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Diritto Penale. Costituisce reato far lavorare di notte una donna in assenza di preventiva visita medica di idoneità

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Costituisce reato far lavorare di notte una donna in assenza di preventiva visita medica di idoneità

Cass. Pen., Sez. III, 21 ottobre 2014, n. 43807

La Suprema interviene su una vicenda in cui all’imputato era stato addebitato di aver impiegato una lavoratrice notturna in assenza di preventiva visita medica di idoneità. La Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per la violazione accertata, ritenendo corretta la formazione della prova basata sulle dichiarazioni rese agli Ispettori del Lavoro dalla lavoratrice la sera stessa dell’ispezione nel locale nonché sulle ammissioni dell’imputato.

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno ricordare, per quanto qui di interesse, che il D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, recante “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro” (pubblicato nella Gazz. Uff. 14 aprile 2003, n. 66, S.O.), prevede, all’art. 14, comma 1, sotto la rubrica “Tutela in caso di prestazioni di lavoro notturno” che la valutazione dello stato di salute dei lavoratori notturni deve avvenire a cura e a spese del datore di lavoro, o per il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche o per il tramite del medico competente, attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a verificare l’assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i lavoratori stessi. In particolare, le fonti normative che regolamentano il lavoro notturno sono il D.Lgs. n. 532 del 1999 e il D.Lgs. n. 66 del 2003, al capo IV.

A norma di legge, è considerato lavoro notturno la prestazione effettuata per un periodo di almeno sette ore consecutive che comprende l’intervallo di tempo tra la mezzanotte e le cinque del mattino. Semplificando: a) Tra le ore 22 e le ore 5; b) Tra le ore 23 e le ore 6; c) Tra le ore 24 e le ore 7. Qualora i CCNL dovessero definire fasce diverse, si farà riferimento a queste ultime.

Integra la qualifica di lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che: a) svolga almeno una parte di lavoro normale nel periodo di lavoro considerato notturno; b) svolga la sua prestazione per almeno ottanta giorni all’anno, salva diversa indicazione dei CCNL (il limite va riproporzionato per i contratti part time). Quanto ai limiti e divieti, la legge prevede il divieto di occupare tra le ore 24 e le ore 6 i seguenti lavoratori: a) Le donne in gravidanza fino al compimento dell’anno del bambino; b) I lavoratori dichiarati inidonei dalle competenti strutture sanitarie pubbliche.

Si ricorda, inoltre, che non sono obbligati a svolgere lavoro notturno: a) la lavoratrice madre, o in alternativa al padre convivente, di un figlio minore di tre anni; b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente inferiore a 12 anni; c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un disabile; d) i minori per il periodo lavorativo di 12 ore comprendenti l’intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le ore 23 e le ore 7.

L’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le 8 ore nelle 24. Nel caso di orario di lavoro articolato su orari plurisettimanali (turni), il limite di 8 ore viene calcolato su un periodo di riferimento più ampio definito dalla contrattazione collettiva, anche aziendale. Con apposito decreto ministeriale viene definito l’elenco delle lavorazioni che comportano rischi o tensioni fisiche o mentali particolari e rilevanti. In questi casi il limite è sempre riferito alle 8 ore nelle 24. Sono, peraltro, ammesse deroghe nei seguenti casi: a) Attività di carattere culturale, artistico, sportivo, pubblicitario, purché non oltre le 24; b) Minore con più di 16 anni per casi di forza maggiore e per il tempo strettamente necessario; c) Casistica prevista dai CCNL.

Si noti, peraltro, che secondo la giurisprudenza civile della Cassazione, i limiti legali imposti dal D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 in materia di orario massimo complessivo, pause di lavoro e lavoro notturno, non possono essere derogati con il consenso del singolo lavoratore interessato -e dunque per effetto della rinuncia ai relativi diritti,- ma solo ad opera della contrattazione collettiva, e nei limiti e con le modalità stabilite dalla legge, comportando il mancato esercizio di tale facoltà di deroga da parte delle parti sociali l’operatività diretta delle garanzie e dei limiti legali, con conseguente applicazione delle sanzioni stabilite in caso di violazione (Cass. Civ., Sez. lavoro, Sent., 23 maggio 2014, n. 11574, in CED Cass., n. 631044). Per quanto riguarda gli aspetti penali, la giurisprudenza della Cassazione, vigente l’abrogata L. 9 dicembre 1977, n. 903, era giunta ad affermare che la normativa in essa contenuta, nello stabilire il divieto di lavoro notturno per le donne nelle aziende manifatturiere anche artigianali, contrastasse con la Dir. n. 76/207/CEE (come interpretata dalla Corte di giustizia della Comunità Europea). Essa, pertanto, andava essere disapplicata dal giudice italiano, mentre doveva essere applicata nella parte in cui risultava conforme al dettato della direttiva summenzionata e, cioè, con riferimento al divieto assoluto di lavoro notturno per le donne dal momento dell’accertamento della gravidanza fino al compimento dell’anno di vita del bambino (Cass. Pen., Sez. III, n. 9983 del 1 luglio 1999 – dep. 6 agosto 1999, V., in CED Cass., n. 214345).

Nel caso in esame l’imputato era stato condannato per la violazione dell’art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 66 del 2003 per avere occupato, quale presidente di un circolo privato una lavoratrice notturna in assenza di preventiva visita medica di idoneità. Per giungere a tale conclusione il Tribunale aveva considerato il verbale contenente le dichiarazioni rese agli Ispettori del Lavoro dalla lavoratrice la sera stessa dell’ispezione nel locale nonché le affermazioni dell’imputato. La Cassazione, nel respingere la tesi difensiva secondo cui nel circolo non esistevano né orari, né dipendenti né stipendi e che la somma di €. 500,00 veniva data alla lavoratrice a titolo di donazione da un socio e non come retribuzione, ha affermato che il verbale dell’ispettore del lavoro non costituisce mera informativa di reato poiché contiene l’accertamento o la descrizione di una situazione di fatto suscettibile di modifica nel tempo, per effetto di comportamenti umani o di eventi naturali. Esso va, pertanto, annoverato tra gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria (art. 431, lett. b) c.p.p.) e, come tale, va inserito nel fascicolo per il dibattimento e ne va data lettura a richiesta di parte o su iniziativa del giudice (art. 511, comma 1, c.p.p.), essendo utilizzabile come fonte di prova (Cass. Pen., Sez. III, n. 7083 del 26 aprile 1994 – dep. 16 giugno 1994).