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RIABILITAZIONE SPECIALE: MODO E LIMITI DELLA VERIFICA DELL’EMENDA

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La vicenda oggetto della decisione della Suprema Corte concerne una richiesta di riabilitazione speciale ex art. 24 r.d. 1404 del 1932 conv. con L. 835 del 1935.

Il soggetto interessato, oramai maggiorenne, aveva presentato richiesta presso il Tribunale per i minorenni competente al fine di vedersi riabilitato per fatti di grave entità commessi da minorenne.

Il Tribunale adito non ritenendo sufficientemente provato l’esperimento di un proficuo percorso di emenda ha rigettato la richiesta.

Avverso tale provvedimento il riabilitando ha proposto ricorso in Cassazione.

Il ricorrente, tra i motivi posti a sostegno del proprio ricorso, lamentava la mancata acquisizione di prova decisiva da parte del Tribunale e conseguente vizio di motivazione della decisione.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso con le motivazioni che seguono.

Per il Supremo Consesso la riabilitazione speciale ha un obiettivo precipuo, il reinserimento nell’assetto sociale del riabilitando, con la rimozione di qualsivoglia effetto pregiudizievole dovuto al procedimento penale a suo carico.

Tale istituto è caratterizzato, quindi, da un favor legislativo particolare che impone al Giudicante, qualora ad un primo vaglio non rinvenga la sussistenza dei requisiti richiesti per legge al fine dell’applicazione della riabilitazione speciale, un differimento della decisione ad altro momento, purché effettuato entro il venticinquesimo anno di età dell’interessato, così da poter acquisire nuovi indizi a vantaggio dello stesso ed avere un quadro maggiormente esaustivo ai fini della valutazione.

Alla luce di quanto evidenziato dalla Suprema Corte, la decisione del Tribunale per i minorenni nel caso specifico non ha seguito l’iter prescritto dalla legge, rigettando con un lapidario diniego la richiesta del riabilitando, nonostante la posizione di questi non fosse priva di molteplici elementi favorevoli di valutazione


REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

 

  • OMISSIS ex art. 52 D. lgs. 196/2003 –

 

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti;

lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Piero Gaeta, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

  1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale per i minorenni di – omissis- ha respinto l’istanza di – omissis-, volta ad ottenere la riabilitazione speciale prevista dall’art. 24 r.d.I. n. 1404 del 1934, conv. dalla legge n. 835 del 1935, in relazione alla sentenza pronunciata a suo carico, il 12 gennaio 2015, dalla Corte di appello di – omissis-, sezione per i minorenni, per i reati di associazione di stampo mafioso e concorso in tentata estorsione.

Il Tribunale per i  minorenni – pur dando atto della certificata assenza di collegamenti attuali del condannato con la criminalità organizzata, e degli sforzi, ritenuti sinceri, di suo «distanziamento» dal passato delinquenziale, grazie all’adesione ad uno specifico progetto di emancipazione dedicato ai minori inseriti in famiglie di ‘ndrangheta, all’allontanamento da quel contesto territoriale, alla volontà di avviare nel luogo di attuale residenza attività lavorative di natura autonoma – non riteneva tuttora integrato il requisito di legge della «completa emenda».

Secondo l’organo giudicante, infatti, non erano ancora definitivi e palesi gli esiti di un percorso che richiederebbe un tempo maggiore per essere appropriatamente rilevato, tenuto conto della gravità dei reati commessi e anche alla luce di taluni atteggiamenti del richiedente, residualmente reputati non rassicuranti. A tale proposito erano menzionate la reticenza dell’interessato nel riferire della pendenza di un processo penale con messa alla prova a suo carico, dall’andamento non completamente regolare e per  tale ragione prorogata, nonché la difficoltà del medesimo ad accettare pur necessari ausili psicoterapeutici.

  1. Avverso la suddetta sentenza ricorre – omissis- per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia, sulla  base di due motivi.

Con il primo motivo deduce – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. – la violazione dell’art. 24 r.d.I. n. 1404 del 1934, sopra citato. Il Tribunale avrebbe infatti omesso di ascoltare, nel procedimento, la madre del condannato, il cui parere avrebbe dovuto essere per legge necessariamente acquisito. Da ciò sarebbe derivata la nullità assoluta del procedimento medesimo.

Con il secondo motivo deduce – formalmente ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. – la mancata acquisizione di prova decisiva e, per implicito, il vizio di motivazione. Anche per effetto della mancata audizione di cui sopra, e della mancata acquisizione dell’ulteriore documentazione che l’interessato si era offerto di produrre, il Tribunale sarebbe giunto, sul punto della completa emenda, a conclusioni non accettabili, e non validamente argomentate, tenuto anche conto che la messa alla prova – dal minore sottaciuta senza finalità maliziose – era stata prorogata proprio e solo per consentire la piena attuazione del sostegno psicoterapico da lui ben accettato e condiviso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, sotto una duplice prospettiva.

La partecipazione al procedimento di riabilitazione speciale per i minorenni dell’esercente la «patria potestà» (divenuta «responsabilità genitoriale», per effetto dell’art. 105, comma 1, d.lgs. n. 154 del 2013) non era dalla normativa di riferimento stabilita a pena di nullità, né il vizio sarebbe stato all’evidenza riconducibile al catalogo delle nullità generali di cui all’art. 185 cod. proc. pen. 1930 (corrispondente all’art. 178 codice di rito vigente), sicché l’omissione sarebbe stata comunque priva di sanzione, e ciò in forza del principio di tassatività delle nullità recepito dalla legislazione processuale.

In ogni caso, una tale ipotesi di partecipazione appare oggi storicamente superata.

