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La responsabilità del medico per la morte del paziente a seguito di intervento chirurgico sconsigliato perché altamente rischioso.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La responsabilità del medico per la morte del paziente a seguito di intervento chirurgico sconsigliato perché altamente rischioso.

Pochi giorni fa la Terza Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 3173/2016, è tornata a pronunciarsi in materia di responsabilità medica.

La fattispecie oggetto di giudizio aveva visto come protagonista una paziente che, nel 1992, si era sottoposta ad un intervento di rimozione dell’ernia ombelicale con conseguente addominoplastica. A seguito dell’intervento la paziente moriva per collasso cardiocircolatorio. Qualche anno dopo, il marito, ed alcuni congiunti della vittima, agivano in giudizio contro il medico responsabile per il risarcimento dei danni rispettivamente patiti. Quest’ultimo, a sua volta, coinvolgeva il proprio assicuratore della responsabilità civile, la Fondiaria-SAI s.p.a..

Nel corso del giudizio di primo grado, venivano disposte due consulenze tecniche: la prima escludeva la condotta colposa dei sanitari, l’altra l’ammetteva. Dopo circa dodici anni il tribunale di Torre Annunziata rigettava la domanda, condividendo le conclusioni della prima consulenza tecnica. Tuttavia, la Corte d’Appello di Napoli, adita dai soccombenti successivamente, condividendo la seconda consulenza tecnica, accolse la domanda e condannò in solido il medico e il suo assicuratore. Avverso tale sentenza veniva pertanto proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, sulla scorta di quanto dedotto in appello, accoglie la pronuncia di responsabilità colposa del medico. Invero, quest’ultimo aveva deciso in modo imprudente di eseguire l’intervento, nonostante le condizioni cliniche della paziente, non solo lo sconsigliassero ma, anzi, lo rendessero altamente rischioso. A ciò si aggiunga che l’intervento in questione era “assolutamente privo” del carattere d’urgenza, che le sue conseguenze erano “prevedibili ex ante”, e che l’ospedale dove venne eseguito era privo del reparto di rianimazione.

Di contro il medico imputato eccepiva che la verifica delle condizioni fisiche della paziente doveva essere valutata dall’anestetista e non dal chirurgo. In realtà sul punto la Corte sottolinea come ciascuno dei due sia tenuto verso il paziente, non solo ad osservare con diligenza le regole tecniche della propria disciplina, ma anche a verificare la condotta dell’altro, nei limiti in cui ciò sia concretamente esigibile in virtù delle sue competenze, ai sensi dell’art. 1176, comma 2 c.c.

Invero è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il medico è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, in virtù della quale egli “è tenuto a concordare con l’anestesista il percorso anestesiologico da seguire – avuto riguardo alle condizioni personali del paziente – nonché a vigilare sulla presenza in sala operatoria del medesimo anestesista, deputato al controllo dei parametri vitali del paziente per la durata dell’operazione”.

Pertanto alla luce di quanto esaminato, la Terza Sezione cassa la sentenza e rimette al giudice di primo grado la valutazione del quantum del risarcimento spettante al coniuge superstite e ai prossimi congiunti, con il computo degli interessi e rivalutazioni monetarie non esaminati in appello.