Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 13246/2019, sono intervenute a risolvere il contrasto circa la responsabilità civile della Amministrazione Pubblica per condotta illecita del dipendente.
Il contrasto traeva origine dalla diversa valutazione del criterio di imputabilità della responsabilità della P.A. operato dalle sezioni – civile e penale – della stessa Corte di Cassazione.
L’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, fondando il proprio ragionamento sul criterio “pubblicistico” del rapporto di immedesimazione organica ex art. 28 Cost., ammetteva la responsabilità diretta e soggettiva della P.A. per fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente quando, oltre al nesso di causalità tra la condotta e l’evento, l’attività del dipendente fosse esplicazione dell’attività dello Stato, “cioè tenda, sia pur con abuso di potere, al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto” (richiamando: Cass. 12/08/2000, n. 10803; Cass. 30/01/2008, n. 2089; Cass. 17/09/1997, n. 9260). Era, invece, esclusa tale responsabilità quando il dipendente agisse per fini strettamente personali ed egoistici o, addirittura, contrari ai fini istituzionali dell’ente.
Secondo una impostazione più recente delle sezioni penali della Corte, fondando il proprio ragionamento sul criterio “privatistico” del rapporto di preposizione ex art. 2049 c.c., si è riconosciuta la responsabilità indiretta ed oggettiva della pubblica amministrazione anche per la condotta del dipendente diretta a perseguire finalità esclusivamente personali ed egoistiche, “ove poste in essere sfruttando l’occasione necessaria offerta dall’adempimento delle funzioni pubbliche cui essi sono preposti, nonché integranti il non imprevedibile od eterogeneo sviluppo di un non corretto esercizio di tali funzioni” (in questo senso Cass. Pen. 20/01/2015 n.13799, richiamata da Cass. pen. 03/04/2017 n. 35588). In sintesi, deve sussistere un nesso di occasionalità necessaria tra la condotta tenuta e le funzioni attribuite al dipendente/funzionario. La P.A. non rispondeva soltanto se il comportamento tenuto costituisse un non prevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni “non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un’attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all’espletamento delle sue incombenze” (Cass. 11816/16).
Le Sezioni Unite hanno, dunque, composto il contrasto pronunciando il seguente principio di diritto: “Lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del suo dipendente anche quando questi abbia approfittato delle proprie attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviati o abusivi od illeciti, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo”.
In sintesi, si è riconosciuta la natura composita della responsabilità della Autorità Pubblica:
- diretta ed extracontrattuale ex art. 2043 c.c. quando il dipendente preposto, in virtù del rapporto organico, agisca in via autoritativa;
- oggettiva ed indiretta ex art. 2049 c.c. quando il funzionario, non agendo in via autoritativa, ma in ragione del nesso di occasionalità, reca un danno ingiusto ad un terzo con la propria condotta, che deve costituire una deviazione non imprevedibile della funzione attribuitagli.
Le Sezioni Unite fanno, poi, un passaggio importante sul nesso di occasionalità necessario, ossia la relazione per la quale la condotta illecita dannosa non sarebbe stata possibile “in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta”. Sono fonte di responsabilità anche tutte quelle condotte che l’amministrazione preponente avrebbe potuto raffigurarsi e prevenire quale “sviluppo non anomalo dell’esercizio del conferito potere di agire”, anche se illecito.