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Per il recupero dei crediti derivanti dall’attività professionale di avvocato quale procedimento è percorribile? La risposta alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.

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Sommario: 1.Azioni esperibili per il recupero dei crediti derivanti dall’attività professionale dell’avvocato; 2. Il giudice competente; 3.Azione non più esperibile, alla luce della sentenza in commento; 4. Cosa succede in caso di proposizione della domanda riconvenzionale; 5. Nel caso in cui è stata adita la Corte d’Appello, quid iuris? 6. Conclusioni.

1.Azioni esperibili per il recupero dei crediti derivanti dall’attività professionale dell’avvocato.

Una recente decisione della Suprema Corte di Cassazione ha composto il contrasto relativo ai procedimenti esperibili per il recupero dei crediti da parte di un avvocato. Le strade da intraprendere sono solo due, non potendo utilizzare la speciale procedura di liquidazione dei compensi degli avvocati di cui all’articolo 28 della legge numero 794 del 1942 .

A chiarire il quadro normativo di riferimento è stata la decisione numero 4485 del 23 febbraio 2018, resa a Sezioni Unite.

In sostanza, il professionista legale per recuperare un credito derivante dall’attività professionale esercitata può esperire o il procedimento per decreto ingiuntivo, o il procedimento sommario speciale ex articolo 702 – bis del codice di procedura civile.

Resta fermo, in caso di opposizione, l’applicazione della norme speciali per la tutela del creditore di cui agli articoli 648,649 e 653 del codice di procedura civile. Quest’ultimo da applicarsi in combinato disposto con l’ultimo comma dell’articolo 14 del decreto legislativo numero 150 del 2011 e con il penultimo comma dell’articolo 702 – ter del codice di rito.

Viene esclusa, invece, la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria, sia con quello del procedimento sommario ordinario previsto dal codice, di cui agli articolo 702 – bis e seguenti.

2.Il giudice competente. 

La Corte ha chiarito anche il radicamento della competenza del procedimento. La controversia, dopo che è stata incardinata dinanzi al giudice territorialmente e funzionalmente competente, rimane assoggettata al rito sommario speciale in base all’articolo 14 del Decreto legislativo 150 del 2011, indipendentemente della contestazioni mosse dal cliente nei confronti del legale, delle prestazioni eseguite e in ordine all’an debeatur.

Questo aspetto è stato oggetto specifico della remissione della questione alle Sezioni Unite.

La Cassazione, nel caso specifico, ha concluso per il riconoscimento della competenza del giudice a quo inizialmente adito dal professionista, non accogliendo l’eccezione di incompetenza sollevata dalla controparte. Infatti, la decisione in commento è stata provocata da un regolamento di competenza proposto al fine di accertare quale autorità giurisdizionale fosse competente nei casi simili.

Una questione di competenza si pone anche nei casi in cui il convenuto nei procedimenti esperibili svolga una difesa con l’introduzione di una domanda riconvenzionale, di compensazione, di accertamento con efficacia di giudicati di un rapporto pregiudiziale, o, più in generale, l’introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria. In questi casi anche l’eventuale esorbitanza dalla competenza del primo giudicante in base alle norme dell’articolo 14 del decreto legislativo numero 150 del 2011, comporta il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza del giudicante di primo grado. Di conseguenza, si dovrà procedere alla remissione della causa ai sensi dell’articolo 702 – ter , comma 4 del codice di procedura civile.

In sostanza, si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex articolo 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un’istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto.

Quanto chiarito dal Supremo Collegio trova ragione nel fatto che nel caso in esame non può trovare applicazione, per l’esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull’intero cumulo di cause ai sensi dell’articolo 40, terzo comma del codice di procedura civile.

Vi è, pertanto, una eccezione al quadro normativo appena descritto. Qualora si ponga il problema di spostamento della competenza per ragioni di connessione, occorre applicare le ordinarie regole previste dagli articoli 34, 35 e 36 del codice di procedura civile.

