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Se sei impotente non vale!

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Se sei impotente non vale!

Con l’ordinanza numero 5364/2016, depositata il 17 marzo, la Corte di Cassazione si è  pronunciata sulla possibilità di rendere nullo un matrimonio concordatario per impotenza del coniuge nonostante la moglie fosse a conoscenza di tale circostanza.

Nello caso di specie, era l’uomo (coniuge impotente), a chiedere  alla Corte D’Appello di Bari di ottenere la dichiarazione di efficacia ed esecutività nell’ordinamento italiano della decisione del Tribunale Ecclesiastico Regionale per la Puglia, con cui era stato dichiarato nullo il matrimonio per  impotentia coeundi . Tale richiesta veniva accolta dalla stessa Corte territoriale con sentenza depositata il 26 giugno 2012.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la nullità del matrimonio. Secondo i magistrati, nel caso in esame, la donna era a conoscenza della condizione di “impotentia coeundi” del coniuge. Come si legge nel testo della sentenza, la donna non poteva non sapere che lui fosse impotente (dati i lunghi anni di fidanzamento) con la conseguenza che non si applica il principio secondo cui la nullità non può essere fatta valere da chi ne ha dato causa (ossia dal marito) perché tale norma presuppone che l’altro coniuge (in tal caso la moglie) non fosse stato a conoscenza della causa di nullità al momento della celebrazione delle nozze.

Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., 17-03-2016, n. 5364

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29390/2014 proposto da:

A.A.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA STAZIONE DI SAN PIETRO n. 45, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO CAMPEGIANI, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 14, presso lo studio dell’avvocato CARLO MARIA BARONE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANSELMO BARONE, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9044/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA del 15/10/2013, depositata il 18/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2016 dal Consigliere Relatore Don. MARIA ACIERNO;

udito l’Avvocato ALBERTO CAMPEGIANI, difensore del ricorrente, che chiede l’estinzione per rinuncia.

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

Rilevato che è stata depositata la seguente relazione in ordine al ricorso recante il numero di R.g. 29390 del 2014:

N.G.R. si rivolgeva alla Corte d’appello di Bari per ottenere la dichiarazione di efficacia ed esecutività nell’ordinamento italiano della decisione del Tribunale Ecclesiastico Regionale per la Puglia (ratificata dal Tribunale Ecclesiastico Beneventano e poi resa esecutiva con decreto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica) con cui era stato dichiarato nullo il matrimonio concordatario dallo stesso contratto con A.A. D. per impotentia coeundi dell’attore, oggi controricorrente.

  1. si costituiva chiedendo la reiezione della domanda, sostenendo che la sentenza del T.E. non fosse delibabile perchè:

– dopo il matrimonio, la coppia aveva comunque convissuto per undici mesi;

– la delibazione avrebbe comportato lesione del principio di affidamento e di quello di buona fede, perchè A. non poteva sapere della patologia del marito, che invece ne era a conoscenza e non aveva informato la donna, lasciandole intendere che la sua astinenza fosse legata al desiderio di attendere le nozze, per poi consumare il matrimonio;

– l’attore non potrebbe ottenere l’annullamento del matrimonio in ragione di un impedimento a sè stesso riferibile.

  1. proponeva altresì domanda riconvenzionale chiedendo una provvisionale in suo favore, e riservandosi di chiedere il risarcimento dei danni subiti.

La Corte territoriale (sentenza depositata il 26 giugno 2012) accoglieva la domanda di N., dichiarando l’efficacia nell’ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica, e respingeva quella riconvenzionale. A giudizio del Giudice di merito, infatti, i motivi addotti da A. a sostegno della non delibabilità della sentenza erano infondati, in quanto:

– la mancata corrispondenza normativa tra ordinamento ecclesiastico e quello nazionale (il quale non prevede la impotentia coeundi come causa di nullità del matrimonio) non si risolve in violazione dei principi fondamentali che regolano l’istituto del matrimonio secondo la legge nazionale, perchè anche la normativa italiana prevede che una anomalia psichica di uno dei coniugi, a certe condizioni, sia causa di nullità del matrimonio per vizio del consenso del coniuge caduto in errore;