L’art. 24, quinto comma, r.d.I. n. 1404 del 1934, conv. dalla legge n. 835 del 1935, prevedeva come necessario l’ascolto del genitore, o del tutore, per l’ipotesi (da ritenere implicita) che il richiedente – seppur ultradiciottenne  alla data della domanda, anteriormente infatti non proponibile – non avesse ancora compiuto i ventuno anni, che secondo la legislazione del tempo costituiva il limite della maggiore età.

Per effetto della legge 8 marzo 1975, n. 39, tale limite è stato ridotto, come è noto, a diciotto anni, e pertanto – da allora – non può più darsi la possibilità di un richiedente che sia ancora minorenne al tempo dell’avvio del procedimento, rispetto a cui terze persone siano investite di potestà genitoriali, o tutorie, che possano dare ingresso all’applicazione della disposizione.

  1. Fondato, invece, appare il secondo motivo.
  2. Vero è che, nella specie, non è di per sé deducibile il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., relativo soltanto al giudizio dibattimentale e non anche ai procedimenti che si svolgono con il rito della camera di consiglio (Sez. 1, n. 8641 del 10/02/ 2009, Giuliana, Rv. 242887-01 ; Sez. 1, n. 15605 del 28/03/2008, Locci, Rv. 240148-01; Sez. 3, n. 1779 del 12/08/1993, Cova, Rv. 195977-01).
  3. Anche rispetto a questi ultimi, tuttavia, resta fermo il controllo di logicità e completezza della motivazione ad opera di questa Corte; controllo esso stesso sollecitato dal formulato motivo di ricorso e che non può dirsi in concreto superato.
  4. Come dalla giurisprudenza di legittimità già precisato (Sez. 1, n. 44932 del 18/09/ 2013, P., Rv. 257436-01), l’istituto della riabilitazione speciale per i minorenni è   improntato   alla   preminente   esigenza   di   assicurare   il   pieno reinserimento nella società del riabilitando, attraverso la rimozione di ogni effetto pregiudizievole del precedente giudizio, non necessariamente costituito (v. Sez. 2, n. 870 del 20/06/1975, Moschetta, Rv. 131153-01) da una sentenza di condanna. L’istituto si caratterizza, dunque, per la peculiare e autonoma disciplina, connotata da profili di marcata specialità, che includono l’espressa possibilità di promuovere il procedimento anche di ufficio, la mancata previsione di termini dilatori per il suo inizio (v. Sez. 1, n. 44932 del 2013, citata), la procedura ampiamente deformalizzata (v. Sez. 1, n. 3907 del  23/10/1991, Altana, Rv. 189751-01), i più estesi confini entro cui il beneficio può essere accordato e la maggiore ampiezza dei suoi effetti.

E’ evidente, già alla luce di questa rapida ricognizione, il particolare favor legislativo verso un esito conclusivo che, nel rispetto delle condizioni di legge, consenta di riammettere i soggetti – che, da minori, ebbero a violare la legge penale – alle ordinarie attività della vita, tenuto conto dei concreti bisogni dei medesimi, con particolare riguardo allo specifico percorso rieducativo e di recupero sociale di cui gli stessi necessitano in ragione della giovane età. Tale previsione risponde pienamente all’esigenza, più volte ribadita dalla giurisprudenza costituzionale, che il sistema di  giustizia  minorile  sia caratterizzato da valutazioni  su  «prognosi  particolarmente  individualizzate» (Corte Cost., n. 78 del 1989), in funzione del recupero del  minore  deviante (Corte Cost., n. 143 del 1996, n. 182 del 1991, n. 128 del 1987, n. 222 del 1983 e n. 46 del 1978), questo essendo «l’ambito di quella protezione della gioventù che trova fondamento nell’ultimo comma dell’art. 31 Cost.» (sentenze n. 128 del 1987 e n. 222 del 1983).

Specificazione ulteriore dell’indicato favor appare la previsione contenuta nel quarto comma dell’art. 24 r.d.I. n. 1404 del 1934, citato, il quale autorizza  il giudice, ove la prova dell’emenda del condannato minorenne appaia  ad  una prima indagine insufficiente, a differire la decisione ad un tempo successivo, purché non successivo al compimento, da parte dell’interessato, del venticinquesimo anno di età, onde poter basare la decisione medesima su un patrimonio di conoscenze esaustivo e convincente.

Quel che viene in tal modo attribuito al Tribunale è un potere-dovere, sempre funzionale al miglior contemperamento degli interessi in gioco, considerato anche che la riabilitazione speciale può essere concessa solo in relazione ad istanza dall’interessato presentata prima dell’anzidetto “spartiacque” temporale (il compimento del venticinquesimo anno di età), superato  il quale non può più prescindersi dalla verifica delle condizioni generali stabilite dall’art. 179 cod. pen. (incluso l’adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato: Sez.  1, n. 43423 del 25/10/ 2001,  Di Bitetto, Rv. 220244-01).

E trattasi di potere-dovere, del cui discrezionale esercizio il medesimo Tribunale è tenuto  a dare ragionato conto.

  1. Carente e non persuasiva appare allora una motivazione, quale quella in verifica, che – pur in presenza di evidenti indici favorevoli, espressivi di un percorso di emenda dal condannato saldamente intrapreso e validamente portato innanzi, dalla sentenza impugnata ampiamente riflessi – si traduce in un immediato e drastico diniego, che non lascia spazio alcuno alla possibilità, viceversa legislativamente prevista, che le perplessità residue, non prive di un loro fondamento, siano appropriatamente rivalutate all’esito di un ulteriore periodo di osservazione, impregiudicata la decisione finale.

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza stessa, con rinvio al Tribunale che l’ha pronunciata per rinnovato giudizio al riguardo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale per i minorenni di –omissis- . In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso il 18/02/2019