Pertanto, se è stata adita la Corte di Appello, si pone il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso. Infatti, ai sensi dell’articolo 702 – ter, quarto comma del codice di procedura si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex articolo 14.

Da ultimo, preme evidenziare come il giudicante competente a conoscere il procedimento deve decidere in composizione collegiale, alla luce dell’applicazione dei principi generali che governano il sistema.

3.Azione non più esperibile, alla luce della sentenza in commento.

La Corte ha esordito con la riflessione relativa alla delega, quale non impediva affatto al legislatore di individuare nel procedimento sommario l’unica forma di tutela esperibile per la controversia di cui agli articoli 28 e seguenti della legge numero 794 del 1942. Sicché si deve considerare come effettivamente il tenore dell’articolo 28 nel testo sostituito dal decreto legislativo numero 150 del 2011 evidenzia che la scelta è stata proprio in quel senso.

Infatti, la Cassazione, ha chiarito come, nel coso de quo, il Governo non ha ecceduto nel legiferare in materia rispetto alla legge di delega per tutta una serie di considerazioni ce seguono.

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, ha escluso, dunque, la possibilità di introdurre l’azione di recupero dei crediti dell’attività professionale con il rito di cognizione ordinaria, né col procedimento sommario ordinario previsto dagli articoli 702 – bis e seguenti del codice di procedura civile.

Ha chiarito come in casi in cui la domanda ha ad oggetto la condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, sia se prima della lite vi sia una contestazione sull’an debeatur, che se non vi sia, una volta introdotta in giudizio, resta soggetta comunque al rito indicato dall’articolo 14 del decreto legislativo numero 150 del 2011.

 

Ciò anche quando il cliente del professionista non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito con riferimento alle tariffe, ma sollevi eccezioni in ordine all’esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in generale riguarda all’an debeatur.

4.Cosa succede in caso di proposizione della domanda riconvenzionale.

Le Sezioni Unite hanno precisato come nei casi in cui il convenuto nei procedimenti sopra descritti svolga una difesa con l’introduzione di una domanda riconvenzionale, di compensazione, di accertamento con efficacia di giudicati di un rapporto pregiudiziale, l’introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria ed anche la sua esorbitanza dal rito disciplinato dall’articolo 14, comporta il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza del giudicante di primo grado. Di conseguenza vi è la remissione ai sensi dell’articolo 702 – ter codice di rito, comma quattro.

Si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex articolo 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un’istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto.

Quanto chiarito dal Supremo Collegio trova ragione nel fatto che nel caso in esame non può trovare applicazione, per l’esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull’intero cumulo di cause ai sensi dell’articolo 40, terzo comma del codice di procedura civile.

5.Nel caso in cui è stata adita la Corte d’Appello, quid iuris?

Nel caso in cui sia stata adita la Corte d’Appello, invece, va considerato come il comma 3 dell’articolo 3 del decreto legislativo numero 150 del 2011 prevede che resti ferma l’inapplicabilità del secondo e del terzo comma dell’art. 702- ter codice di procedura civile. La norma dispone anche come per il resto si applichi – oltre all’art. 702-bis – quello stesso articolo 3.

La norma disapplicata prevede, infatti, il caso in cui il giudice rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702 – bis, con ordinanza non impugnabile fissa l’udienza di cui all’articolo 183 con la conseguente applicazione delle norme prescritte dal libro II del codice di rito.

Quando, invece, secondo il terzo comma dell’articolo 702 – ter, la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione che, nel caso di specie, è escluso.

Se venga proposta, invece, una domanda riconvenzionale, occorrerà considerare come su di essa non sembra possibile immaginare che possa trovare applicazione il quarto comma dell’art. 702-ter del codice di rito, quale suppone evidentemente la competenza del giudice adito con il procedimento sommario su di essa.