– dalle emergenze processuali si evinceva che la moglie non poteva non accorgersi, nel lungo periodo di fidanzamento, che mancavano le condizioni per un rapporto sessuale completo, con la conseguenza che non trova applicazione, nel caso di specie, il principio secondo cui la nullità del matrimonio non può essere fatta valere dal coniuge che ha dato causa a tale nullità, perchè tale norma presuppone la non conoscenza e la non conoscibilità della causa di nullità da parte dell’altro coniuge;

– comunque, non esiste nel nostro ordinamento un principio secondo cui il vizio invalidante il matrimonio possa essere fatto valere solo dal coniuge il cui consenso sia viziato;

– il matrimonio non era stato connotato da alcuna comunione di vita materiale e spirituale;

– la richiesta di provvisionale era infondata sia per mancanza del fumus (non avendo quella prestato la ordinaria diligenza, per aver ignorato le circostanze da cui è dipesa la nulità) sia per mancanza del periculum ( A. prestava attività lavorativa retribuita che le permetteva una dignitosa indipendenza economica).

Contro la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 743 del 2012 proponeva ricorso per cassazione A., affidandosi ai motivi di seguito compendiati; il ricorso veniva deciso con sentenza della Suprema Corte n. 9044 del 2014.

  1. motivazione insufficiente e contraddittoria su punto decisivo della controversia, con particolare riferimento alla non conoscenza/non conoscibilità, da parte di A., della disfunzione sessuale di N..

La censura veniva ritenuta infondata, perchè la Corte territoriale aveva adeguatamente motivato le ragioni del proprio convincimento circa la conoscibilità, da parte della A., che era stata a lungo fidanzata con N., della disfunzione sessuale di quest’ultimo.

  1. violazione artt. 108 e 160, con riferimento all’art. 122 c.c. e artt. 112 e 116 c.p.c., perchè il Giudice di merito non avrebbe ottemperato all’obbligo di riscontro delle circostanze assunte dal giudice ecclesiastico forzando i relativi esiti probatori e interpretando sommariamente la fattispecie, e perchè comunque avrebbe violato l’ordine pubblico italiano, in quanto non avrebbe accordato ad A. la tutela che il legislatore nazionale attribuisce al coniuge in buona fede.

La censura veniva ritenuta inammissibile perchè, al di là della formale presentazione come vizio di violazione di legge, si sostanziava in una critica alla interpretazione delle prove operata dalla Corte d’appello – interpretazione, quella, notoriamente incensurabile innanzi alla Suprema Corte quando, come nel caso di specie, motivata in modo congruo e plausibile.

  1. violazione artt. 183, 184, 202 e 228 c.p.c. e segg., in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente assunto le dichiarazione di A. come confessione, senza osservare le norme poste dall’ordinamento nazionale a presidio della validità delle prove.

La censura veniva ritenuta infondata, atteso che la Corte d’appello non aveva fondato il suo convincimento sulle dichiarazioni di A.: il percorso argomentativo della Corte territoriale, per contro, si fondava su elementi desunti dalle circostanze del caso, globalmente riconducibili all’assunto, prima espresso, secondo cui A. conosceva (o comunque avrebbe dovuto conoscere, usando la diligenza media) la situazione disfunzionale del marito.

  1. motivazione insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia, nonchè violazione artt. 123 e 1338 c.c., perchè la Corte territoriale non poteva concedere delibazione alla sentenza ecclesiastica, atteso che la causa della nullità era riconducibile al coniuge che aveva chiesto la dichiarazione di nullità del matrimonio, in assenza della certezza circa la conoscenza di tale causa in capo all’altro coniuge.

Posto che, come a più riprese segnalato tanto dal Giudice di merito quanto dalla Suprema Corte, nel caso che ne occupa è stata esclusa la non conoscibilità da parte di A. della condizione del coniuge, la censura veniva ritenuta infondata in ragione dell’inesistenza, nel nostro ordinamento, di un principio di ordine pubblico secondo cui il vizio che inficia il matrimonio può essere fatto valere solo dal coniuge il cui consenso sia stato viziato.

