema Corte torna a pronunciarsi sul danno all’immagine, in una recentissima sentenza n. 1091/2016, questa volta a carico di un magistrato colpito da una “condotta giornalistica diffamatoria”.

L’odierno ricorrente, a seguito della pubblicazione sul quotidiano “Il Giornale”, di un articolo che lo rappresentava come magistrato coinvolto in inchieste per reati di corruzione in atti giudiziari, agiva nei confronti dei principali responsabili per ottenere un risarcimento per il danno all’immagine da lui subito. Il Tribunale di Milano condannava i suddetti soggetti al risarcimento del danno per € 35.000,00 oltre accessori. A seguito della condanna, gli stessi proponevano impugnazione dinanzi alla Corte d’Appello, la quale riteneva che l’importo liquidato dal primo giudice dovesse essere ridotto, tenuto conto che la pubblicazione della sentenza costituisce misura idonea a riparare in parte il danno.

Sulla scorta di tale decisione, il ricorrente chiedeva l’intervento della Suprema Corte, specificando che, a suo avviso, la pubblicazione della sentenza costituisce una misura restitutoria, non diretta specificamente a risarcire il danno bensì solo a ripristinare l’immagine pubblica.

La Corte, esaminata a fondo la questione, chiarisce che la pubblicazione della sentenza può essere disposta: “nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, compreso quello derivante per effetto di quanto previsto all’art. 96”(art. 120 comma 1 c.p.c.).

La funzione riparatoria è prevista dalla legge e confermata dalla giurisprudenza. Tuttavia, precisa il Collegio, ciò non è sufficiente a legittimare un’operazione, come quella posta in essere dalla Corte d’Appello Milanese, di sottrazione aritmetica dall’importo del danno accertato, di un importo (indeterminato) corrispondente al valore riparatorio insito nella pubblicazione della sentenza.

In realtà la pubblicazione costituisce “una modalità di risarcimento in forma specifica volta ad aggiungersi al risarcimento  per equivalente al fine di  assicurare, nei casi in cui il giudice la ritenga utile, l’integrale riparazione del danno”, al fine di rimuovere il discredito gettato su un soggetto e di ricostruire la sua immagine pubblica.

 

Cass. civ. Sez. I, Sent., 21-01-2016, n. 1091

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27063/2013 proposto da:

S.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 6, presso l’avvocato LUCARELLI FEDERICO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIETRO PROTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ EUROPEA DI EDIZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, M.O.M., B. M., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 21, presso l’avvocato LO GIUDICE LUCA, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1597/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2015 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PROTO PIETRO, anche per delega orale dell’avv. Lucarelli, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d’Appello di Milano ha parzialmente accolto le impugnazioni delle parti avverso la sentenza del Tribunale di quella stessa città – che aveva condannato, in solido, i convenuti sigg. M. M., B.M. e la Società Europea di Edizioni SpA, al pagamento, in favore dell’attore S.M., di una somma di denaro (Euro 35.000,00, oltre accessorii, per il danno non patrimoniale da quest’ultimo subito in conseguenza di “una condotta giornalistica diffamatoria” (in seguito alla pubblicazione sul quotidiano (OMISSIS) di un articolo che lo rappresentava come magistrato coinvolto in inchieste per reati di corruzione in atti giudiziarii – e, in particolare, ha ordinato la pubblicazione della sentenza sul medesimo quotidiano a cura dei soccombenti e ridotto l’importo della condanna (a Euro 20.000,00, oltre accessori).

La Corte territoriale, per quanto ancora interessa in questa sede, in accoglimento del gravame incidentale delle parti convenute, ha ritenuto che l’importo liquidato dal primo giudice dovesse essere ridotto, tenuto conto che la pubblicazione della sentenza costituisce misura idonea a riparare in parte il danno.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il signor S. con tre mezzi, cui si sono opposti M.M., B.M. e la Società Europea di Edizioni SpA.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo (per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 120 c.p.c., e art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente premette che la pubblicazione della sentenza costituisce una misura restitutoria, non diretta specificamente a risarcire il danno, ma a modificare lo stato di fatto lesivo dei diritti della personalità o su beni immateriali, corrispondendo anche alla tutela di un interesse generale a che non circolino nella collettività false rappresentazioni della realtà giuridica. La pubblicazione della sentenza prescinderebbe dal danno: di qui l’errore commesso dal giudice distrettuale che, invece, l’avrebbe ancorata ad esso. Infatti, la pubblicazione della sentenza avrebbe carattere aggiuntivo rispetto al risarcimento economico per equivalente e non sarebbe, invece, una componente della complessiva misura risarcitoria, come ritenuto dalla Corte territoriale. Inoltre, il giudice distrettuale, nel ridurre la componente risarcitoria per equivalente, non avrebbe considerato che, tra l’altro, la pubblicazione era intervenuta a distanza di molti anni dal fatto e, quindi, si presentava come tardiva e depotenziata della sua efficacia ripristinatoria, con la conseguenza che il risarcimento per equivalente avrebbe dovuto essere incrementato, non diminuito.