La Corte d’Appello, essendo di norma giudice competente in secondo grado (salvo i casi eccezionali, tassativamente previsti), non può in alcun modo considerarsi competente sulla domanda riconvenzionale introdotta come domanda di primo grado. Non si può, quindi, ipotizzare, qualora la riconvenzionale si presti ad un’istruzione sommaria, che quella Corte possa trattarla.

Non resta che ipotizzare sempre la necessaria separazione della domanda riconvenzionale e la rimessione al giudice competente in primo grado, con le conseguenti decisioni ex art. 295 codice di procedura civile sulla sorte del giudizio ex articolo 14, ove la riconvenzionale abbia efficacia pregiudicante.

Se la domanda ha ad oggetto la deduzione di una richiesta di compensazione, sarà possibile ipotizzare, ai sensi dell’articolo 35 del codice di rito, l’eventuale condanna con riserva.

Quanto alla specifica questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte, relativa all’azione di accertamento negativo (in tutto od in parte) dell’esistenza del credito per prestazioni professionali giudiziali di cui all’articolo 28 della legge numero 794 del 1942 che venga autonomamente esercitata dal cliente, i giudici hanno ritenuto che essa non risulta riconducibile all’ambito dell’articolo 14. Ciò in ragione del fatto che l’articolo 28 della legge del 1942, quale indica come soggetto attore solo l’avvocato, e non già anche il cliente.

Essa è, dunque, soggetta alle ordinarie regole di competenza e, sotto il profilo del rito praticabile, o al rito di cognizione ordinaria o a quello codicistico di cui agli articoli 702- bis seguenti del codice di procedura civile (nel caso di competenza del tribunale in composizione monocratica).

6.Conclusioni.

Nonostante la complessità della pronuncia in commento, è possibile affermare sin d’ora che le questioni affrontate dalla Suprema Corte hanno una grande rilevanza per l’ordinamento giuridico italiano in riferimento al procedimento e alla competenza del recupero dei crediti da parte degli avvocati. Ciò anche in ragione di diversi solleciti pervenuti dall’Unione Europea, sempre attenta e stringente riguardo alla certezza e velocità del recupero del credito da parte del creditore, non solo qualora si tratti di un professionista, come, nel caso specifico, un avvocato. Si consideri solo come in Italia ed Europa recuperare denaro sia diventato tanto complesso, con conseguenti perdite ogni anni di milioni di euro in crediti insoluti.

Grazie alla decisione in commento, resa a Sezioni Unite, sono stati superati tutti i contrasti dottrinali e giurisprudenziali che si sono formati fino ad ora sull’argomento. Il vantaggio che ne deriva è quello di avere una certezza ed una chiarezza del quadro normativo per proporre un procedimento di recupero dei crediti derivanti dall’attività professionale di avvocato con una lettura, offerta dalla Cassazione, delle relative norme costituzionalmente orientata, anche alla luce della riforma del 2011.

 

Attualmente ogni professionista, dunque, è in grado di esperire i rimedi previsti dall’ordinamento italiano- analizzati nella decisione della Suprema Corte – con la possibilità di recuperare del credito derivante dalla propria attività del difensore, in modo tempestivo e sicuro, senza incorrere nel rischio dell’eventuale rigetto per incompetenza o per errore del procedimento prescelto. Ciò giova notevolmente sia al professionista, che al giudicante, quale si trova di fronte ad un quadro normativo chiaro e preciso, con le linee guida sicure da seguire in relazione allo stato e grado della domanda che gli viene proposta.

Non è trascurabile anche il fattore temporale che incide sulla rapida ed efficace composizione delle questioni e richieste di recupero da parte di tutti i professionisti.

In conclusione, solo a distanza di tempo, sarà possibile valutare l’efficacia della sentenza in commento sui procedimenti di recupero crediti degli avvocati ancora pendenti e quelli ancora da proporre all’indomani della enunciazione dei principi sinteticamente analizzati.