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Coltivazione di sostanze stupefacenti: l’interminabile disputa sulla reale offensività.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Coltivazione di sostanze stupefacenti: l’interminabile disputa sulla reale offensività.

Pochi giorni fa la Sesta penale è intervenuta in materia di coltivazione di stupefacenti per chiarirne, ancora una volta, la sua portata offensiva.

Come ben noto la scelta che il legislatore ha fatto in materia di stupefacenti è stata quella di non punire l’uso personale, a prescindere dalla dose. Le condotte in materia di droga, di regola, sono penalmente rilevanti solo se non destinate all’uso personale.

La coltivazione, invece, è punita sempre anche se si coltiva per se stessi. Le ragioni di tale eccezione riposano, secondo la Corte Costituzionale, su una presunzione di astratta pericolosità, maggiore in questa condotta rispetto alle altre condotte prodromiche quali ad esempio: acquisto, importazione e detenzione.

Invero la coltivazione per sua natura è un’attività in progress, per cui è difficile delimitarne il quantum quando si coltiva e, inoltre, “coltivando” si aumenta inevitabilmente la quantità di droga esistente.

Tuttavia la Suprema Corte precisò, a suo tempo, che va sempre fatta una verifica in concreto. Infatti, potrebbe rilevarsi che il soggetto, non solo coltiva per uso personale, ma coltiva una pianta da cui si può estrarre una quantità talmente minima di principio attivo, da non raggiungere neanche la cd. soglia drogante per ottenere il cd. effetto stupefacente.

Proprio sulla base di tali considerazioni, nel caso oggetto di analisi, in primo grado si era chiarito che la percentuale di principio attivo ricavabile dalla pianta(25mg), consentisse ragionevolmente di apprezzare un uso personale, escludendo una possibile diffusione o ampliamento della coltivazione. Il Procuratore della Repubblica sostenendo l’orientamento contrario, e riscontrando la concreta offensività della condotta, impugnava la sentenza di non luogo a procedere.

Sul punto la Sesta Penale chiarisce che: la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa soltanto se il giudice ne accerti l’inoffensività “in concreto”, ovvero quando la condotta sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di diffusione della stessa. Pertanto, non può valutarsi l’offensività e la punibilità sul solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle piante dovendosi valutare, anche l’estensione e il livello di strutturazione della coltivazione, al fine di verificare se da essa possa derivare o meno una produzione potenzialmente idonea ad incrementare il mercato.

In ultima analisi, nella fattispecie prospettata, si esclude che la coltivazione di un’unica pianta di canapa indiana curata in vaso in un contesto urbano possa comportare l’aumento della disponibilità della sostanza stupefacente e, quel pericolo ulteriore di diffusione che sono gli estremi integrativi della offensività e punibilità della condotta ascritta.

 

Cass. Pen., sentenza n. 40030/2016

 

SENTENZA

 

 

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa nel procedimento contro Di Stefano Corrado, nato a Modica il 20/06/1992 avverso la sentenza del 12/02/2016 del Tribunale di Siracusa visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, il Gup del Tribunale di Siracusa ha dichiarato, ai sensi dell’art. 428 cod. proc. pen., il non luogo a procedere nei confronti di Corrado Di Stefano in ordine al reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, in concorso con altri, al medesimo ascritto (artt. 110, 75, comma 5, in relazione all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, per unica piantina di marijuana detenuta in terrazzo con principio attivo di THC pari al 1,8%). Il Tribunale per l’espresso giudizio ha ritenuto che la percentuale di principio attivo ricavabile dalla pianta, tale da garantire n. 12 dosi, ciascuna determinata secondo la dose media singola indicata dal d.m. 11 aprile 2006 in 25 mg., consenta ragionevolmente di apprezzare un uso personale della sostanza e, nell’esclusione di una possibile diffusione o ampliamento della coltivazione della stessa, escluda, altresì, la lesione al bene giuridico che la norma di previsione della contestata fattispecie intende tutelare. 2. Avverso l’indicata sentenza propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa denunciando violazione di legge penale, in relazione agli artt. 425-428 cod. proc. pen. Viene in tal modo dedotta l’irrilevanza della quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza dalla pianta oggetto di coltivazione, rinvenendosi invece nella conformità di quest’ultima al tipo botanico previsto e nella sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione ed a produrre sostanza stupefacente, un riscontro in concreto della offensività della condotta (nella specie significativamente rappresentata: dal principio attivo, pari ad 1,8%, e quindi superiore alla soglia minima; dal peso, pari a 312 mg a fronte dei 25 mg della soglia tabellare; dall’altezza della pianta, pari ad un metro). Deduce la pubblica accusa a sostegno del proposto ricorso la distinzione operata dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale tra il reato di coltivazione e quello di detenzione ai fini di spaccio, distinzione per la quale risulta esclusa la prima fattispecie quando i quantitativi prodotti, pur inferiori alla dose media singola determinata dalle tabelle ministeriali, siano privi, in concreto, dell’attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi di cui all’art. 14 del d.P.R. n. 309 del 1990. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo di ricorso è infondato e come tale determina il rigetto del proposto mezzo. 1.1. La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa soltanto se il giudice ne accerti l’inoffensività ‘in concreto’ ovvero quando la condotta sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa, 2 A restando in tal senso non sufficiente l’accertamento della conformità al tipo botanico vietato (Sez. 4, n. 3787 del 19/01/2016, Festi, Rv. 265740; Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168) Resta escluso quindi che rilevi ai fini dell’offensività della condotta e della correlata punibilità il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, dovendosi valutare anche l’estensione e il livello di strutturazione della coltivazione, al fine di verificare se da essa possa derivare o meno una produzione potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (Sez. 4, n. 3787 cit.). Nella fattispecie, oggetto dell’impugnata sentenza di non luogo a procedere (att. 425 e ss. cod. proc. pen.) è la coltivazione di una unica pianta di canapa indiana, curata in vaso e posizionata su un terrazzo di abitazione collocata in contesto urbano, evidenze che obiettivamente escludono che da detta coltivazione possa derivare quell’aumento nella disponibilità della sostanza stupefacente e quel pericolo di ulteriore diffusione che sono gli estremi integrativi della offensività e punibilità della condotta ascritta. Il ricorso con cui si censura l’adottato proscioglimento è pertanto infondato e come tale va rigettato. Rigetta il ricorso. Così deciso, il 15/09/2016