  1. motivazione insufficiente e contraddittoria su punto decisivo della controversia, con riguardo alla richiesta di provvisionare e di alimenti che era stata avanzata in via subordinata da A. nel giudizio di delibazione, e che la Corte territoriale aveva rigettato, con motivazione assai succinta, per mancanza dei requisiti del fumar bonis iuris e del peticulum in mora.

La censura veniva ritenuta inammissibile, perchè avente ad oggetto un provvedimento provvisorio, quindi non impugnabile in quella sede di legittimità.

  1. violazione artt. 129 bis e 112 c.p.c., perchè avrebbe errato la Corte territoriale laddove ha ritenuto che la sussistenza di una presunta conoscenza da parte di A. dei motivi di nullità del matrimonio, fondata sui meri dati ecclesiastici, non opponibili in sede di delibazione, farebbe venir meno in via definitiva il diritto agli alimenti e alla indennità di legge.

La censura veniva ritenuta inammissibile perchè, sul punto, la Corte di appello si era limitata ad adottare un provvedimento cautelare, e dunque provvisorio.

Contro la sentenza della Suprema Corte n. 9044 del 2014 ha proposto ricorso per revocazione ordinaria ex art. 391 bis e art. 395, comma 1, n. 4) A., affidandosi alle seguenti censure. N. ha notificato e depositato controricorso, con cui ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.

  1. Errore ex art. 395. comma 1, n. 4), in relazione all’art. 391 bis c.p.c.. Ad avviso della ricorrente, la sentenza di questa Suprema Corte sarebbe revocabile per numerosi vizi ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), che pure raggruppa in un unico motivo di ricorso.

Segnatamente:

  1. con specifico riferimento al primo motivo di ricorso originario (ossia il ricorso per cassazione deciso con la sentenza qui impugnata), la ricorrente sostiene che la Corte di cassazione si sarebbe limitata ad un’acritica adesione alla motivazione fornita, sul punto, dal Giudice del merito, mancando di censurare l’illegittimità di tale motivazione, che non considerava prove acquisite agli atti e risultanze processuali;
  2. con specifico riferimento al secondo motivo di ricorso originario, la ricorrente lamenta che la Corte avrebbe omesso l’esame del motivo, non tenendo in considerazione alcuna gli esiti della CTU medica espletata in sede ecclesiastica;
  3. con specifico riferimento al terzo motivo di ricorso originario, la ricorrente sostiene che la Cassazione avrebbe errato per aver implicitamente affermato che il quadro probatorio fornito creatosi innanzi al Tribunale Ecclesiastico non sia stato utilizzato ai fini della decisione della Corte territoriale;
  4. con specifico riferimento al quarto motivo di ricorso originario, la ricorrente lamenta che la Suprema Corte non l’abbia esaminato, respingendolo con la “medesima motivazione spesa per i precedenti motivi, anche se per altre considerazioni”.

Il motivo di ricorso è inammissibile. Infatti, posto che consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte (ex multis, v. Cass. civ., 1, nn. 4605 e 22569 del 2013) ha statuito che l’errore revocatorio opponibile ad una sentenza del Giudice della legittimità consiste nella mancata percezione, da parte del Giudice, di un motivo di ricorso, le varie sub-censure che compongono il motivo omettono d’ identificare specifici errori di fatto risultanti dagli atti o documenti della causa, non hanno ad oggetto supposti errori percettivi, e si risolvono nella sostanziale riproposizione dei motivi di ricorso per cassazione già formulati nel giudizio conclusosi con la sentenza qui impugnata.

Conseguentemente, qualora si condividano le suesposte considerazioni, si converrà sulla reiezione del ricorso”.

Il Collegio preso atto dell’atto di rinuncia della parte ricorrente accettata dalla controparte, dichiara l’estinzione del giudizio e la compensazione delle spese.

 

P.Q.M.

 

La Corte:

dichiara l’estinzione del processo e compensa le spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, Camera di consiglio, il 14 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2016