Il motivo è fondato nei seguenti termini.

La questione che viene all’esame di questa Corte è se, una volta determinato il danno (qui non patrimoniale) per la lesione del diritto alla reputazione e all’immagine, sia legittima un’automatica riduzione del quantum, a causa della pubblicazione della sentenza su un quotidiano.

La Corte del merito ha risposto in senso affermativo, facendo leva sulla portata riparatoria della suddetta misura, la quale può essere disposta “nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, compreso quello derivante per effetto di quanto previsto all’art. 96” (art. 120 c.p.c., comma 1, nel testo sostituito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 16).

La suddetta funzione, in senso lato, riparatoria è nella legge ed è confermata dalla giurisprudenza (v. Cass. n. 2087/2015, n. 2491/1993, n. 6168/1989), ma ciò non è sufficiente per ritenere legittima un’operazione, com’è quella operata dalla Corte milanese, di sottrazione aritmetica dall’importo del danno accertato di un importo (peraltro indeterminato) corrispondente al valore riparatorio insito nella pubblicazione della sentenza.

Lo stesso danno risarcibile, di conseguenza, è stato determinato in modo incerto, a causa dell’incidenza in via automatica degli effetti dell’ordine di pubblicazione e del rilievo attribuito al grado (ridotto) di offensività della notizia giornalistica. In definitiva, la sentenza impugnata ha falsamente applicato l’art. 120 c.p.c..

Seguendo la ricostruzione operata dalla Corte milanese, la pubblicazione della sentenza consentirebbe un’automatica decurtazione del danno risarcibile per equivalente, con implicita e anomala attribuzione di un diritto di credito al debitore – danneggiante e, correlativamente, di una posizione obbligatoria al creditore – danneggiato, il quale, nel caso in cui non vi provvedesse il danneggiante, finirebbe per essere tenuto a provvedere direttamente alla pubblicazione, con un effetto rilevante – che questa Corte ha coerentemente escluso (v. Cass. n. 2087/2015 cit.) – sul piano del concorso causale nella produzione del danno, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 2.

In realtà, come rilevato nel precedente poc’anzi richiamato, la pubblicazione costituisce “una modalità di risarcimento in forma specifica volta ad aggiungersi al risarcimento per equivalente al fine di assicurare, nei casi in cui il giudice la ritenga utile, la integrale riparazione del danno”, al fine di contribuire a rimuovere il discredito gettato su un soggetto e di ricostruire la sua immagine pubblica.

E’ significativo che la pubblicazione della sentenza sia un provvedimento, costituente oggetto di un potere discrezionale del giudice, che può essere disposto indipendentemente dall’esistenza o dalla prova di un danno attuale, trattandosi di una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all’ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell’illecito nel futuro (v. Cass. n. 6226/2013, n. 1982/2003, n. 564/1995), a differenza del risarcimento del danno per equivalente che ha funzione reintegratoria di un pregiudizio già verificatosi (v. Cass. n. 12103/1995).

Si spiega dunque perchè una parte della dottrina abbia inteso questa misura come diretta non specificamente a riparare il danno, ma a tutelare l’interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà. In tal senso sembra deporre il riferimento dell’art. 120 c.p.c., – come presupposto per l’emissione dell’ordine di pubblicazione – a una “decisione di merito” e non necessariamente a una condanna al risarcimento del danno o a distinti facere di reintegrazione del diritto leso.

La possibile obiezione, secondo la quale i precedenti poc’anzi richiamati non sarebbero pertinenti perchè riguardanti fattispecie (di concorrenza sleale ex art. 2600 c.c.) diverse dalla lesione dei diritti della personalità, è agevolmente superabile, se si considera che l’art. 120 c.p.c., costituisce norma di generale applicazione, non derogata dalle norme speciali presenti in particolari materie (v. anche l’art. 126 cod.propr. ind., e L. n. 633 del 1941, art. 166, sul diritto d’autore).

Neppure sembra possibile differenziare la funzione (e, quindi, gli effetti concreti) della pubblicazione, a seconda della natura del danno, patrimoniale e non patrimoniale, rispettivamente in termini di sanzione autonoma e di misura esclusivamente riparatoria.

In conclusione, la concreta determinazione del danno rimane sottratta alla valutazione di questa Corte, essendo riservata al giudice di merito, il quale deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, nell’ambito di una ponderata valutazione globale, senza alcun automatismo in funzione riduttiva del danno risarcibile, con riguardo agli effetti riparatori della pubblicazione della sentenza.

Pertanto, in accoglimento del primo motivo,- assorbiti gli altri (concernenti vizi motivazionali e di ultrapetizione), la sentenza impugnata, avendo falsamente applicato l’art. 120 c.p.c., è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà riesaminare la causa alla luce del principio enunciato e liquidare le spese.

 

P.Q.M.

 

La Corte, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2016